Se non basta stravincere

Pubblicato il 8 luglio 2014, da Politica Italiana

Guardo con preoccupazione al faticoso cammino al Senato delle riforme costituzionali. Con conservatori sparsi che non vogliono cambiare. Se si deve fare tanta fatica (ed impiegare tanto tempo) con una delle riforme più semplici, perché è la politica che riforma sé stessa, figuriamoci per le riforme che vanno a toccare interessi diffusi.

Nessuno dei 186 partiti che si sono presentati alle elezioni europee in tutti i paesi ha fatto meglio del PD. Non basta. Nonostante questo successo riemergono i devastanti difetti della sinistra. Che sono sostanzialmente due.

La tendenza alla divisione. Non basta stravincere. Poi iniziano le distinzioni, i principi proclamati, le cose non negoziabili. E’ stato così con Prodi, con Veltroni, ora si vorrebbe provare con Renzi. Il merito della riforma del Senato c’entra relativamente. C’è un mondo che vuole consumare qualche vedetta per le sconfitte politiche subite. Che non guarda al bene del PD. E’ la dinastia Min, come ha detto Renzi. Anzi la dinastia Min-Chi (perché Mineo-Minzolini hanno anche l’azione di Chiti, che ben ricordo anche nelle passate legislature su posizioni conservatrici: non bisognava cambiare nulla, neppure i costi della politica…). Dare nei fatti espressione ai suggerimenti del Conte Zio nei Promessi Sposi: “Sopire, troncare, troncare, sopire”, svirilizzare tutto, rendere così impercettibile il cambiamento da non poterlo neppure avvertire.

E poi il classico benaltrismo. Manca sempre qualcosa per cambiare. E quello che manca è l’alibi perfetto per non cambiare nulla.

Ora il Senato, descritto per anni come una sorta di sopravvivenza del Senato regio, diventa improvvisamente il cardine della democrazia. Il bicameralismo perfetto, causa di molte lungaggini legislative, un principio presidio della democrazia e via cantando.boschi

Si dice: la colpa non è del parlamento, ma del Governo, perché ci sono oltre 500 decreti attuativi non ancora predisposti. E’ vero solo in parte. Il fatto è che spesso il Parlamento non è in grado di scrivere norme immediatamente attuative, per motivi di copertura finanziaria o di procedure burocratiche e si finisce per scrivere una caterva di disposizioni in parte inattuabili, rinviando a successivi decreti attuativi. Ma l’importante è mettere la propria bandierina. Che poi non si riescono a fare, perché la norma è appunto concretamente inattuabile, per resistenze degli apparati burocratici e degli interessi corporativi, perché poi il Governo ha subito l’iniziativa ma non è d’accordo. Non c’è dubbio che la doppia lettura da parte di Camera e di Senato predispone sempre un doppio convoglio che si vuole agganciare alla locomotiva del provvedimento legislativo, producendo spesso leggi farraginose e procedure di approvazione molto lunghe.

I cosiddetti dissidenti del PD non hanno ancora capito qual è la posta in gioco. Non c’è più tempo, se anche la carta Renzi viene sprecata nelle miserie di una politica poco lungimirante il PD è finito. E con esso il sogno di un serio e rinnovato riformismo.

Ascoltassero le parole del giovane ottantanovenne del Quirinale: “è parte della mia responsabilità auspicare una conclusione costruttiva, evitando ulteriori spostamenti in avanti dei tempi di un confronto che non può scivolare, come troppe volte è già accaduto, nell’inconcludenza su materie di riforma più che mai mature e vitali per lo sviluppo del nostro sistema istituzionale…  una riforma volta a superare il bicameralismo paritario si è fatta sempre più urgente per le sue ricadute negative sul processo di formazione e approvazione delle leggi”

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