Art.18: non servono le bandiere del passato

Pubblicato il 22 settembre 2014, da Politica Italiana

E’ davvero singolare la virulenza del dibattito sviluppatosi all’interno del PD sull’art. 18. Perché nelle stesse ore il testo che avrebbe dato origine alla dura querelle veniva approvato all’unanimità  dal gruppo PD nella commissione lavoro. Ed in quel testo, trattandosi di una legge delega vi sono solo previsioni generali e non specifiche previsioni normative sull’abolizione dell’art. 18. Articolo 18 che è stato già modificato dal governo Monti, con pacifica accettazione (sembra che tutti se ne siano dimenticati), nel senso di prevedere nei casi meno gravi di licenziamento individuale il pagamento di una indennità invece di una reintegra nel posto di lavoro. E non è successo nulla di drammatico.

Dunque è evidente che l’iniziativa è puramente politica: una minoranza in difficoltà (pur avendo accettato incarichi in segreteria) cerca di indebolire Renzi trovando le ragioni di una propria identità. Solo che ricerca una identità sulle ragioni di un passato ormai lontano (la struttura produttiva dell’Italia del 1970 era profondamente diversa dall’attuale) piuttosto che, come sarebbe utile, sulle sfide del futuro. Rischiando di ripetere gli stessi errori di un passato pure lontano. Quando la sinistra nel 1985 perse il referendum della scala mobile. Anche allora pensando di difendere gli interessi dei lavoratori e non capendo quello che capirono gli elettori: che era una falsa difesa.

Eppure tutto si può dire tranne che il mercato del lavoro in Italia funzioni bene. Funziona male il sistema di accesso al lavoro, funziona male il sistema dei contratti, con una incredibile frammentazione, abbiamo un sistema di ammortizzatori sociali inefficiente e antiquato, una ipertrofia normativa che toglie certezza al sistema dei diritti e dei doveri. Bisogna cambiare con coraggio. Il Jobs act va in questa direzione ed è ridicolo e pretestuoso soffermarsi su una eventuale norma che non c’è, quando c’è molto di importante per modificare quei limiti.

E sull’art. 18 bisogna ragionare nel merito senza bandiere ideologiche da una parte o dall’altra. Ragionando su testi concreti. Dopo quasi 50 anni di sperimentazione emergono dei limiti evidenti che vanno corretti. La segmentazione del mercato del lavoro tra imprese sopra o sotto i quindici dipendenti è inaccettabile, perché spinge a stare nel piccolo, quando bisognerebbe crescere. E’ inaccettabile che anche nella stessa azienda, a parità di mansioni, vi sia una disparità radicale tra  sufficienti diritti per alcuni e nessun diritto per altri: chi sta con contratti di precariato, con partite iva fasulle, ecc. E’ inaccettabile che nella vaghezza delle norma si abbiano sul territorio nazionale decisioni diversissime da parte dei magistrati del lavoro a parità di condizioni.lavoro

Non si tratta di togliere un diritto a chi ce l’ha. Si tratta di evitare che quel diritto sia interamente pagato da chi non ha nessun diritto. Perché questo accade: che si evita di assumere per non passare il limite dei 15 dipendenti, che si evita di assumere perché non si ha la certezza di poter licenziare anche quando teoricamente vi sono i presupposti per crisi economica o per ragioni disciplinari. E naturalmente nessun articolo 18 è in grado di impedire il dramma dei licenziamenti collettivi e della chiusura delle fabbriche.

Facendo i conti con la realtà produttiva è assolutamente possibile riscrivere l’art. 18 (dopo 44 anni…) senza togliere nulla di sostanziale, ma aggiungendo molto per chi è senza diritti. Il contratto a garanzie crescenti è esattamente questo. Consentire nella fase iniziale una valutazione dell’imprenditore, senza preoccupazioni di avere un obbligo di mantenimento del posto se non vi sono i presupposti economici o se non c’è il rapporto di fiducia. Restituendo le agevolazioni eventualmente ricevute se ci fosse il licenziamento. Ma poi riempiendo di forza il contratto a tempo indeterminato. Non sarà mica meglio l’attuale situazione in cui i giovani non entrano nel mercato del lavoro e se entrano lo devono fare senza diritti e senza contenuto economico accettabile?

E poiché guardando avanti, sperando che ritorni un ciclo economico positivo, sarà sempre più importante la qualità della forza lavoro per competere nell’economia globale concentriamo le risorse sull’efficacia della formazione durante tutto il ciclo di vita lavorativa, perché quella è la migliore difesa. Nessun imprenditore ha interesse a licenziare forza lavoro preparata e competente.

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2 commenti

  1. Paolo
    22 settembre 2014

    1 – L’abolizione dell’art. 18 è questione puramente ideologica. Non serve a nulla abolire il divieto di licenziamento senza giusta causa. Serve solo a fare incazzare quelli che sperano in un futuro migliore. (cioè quelli come me)
    2 – Prima di poter solo parlare di questo argomento, ce ne sarebbero tanti altri da affrontare. Per esempio una evasione fiscale da paura. O una burocrazia da paura. Talmente è tanta la paura che questi problemi non vengono affrontati.
    3 – Questo argomento è venuto fuori solo per scopi comunicativi. Serve un nemico del governo. Ne sono emersi tanti.
    4 – Lei Giaretta ha un centesimo dell’arroganza di Renzi, (ma il tono dipende dagli obiettivi che si vogliono raggiungere..) Non condivido niente di quanto dice, ma almeno non mi sento insultato o preso per i fondelli dalle sue parole.
    5 – Mi fa molto arrabbiare che persone della sua età che di certi diritti hanno goduto si permettano di decidere che io non ne possa godere.
    6 – non c’è peggior sordo di chi non vuole ascoltare.. e mi domando a cosa serva scrivere queste quattro parole

    Con una tristezza enorme, la saluto.


  2. Paolo
    25 settembre 2014

    Mi scuso per il ritardo nella risposta. Manifestare il proprio pensiero serve sempre, ed è la base della vitalità democratica. Però il discorso resta astratto, perchè non c’è un concreto testo del governo su cui discutere ed in questa materia sono i dettagli che contano. Slogan generali non servono a nulla. E’ una sciocchezza parlare di eliminazione dell’art 18 ( e difatti non è questo il pensiero del governo) perchè una norma contro i licenziamenti discriminatori ci deve essere ed è una sciocchezza dire non si può toccare l’art. 18, perchè già ora è diverso da quello iniziale. E difatti la cgil dice che è accettabile prevedere che le attuali tutele entrino in campo dopo un certo periodo di tempo, che è esattamente il modello a tutele crescenti proposte dal governo. Se si entra nel merito una soluzione si trova. Guardi che è con l’attuale art. 18 che persone come lei vengono private dei diritti, perchè rischia di trovare un posto solo con contratti precari o con false partite iva. Naturalmente non sono le regole che creano lavoro se l’economia non cresce. Ma bisogna fare regole efficienti per quando riprende la crescita. Non mi convince l’argomento che c’è altro da fare. E’ vero e il governo sta facendo per la lotta all’evasione fiscale (il limite nell’uso del contante che ha inferocito settori della società sta ottenendo buoni risultati) e certamente la semplificazione burocratica è un tema che richiede iniziative coraggiose (e anche qui ci sono molte resistenze conservatrici, anche nel settore del pubblico impiego) ma occorre fare l’uno e l’altro.


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