Non scoraggiarsi, ma capire

Pubblicato il 4 marzo 2013, da Relazioni

Intervento alla Direzione provinciale del PD di Padova, 1 marzo 2013

La Direzione Provinciale del PD padovano ha affrontato una franca e positiva discussione sui risultati elettorali e sulle prospettive politiche. Riprova che discutere fa bene ed abbiamo un gruppo dirigente anche periferico che è interessato a capire e a confrontarsi. Riporto la sostanza dell’intervento che ho svolto con qualche considerazione aggiuntiva, essendo convinto di ciò che ci dice Ilvo Diamanti, nell’ultima delle sue “Mappe” su Repubblica: ” Il centrosinistra per ricominciare non deve guardare agli altri, non deve guardare indietro. E neppure avanti. Deve guardarsi dentro.”

Commentare i dati di una sconfitta è sempre scomodo. Perché si corre il rischio di diventare ingenerosi con chi ha condotto una buona battaglia e di aumentare un sentimento di depressione. Però guardare in faccia alla realtà è la condizione necessaria per potere fare i futuri passi in avanti. Per recuperare appunto l’ottimismo della ricostruzione.

Anche perché i dati ci parlano di una sconfitta dovuta a un dato strutturale per il PD. Abbiamo perso 3,5 milioni di voti, in percentuale siamo scesi di quasi otto punti, dal 33,17 al 25,42: è il risultato di gran lunga più basso nella lunga storia della seconda repubblica, dalle alleanze Pds/Popolari/Margherita, all’Ulivo al PD. Se non siamo riusciti a vincere questa volta, dopo il fallimento di un ventennale ciclo di governo del centrodestra, con il fallimento delle promesse della lega, con una drammatica crisi economica che tradizionalmente premierebbe un orientamento a sinistra, con il PD che aveva fatto un serio percorso di partecipazione democratica e di ricostruzione di un rapporto con gli elettori, allora dobbiamo considerare che ci deve essere qualcosa di strutturale in questo assetto ed in questa formula.

Le cose giuste

Del resto questa volta il PD aveva fatto tutto quello che in passato i militanti ci imputavano come ragione delle sconfitta: la divisione interna (invece c’è stata una prova ammirabile di coesione del gruppo dirigente, anche dopo le primarie), il mancato rinnovamento (c’è stato un radicale rinnovamento della rappresentanza parlamentare, il 64,8% dei parlamentari del PD sono di prima nomina, con una massiccia presenza di giovani e donne, e con il sacrificio di dirigenti storici ed autorevoli).

La campagna elettorale

E’ stata sbagliata la campagna elettorale? Non credo che qui stia il principale problema, anche se è singolare l’enorme divario tra il picco più alto dei sondaggi (a dicembre 2012, con le primarie la coalizione era al 37,8%) ed il risultato nelle urne. Si possono mettere in luce due aspetti della campagna elettorale. La campagna del PD è stata oggettivamente un po’ fiacca, nonostante la generosità con cui si è speso Bersani nel suo tour per l’Italia: sembra quasi che lo sforzo delle primarie abbia finito per assorbire l’energia psico fisica, la creatività del gruppo dirigente. Probabilmente non ci si è concentrati sulla pianificazione della campagna, assorbiti prima dalle primarie per la leadership e poi dalle primarie parlamentari e si è data la sensazione di procedere giorno per giorno non riuscendo a focalizzare bene le proposte, contando sui sondaggi molto positivi (ma sempre con una quota importante di elettori indecisi). In realtà le rilevazioni ci dicono che una parte importante del corpo elettorale ha deciso l’ultima settimana.

