Berlinguer ti voglio bene

Pubblicato il 1 luglio 2014, da Pd e dintorni

Intervento alla Festa Democratica del Montagnanese, Merlara 28 giugno 2014

 Gli anniversari di date importanti di personalità che hanno segnato la storia del paese costituiscono l’occasione di una duplice operazione. Da un lato una rilettura con i caratteri della scientificità della dimensione storica del personaggio, di ciò che resta della sua azione, degli errori e delle scelte giuste, ecc. In cui una certa distanza temporale consente una rilettura non emotiva per un giudizio più definito.

Dall’altro una valutazione più politica, per vedere quanto di attuale vi sia ancora nella esperienza di quella personalità , cosa si possa ancora imparare dai suoi successi e anche dalle sue sconfitte, come utilizzare quegli insegnamenti nell’azione politica.

Uso questa seconda chiave di lettura parlando della figura di Enrico Berlinguer (1922-1984). Con una piccola chiave autobiografica. Enrico Berlinguer sapeva suscitare il rispetto anche degli avversari. Noi giovani democristiani più sensibili alle tematiche della giustizia sociale guardavamo con molta attenzione a quell’avversario politico che ci piaceva, che non sentivamo estraneo ai pensieri che attraversavano la nostra mente.

In modo particolare voglio ricordare qui tre momenti forti dell’iniziativa politica di Enrico Berlinguer, che colpirono la nostra immaginazione e che costituiscono un lascito di straordinaria attualità.

Il primo risale al 1973. Da poco si è drammaticamente conclusa la vicenda del governo progressista in Cile sconfitto dalla dittatura feroce di Pinochet. Berlinguer scrive tre articoli, un vero e proprio saggio, su “Rinascita”, la rivista culturale del PCI (erano i tempi in cui i partiti ritenevano importante una produzione culturale…) in cui prendendo spunto dalla vicenda cilena mette in luce come la democrazia non sia mai conquistata per sempre, come le divisioni tra forze sinceramente riformatrici e radicalismi senza fondamento sociale possa aprire la strada a iniziative dittatoriali che riescono a riunificare i grandi interessi economici e le paure ed aspettative del ceto medio. In una Italia già segnata dal terrorismo politico e dai rischi di una reazione autoritaria Berlinguer indica la necessità di un allargamento delle basi della democrazia, con la costruzione di un nuovo patto allargato alle componenti storiche della sinistra, comunisti e socialisti con le forze del cattolicesimo democratico, per dare alle istituzioni una più solida base democratica. Si prefigura quel percorso che poi fu chiamato del compromesso storico, che trovò in Aldo Moro il necessario interlocutore. La storia poi è andata in una direzione diversa. Il tragico assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse levarono dalla scena italiana il personaggio autorevole capace di portare tutta la DC a quello storico incontro e indebolì anche l’azione di Berlinguer dentro il PCI. E’ importante considera che nella mente dei due statisti non era previsto ciò che poi accadde, la confluenza in un unico partito dei filoni principali delle due grandi tradizioni politiche, quanto piuttosto un periodo di grande collaborazione nella ridefinizioni delle strutture dello  stato per poi tornare ad un alternanza democratica tra DC e PCI, che avrebbero dovuto essere comunque le due alternative principali offerte all’elettoratoberlinguer_benigni_2_31canzoni

