Quanto pagare i manager?

Pubblicato il 4 aprile 2014, da Politica Italiana
Ospito qui una interessante nota di Romano Cappellari presa dal suo blog (www.romanocappellari.it) che ci da un buon esempio di come andrebbero affrontati i problemi: entrare nel merito, confrontarsi con le migliori pratiche, decidere

Per avere manager bravi bisogna pagarli molto (o no?)

Non c’è pendolare che nei giorni scorsi non abbia scambiato con gli amici un paio di battute sulla ormai famosa affermazione di Mauro Moretti, l’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, che si è dichiarato pronto a lasciare l’azienda nel caso di un taglio di stipendio. In un’azienda grande e complicata come le Ferrovie, è stata la tesi di Moretti, delle retribuzioni “elevate” sono indispensabili per attrarre manager bravi che altrimenti se ne andrebbero altrove. Nel dibattito che ne è seguito, che ha preso peraltro in buona parte una deriva populistica, molti autorevoli commentatori hanno precisato che il vero problema non starebbe nell’avere retribuzioni elevate, ma nell’ancorarle ai risultati ottenuti: tanti soldi sì, ma solo a chi li merita.

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Su questo punto andrebbe osservato che dopo diversi decenni di dibattiti nella letteratura economica e aziendale (si guardino a questo proposito cinque lustri di documentati lavori di Kevin J. Murphy della University of Southern California) si è ancora ben lontani dall’individuare quale sia il modo più efficiente ed efficace per remunerare i manager e anche per legare la loro retribuzione  ai risultati nell’interesse degli azionisti. Da più parti nella letteratura si avanza inoltre il dubbio che anche nelle aziende private il livello delle retribuzioni dei top manager finisca per riflettere più il loro potere personale che la capacità di lavorare nell’interesse degli azionisti.

Qui non voglio però addentrarmi in questo dibattito, quanto piuttosto lanciare una provocazione più radicale: è proprio vero che pagando di più si “acquistano” manager più bravi? O si attirano semplicemente le persone più attratte dal denaro? In Whole Foods Market, senza dubbio uno dei retailer di maggior successo degli ultimi venti anni, vige la regola che nessuno in azienda possa ricevere uno stipendio superiore a 19 volte la retribuzione del lavoratore medio: si tratta di una retribuzione certamente elevata, ma ben lontana dagli stipendi che spuntano molti dei manager delle grandi aziende americane quotate. Non solo: lo stipendio è uguale per tutti i sette membri del top management team e inoltre il pacchetto di benefit aggiuntivi è lo stesso per tutti i dipendenti, dalla cassiera al manager. Tutto questo in un contesto nel quale le informazioni sulle retribuzioni di ogni membro dell’organizzazione sono accessibili a chiunque.

Il motivo di questa scelta viene spiegato da John Mackey, fondatore e attuale co-amministratore delegato, in un libro recente nel quale illustra i principi che hanno guidato e guidano la gestione della sua azienda e che fin dal titolo, Conscious Capitalism, rivela la sua visione di fondo: “vogliamo leader che si preoccupino della missione dell’azienda e delle persone che la compongono più che di arricchirsi”. Inoltre, è sempre il pensiero di Mackey, il fatto di avere un tetto alle retribuzioni manageriali consente di attrarre persone con una maggiore intelligenza emotiva perché sapersi rendere conto di avere abbastanza soldi da vivere in modo confortevole è un segno di maturità mentre “passato un certo punto volere di più non è una cosa sana ma una sorta di malattia”.

Un modello che non può funzionare in un’economia di mercato? Utopie? Demagogia? Beh, intanto bisogna prendere atto del fatto che seguendo questi principi Whole Foods Market ha realizzato negli ultimi 25 anni una crescita media annua della produttività dei punti vendita dell’8%, ha continuato negli anni a generare valore per gli azionisti ed è oggi un’azienda che vale in borsa circa 19 miliardi di dollari dopo aver sovraperformato l’indice di riferimento della borsa americana di ben quattro volte solo nell’ultimo lustro (si veda il grafico qui sotto). Gli azionisti, tra i quali molti dipendenti, ringraziano, e ringraziano anche i clienti che apprezzano questi bellissimi supermercati. Si tratta di un modello replicabile?

andamento del titolo WFM in relazione allo S&P 500

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3 commenti

  1. Arnaldo
    4 aprile 2014

    Mi pare un buon criterio , meno soldi ma più soddisfazione.


  2. Fabio
    5 aprile 2014

    Il merito và premiato, ma giustamente vi devono essere dei parametri efficenti per determinare dei limiti. Il compito del manager è quello di perseguire la soddisfazione economica dell’azienda e dei suoi dipendenti.
    Ma è giusto valutare solo gli stipendi nel pubblico? vi sono persone che giocando in mutande tirando calci a un pallone percepiscono milioni di euro all’anno.Il loro valore di mercato è dato dalla pubblicità…..deludere il pubblico pagante per una partita persa sarà così grave?


  3. Paolo
    7 aprile 2014

    giustissima osservazione, egualmente si potrebbe riflettere sui compensi degli uomini e donne di spettacolo…


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