Piuttosto ritengo che ci sia stata una grave sottovalutazione  delle potenzialità del mezzo televisivo. Berlusconi lo ha sfruttato fino in fondo, correndo anche qualche rischio (da Santoro) ma spremendo dal mezzo tutto il possibile. Noi lo abbiamo snobbato, mandando in televisione volti giovani, ma necessariamente apprendisti nell’uso del mezzo. Non basta un volto giovane, con qualche slogan precotto; occorre conoscenza nel merito delle cose, capacità argomentativa nel fuoco del dibattito. Resta per me un mistero perché avendo un asso della comunicazione come Matteo Renzi non si sia mandato tutte le sere lui in televisione, moltiplicando l’effetto positivo dei comizi (pochi) fatti insieme a Bersani.

La sconfitta di un modello

Però questi aspetti possono aver contato per qualche decimale di punto. Resto convinto che la debolezza emersa sia una debolezza strutturale. Il PD ha scelto (democraticamente per la verità) di abbandonare l’impresa innovativa che aveva caratterizzato la sua nascita: un linguaggio nuovo, un modello di partito più leggero ed aperto, l’ambizione di una ridefinizione culturale del fronte riformista. Con cui si era raggiunta una punta di consenso mai conseguita in tutta la storia della seconda repubblica. Si è preferita un’altra impostazione, quella che con molta chiarezza possiamo rintracciare nel movimento fondativo dei “giovani turchi”, in gran parte i più diretti collaboratori della segreteria Bersani. Nel documento così veniva giudicata l’impresa di Veltroni: “Si è preferito rimuovere il passato, cullandosi nella retorica del partito “completamente nuovo”, figlio di niente e di nessuno, contenitore post-identitario di tutto, supermercato elettorale di un molteplice nulla…Di questo atteggiamento il discorso del Lingotto è stato il momento culminante, la summa teorica di un’eclettica visione dell’Italia, mutuata da tutte le narrazioni dominanti nel ristretto circuito delle nostre classi dirigenti.” E così si pensava dovesse essere il partito: “E questo lo possono fare soltanto partiti organizzati e strutturati per aderire, come si diceva un tempo, a tutte le pieghe della società”.

Io penso che sia stato duramente sconfitto questo modello. Che questo modello sia inadatto alla società liquida, post ideologizzata, fortemente mobile sul piano elettorale che è la società in cui viviamo.

Destra/sinistra, innovazione/conservazione

Non penso che sia scomparso il crinale tradizionale destra/sinistra. C’è un sistema di valori e di giudizi sulla società che conservano in molti campi una profonda differenza. Sono le parole del passato che non sono più riconoscibili, che non scaldano i cuori come una volta, perché è cambiata la vita concreta dei cittadini, sul lavoro, in famiglia, nella società. C’è un nuovo crinale da considerare, quello tra innovazione e conservatorismo, ed è su questo piano che fatichiamo molto. Di fronte alle difficoltà troppo spesso abbiamo scelto la strada di difendere ciò che c’era, piuttosto di aprire strade nuove. Questo genera un fenomeno cumulativo: si parla alla parte più tradizionale del nostro consenso, si perde per strada l’insediamento nuovo, chi resta nel partito si sente più attratto dalle parole d’ordine del passato e chiede quel menu…progressivamente si perde contatto con parti di società e si ritorna all’insediamento tradizionale di una sinistra che è minoritaria nel paese.

Questo si aggiunge alla scelta dello schema da tempo ricercato: al PD il compito di occupare il maggior spazio possibile a sinistra, ad altri occupare uno spazio al centro, rinunciando a competere in questo spazio.

Non si tratta di stare dentro uno schema federativo: un tanto di sinistra, un tanto di centro, un po’ di ambientalismo, ecc. Si tratta però di non smarrire la strada di una nuova sintesi culturale, capace di costruire con i mattoni positivi delle eredità del passato un edificio nuovo. La fecondità e la creatività attraggono interessi. Se non riusciamo a sviluppare questa caratteristica genetica del PD rientriamo in schemi, progetti, parole d’ordine che ci condannerebbero alla sconfitta.