Il secondo episodio risale al 1977, in cui Berlinguer in due importanti convegni uno a Roma riservato agli intellettuali (convegno preparato da un giovane Giorgio Napolitano) ed uno a Milano, di fronte agli operai, lancia l’idea della via dell’austerità, per un nuovo modello di sviluppo. Sono testi che si possono rileggere e che, se vengono depurati dal lessico dell’epoca, in cui riecheggiano ancora formule proprie dell’ideologia marxista, sono di una straordinaria attualità. Ad esempio dice Berlinguer: ““Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenato, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia.” Ma, dice Berlinguer, per affrontare una sfida così impegnativa, occorre una atteggiamento nuovo: “arrivare ad un progetto di trasformazione discusso fra la gente, con la gente. Si tratta come abbiamo detto più volte non di applicare dottrine o schemi, non di copiare modelli altrui già esistenti, ma di percorrere vie non ancora esplorate, e cioè di inventare qualcosa di nuovo che stia, però, sotto la pelle della storia, che sia, cioè, maturo, necessario, e quindi possibile.” E Berlinguer individuava con precisione tre cause che avrebbero indebolito le economie occidentali ed il benessere dei cittadini, cause con cui oggi stiamo facendo i conti: la crescita di nuove economie nei paesi che allora si chiamavano sottosviluppati, l’accentuazione di una concorrenza senza esclusione di colpi nelle economie occidentali, l’aumento delle diseguaglianze sociali. Berlinguer definisce bene il ruolo della politica: “Bisogna essere sommersi dai problemi, ma da essi non dobbiamo lasciarci sommergere. Noi dobbiamo tenere la testa sopra il pelo dell’acqua, per continuare a ragionare, a guardare lontano, cioè più in la dell’immediato, per staccarci dalle vecchie rive ed approdare a lidi nuovi.” Ci voleva un certo coraggio per parlare di fronte ad una assemblea operaia di austerità piuttosto che di rivendicazioni economici, di responsabilità per un generale miglioramento del paese con un suo profondo cambiamento. E di fatti Berlinguer fu criticato a destra per la critica radicale che faceva al sistema capitalistico e a sinistra perché sostanzialmente chiedeva anche alla classe operaia di farsi carico dei problemi generali. Aveva ragione lui.

Il terzo momento è costituito dalla riflessione sulla questione morale. Siamo tra la fine del 1980 e l’inizio del 1981 e in due importanti interviste, una a Reichlin sull’Unità ed una a Scalfari su Repubblica, apre un dibattito pubblico su una questione che avrebbe dimostrato negli anni successivi tutta il suo drammatico rilievo. Importa che Berlinguer non intendeva la questione morale esclusivamente come un problema di legge penale, i ladri vanno individuati e puniti. Guardava più in profondità e riteneva che il degrado dell’etica pubblica fosse dovuto ad una progressiva occupazione delle istituzioni da parte di una partitocrazia senza partiti, in cui i partiti non facevano più politica, in cui l’occupazione delle istituzioni le indeboliva e indeboliva i sentimenti democratici del popolo italiano. E che questa situazione avrebbe fatto emergere una domanda per un “uomo forte” che affrontasse di petto i problemi. Anche in questo caso Berlinguer intuiva con grande capacità anticipatrice ciò che sarebbe successo. Un degrado che ci avrebbe portato a Mani Pulite, e che oggi si ripresenta con ancora maggiore violenza, un indebolimento istituzionale e della vitalità dei partiti che avrebbe aperto la strada all’uomo forte, che in Italia si è tradotto nell’innamoramento del paese per Berlusconi ed il berlusconismo. Quando Berlinguer fa quelle interviste è già un uomo politicamente sconfitto. L’intuizione del compromesso storico non ha trovato attuazione, si stanno preparando gli anni del pieno successo del craxismo, che metteranno agli angoli la politica del PCI. Eppure anche in questo caso aveva visto giusto.

Sono tre temi quelli posti da Enrico Berlinguer che sono al centro delle preoccupazione del presente: la solidità della base democratica del paese (di fronte al crescere di disaffezione elettorale, di movimenti populisti, di scarsissima fiducia in partiti ed istituzioni), la insostenibilità del modello di sviluppo (insostenibilità sociale, ambientale e finanziaria), il declino dell’etica pubblica (di fronte al riemergere di scandali che evidenziano una avidità, una perdita di dignità e di rispetto della cosa pubblica ancora più gravi di quelle del tempo di Mani Pulite). Da quelle riflessioni possiamo ancora ripartire per le responsabilità del presente.

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