Primarie sì, ma non solo

Una parola sulle primarie. Sono state una grande pratica di democrazia. Abbiamo offerto una infrastrutturazione democratica al paese. Sarebbe stato un errore non farle. Tuttavia dobbiamo capire che il metodo non può mai sostituirsi al contenuto della politica. Anche perché poi il metodo innovativo, come ci capita spesso, è accettato salvo poi depotenziarlo. Sono state depotenziate restringendo il recinto degli elettori a quello delle primarie Bersani Renzi, privandoci della capacità dei singoli candidati di attrarre quote di elettorato intorno alla propria riconoscibilità. Si è fatto un uso incoerente della quota residua di “nominati”: mentre Bersani si è dimostrato seriamente preoccupato di costruire liste competitive, introducendo personalità importanti e rappresentative di mondi vitali della società (ed abbiamo a Padova l’esempio con l’elezione di Giorgio Santini) i residui capi corrente hanno fatto un uso inaccettabile de loro potere, indicando prevalentemente parlamentari uscenti non con la logica del merito e del riconoscimento del lavoro fatto, ma piuttosto quello del servaggio e della fedeltà.

Poi un “sapiente uso” dell’incrocio di candidature tra Camera e Senato ha portato in alcuni casi ad uno stravolgimento del risultato delle primarie. Anche qui nel Veneto risultano elette persone che le primarie non le hanno fatte o le hanno fatte perdendole, restando fuori vincitori come Giancarlo Piva. In giro per l’Italia è capitato che candidati arrivati ultimi o penultimi alle primarie per miracolo risultano eletti (qualche volta anche salvando persone meritevoli). Sono fatti gravi, che non dovevano succedere.

Un lavoro da fare: ripartire dalla produzione di idee

Critiche distruttive e senza speranza? Assolutamente no. Resto convinto che il PD sia il luogo giusto per lavorare per quell’Italia giusta che è stato lo slogan della nostra campagna elettorale. Ci sono le risorse, la rete partecipativa, le potenzialità e nonostante tutto una base di fiducia su cui riprendere l’avventura del PD. Solo occorre maggiore convinzione che è un tempo di creatività. La costruzione di idee nuove deve essere parte importante della attività politica, anche sul territorio, offrendo spazi di partecipazione a questa avventura creativa. Bisogna rifuggire dalla tentazione di inseguire i vincenti del momento. Lo abbiamo talvolta fatto con la Lega e non ha prodotto nulla, evitiamo ora di farlo con il grillismo. Piuttosto dagli altri si può imparare. Dalla Lega abbiamo imparato che si può prendere consensi anche senza radicamento territoriale se si hanno le giuste parole d’ordine e che si può presidiare il territorio in forme diverse (i mitici gazebo), da Grillo possiamo capire l’importanza di un lavoro strutturato sulla rete e di un approfondimento di merito e capillare su singoli problemi per costruire un senso comune.

Insomma: c’è un lavoro da fare, dobbiamo lavorare di più e verificare le priorità nel lavoro. Ce la possiamo fare.

Non sappiamo cosa ci aspetta nelle prossime settimane. Credo che Bersani abbia fatto bene a prendere una iniziativa che mette Grillo di fronte alle responsabilità che gli derivano dal consenso avuto: le responsabilità immediate di chi ha scelto la strada dell’impegno parlamentare che richiede responsabilità da assumere giorno per giorno, mediazioni necessarie, rispetto degli interlocutori. Se si andrà al voto (e purtroppo va messo in conto) gli italiani avranno elementi per giudicare anche questo aspetto.

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3 commenti

  1. Andrea Drezzadore
    4 marzo 2013

    Caro Paolo,
    permettimi di fare un paio di brevi annotazioni al tuo commento.
    Non entro in tutti i punti specifici (semmai aprirò un mio blog… scherzo!), ma un paio di cose mi sento di dirle.
    Dunque, si vota Bersani e poi si manda sempre Renzi in tv?
    Mah…
    Siamo stati di fronte ad una scelta tra due linee politiche (diverse, non antitetiche, ma diverse…) e due leader che le incarnavano con i loro pregi e i loro difetti: che Renzi avesse/abbia qualcosa in più dal punto di vista comunicativo era noto a tutti a prescindere, in termini matematici si parla di “dato del problema”… Perché allora c’è stata la corsa a chi supportava meglio il segretario salvo poi chiamarsene in qualche modo pentiti (anche durante la stessa campagna elettorale…)?
    E questo mi porta alla seconda parte della riflessione, ovvero alle primarie (ma potrei parlare negli stessi termini anche per i congressi…) si vota perché si sceglie quello che si ritiene il migliore, oppure per appartenenza alle parrocchie o parrocchiette più o meno storiche? Perché candidature di illustri sconosciuti e, vorrei dire anche senza alcun merito e capacità particolari – o meglio merito e capacità che possono essere trovati uguali o maggiori in almeno un centinaio di persone – vengono votate, ma prima ancora vengono accettate e veicolate da tanti pur non conoscendone neppure il volto e il nome?
    Se le primarie sono il metodo riveduto e corretto (vorrei dire: a la page…) per riproporre quello che una volta veniva effettuato tra tesseramento e congressi old style… beh, allora è ovvio che ci siano delle distonie evidenti!
    Le primarie sono un bene e un grande vantaggio anche competitivo se sono il sistema di selezione della classe politica usato mettendo al riparo la libera espressione di scelta dei cittadini, in modo che prevalga “il migliore” e non “il proprio” candidato, evitando le scelte condizionate che poi finiscono per ritorcertisi contro.
    Infine, direi che anche l’uso della deroga “ad personam” e del listino del segretario propagandandolo con numeri “truccati” (doveva essere il 10%… i senatori in Veneto sono 4 di cui uno solo frutto delle primarie, perciò siamo al 75%) non giova certo all’immagine e alla causa.
    Un caro saluto.


  2. Maurizio
    4 marzo 2013

    Caro Paolo come non darti ragione. Le analisi si fanno per capire cosa non ha funzionato e perchè. Se non siamo stati in grado di intercettare il malessere presente nella società evidentemente qualcosa non funziona più e va cambiato…


  3. Paolo
    8 marzo 2013

    Caro Andrea,
    scusa il ritardo nella risposta alle tue interessanti osservazioni, che condivido. Renzi in tv non solo perchè era più bravo di tutti quelli che ci sono andati, ma perchè bisognava dimostrare alla opinione pubblica che il PD ha dentro di sè queste due visioni, che sono diverse ma di cui si assicura una sintesi. Invece Renzi è stato tenuto molto lontano dalla campagna elettorale. Segno che Bersani ha sofferto più di quanto abbia ammesso la concorrenza di Renzi e che attorno a lui ci sono persone che non hanno capito niente dei movimenti profondi della società italiana, e si è visto nei risultati. Le primarie per i parlamentari sono state pessime per la scelta dell’impostazione. E’ chiaro che la base elettorale delle primarie Renzi/Bersani aveva finalità diverse di quella che poteva avere per l’elezione dei parlamentari. Di quelli del voto di Bersani sono andati prevalentemente quelli organizzati dall’apparato e si è rinunciato a priori alla capacità mobilitativa del rapporto fiduciario con il singolo candidato, che dovrebbe essere la caratteristica delle primarie. Con i risultati che sappiamo, non solo nel Veneto, prevalenza di candidati sostenuti da una base organizzativa di partito o della CGIL, in particolare SPI CGIL. Come poi ho scritto fin dall’inizio e come giustamente osservi è stato un trucco comunicativo quello del 10%, perchè in realtà i posti certi assegnati senza primarie erano più di un terzo, percentuale cresciuta anche con qualche furbesca operazione sulle liste a favore di sconfitti dalle primarie. Tuttavia in ogni caso meglio noi di quanto abbiano fatto tutti gli altri partiti e movimenti.


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