Tessere e voti

Pubblicato il 6 ottobre 2014, da Pd e dintorni

E’ un peccato che un tema molto serio (quello del rapporto tra militanza e rendimento elettorale di un partito) venga derubricato da una minoranza un po’ astiosa e nostalgica ad argomento superficiale di polemica contro Renzi. A cui è fin troppo facile rispondere che se la crisi del tesseramento si traduce in un 40% di consenso meglio così. Invece la cosa ottimale sarebbe un consenso elevato ed un partito radicato e vitale con partecipazione dei cittadini.

Per fare un ragionamento serio occorrerà vedere l’effettivo andamento del tesseramento (che di fatto non è neppure iniziato) ed evitare un confronto con i dati dell’anno scorso, inquinati da tesseramenti anomali legati alla stagione congressuale (che non è una cosa commendevole a proposito del passato dei partiti che non si rimuove).

Dobbiamo cercare la radice dei problemi. Una è la crisi generale della rappresentanza. Riguarda i partiti (ed il PD resta comunque un bacino di partecipazione politica) riguarda i Sindacati, che privati della rappresentanza dei pensionati nel mondo del lavoro sono spesso ai minimi termini, anche nelle grandi fabbriche, riguarda le associazioni di categoria economica, in crisi di iscritti e in cui spesso i dirigenti dicono cose molto divere dalla base.

Pensare che ad una società diversa debbano corrispondere le stesse forme organizzative del passato è un grave errore. Io ho avuto la fortuna di conoscere la forza partecipativa , la capacità di muovere passioni, di promuovere classe dirigente, dei partiti del passato. Cose che hanno contato molto per me. Posso rimpiangere quella stagione ma bisogna organizzarsi in sintonia con la società liquida del presente. E’ cambiata la società: meno appartenenze ideologiche, meno continuità di impegno, interessi variabili, ecc.

Faccio un esempio. L’altra sera ho presentato il mio ultimo libro a Padova. Sala piena, oltre 250 persone, che non sono poche per un sabato pomeriggio. Se avessimo organizzato la presentazione come PD quanti presenti? Credo meno di un decimo…La società diffida della mediazione dei partiti. Bisogna capirlo, le ragioni stanno in molti errori fatti dai partiti ed anche in un peggioramento del senso civico ma così è. Pensare che la via d’uscita sia la moltiplicazione delle tessere mi sembra una ricetta superficiale.P1100751

Anche perché può esistere una organizzazione, ma per fare che cosa? Diciamo francamente: anche dove i circoli ci sono, spesso la vita è asfittica: scarsa partecipazione, riunioni sporadiche e poco frequentate, un po’ di dibattito autoreferenziale. Allora bisogna prendere atto che nella società contemporanea il partito non è l’unico canale di rappresentanza. La militanza è importante ma conta molto più la quantità della qualità. Conta allora la progettazione della presenza politica, la formazione dei quadri, l’uso di nuovi strumenti e linguaggi. Ad esempio i social esistono ma un conto è dedicarsi ad un po’ di cazzeggio superficiale un conto è usare questo strumento in modo scientifico e consapevole. Ed avendo inventato lo strumento delle primarie (cioè quello della partecipazione di milioni di cittadini attraverso strade diverse dal tesseramento) dovremmo lavorare di più sul come correggerne i difetti, su come dare contiuita a quelle forme partecipative piuttosto che rinchiuderci nel passato.

Non mi sfugge naturalmente che c’è una questione specifica che riguarda il PD. La forte innovazione di Renzi comporta che fasce non marginali di militanti tradizionali avvertono un senso di privazione dei propri simboli, dei propri riferimenti, ecc. Vorrei dire che è già successo in passato su un altro versante. Chi si preoccupa ora allora non si preoccupava. Quando si fece il PD ci fu una forte diaspora di ex iscritti alla Margherita, che non si riconoscevano più in un partito che assumeva nei territori la cifra del vecchio PCI: le stesse feste dell’Unità, gli stessi linguaggi, le stesse persone. Oggi avviene per una parte dei militanti postcomunisti. A questi però consiglierei di rileggere, come ho fatto io, le vecchie raccolte dell’Unità ai tempi della svolta di Occhetto. Stesse preoccupazioni, stessi mal di pancia: perdiamo i nostri simboli, non rispettiamo la tradizione, ecc. Certo è che se i dirigenti di allora si fossero fatti intrappolare nei mal di pancia si faceva la fine del Partito Comunista Francese e di quello Spagnolo: scomparsi dalla scena politica.

Perciò il modo migliore di rispettare la tradizione è costruire innovazione, accettare la sfida dei tempi nuovi: se non la fa la sinistra chi lo fa?

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5 commenti

  1. Mario
    6 ottobre 2014

    Bene Paolo, a Bersani che non vuole un partito il PD di solo elettori ma di tanti tesserati, questo in sintesi la sua valutazione. Si domandi, Bersani, visto la critica a Renzi che abbiamo un partito di pochi tesserati, Chieda ai suoi della provincia di Padova perché fanno difficoltà farsi la tessere. Chi governa in via Beato Pelligrino? Senza critiche ma solo considerazioni.


  2. lamons
    7 ottobre 2014

    Mi piace qst argomentario… Ma alle volte chi scrive ed elabora tesi sulla disaffezione politica dimentica che egli stesso puo esserne stato una causa. A ben vedere il suo percorso politico mi pare proprio che Lei sia stato fautore cosi come altri suoi allegri amici di questo mio partito (sottolineo mio perche sono tra i tesserati)di un forte attaccamento alla poltrona e di poco attaccamento alla realta’. E smettiamola di accanirci a destra e a manca… La gente non è stupida sw vuole anche senza tessera voterà ancora chi sa parlare”tricolore” e non “politichese”. Spero voglia accomodarsi in pensione.


  3. Giorgio Franco
    8 ottobre 2014

    Non so se riuscirò ad articolare un commento alle tue riflessioni. Ricordo anch’io i tempi della formazione del confronto dei dibattiti, anche se la mia partecipazione era meno importante di quella di tanti altri. Ricordo anche il commento che feci tra gli Amici ai risultati del 1994: press’a poco. Se non eravamo riusciti a comunicare il nostro progetto e a coinvolgere in esso l’elettorato significava che avevamo fatto il nostro tempo; che si doveva lasciare spazio ai più giovani, ecc. Senza per questo doversi procedere alla rottamazione, senza ricambio. E senza che coloro, che sarebbero stati chiamati a rappresentare e guidare, prescindessero dalle idee, dalla preparazione, dalla passione del confronto. Per lungo tempo si è creduto di risolvere il problema della costruzione del nuovo, con le formule, con i nuovi nomi, con gli apparentamenti: insomma col vuoto culturale. Quando in altri lidi fioriva uno sfacciato pragmatismo, che prometteva a ciascuno ricchezza e benessere: insomma altro vuoto culturale. Poi il buon Romano, nonostante i tranelli, ispirò la nascita del nuovo (nella forma, negli obbiettivi) partito. Respiro di sollievo. Finalmente il partito dei fatti! Mi dissi. Agli Amici del circolo, cui partecipavo, e a qualche Dirigente, che venne a illustrare e proporre la iniziativa e a presiedere la riunione per le votazioni del Segretario, espressi anche un timore. Ero convinto che quella sarebbe stata l’ultima occasione, per la nostra parte politica, di avere un partito moderno, capace di interpretare i bisogni e di raccogliere consenso attorno ai progetti di soluzione. Era opportuno perciò porre molta attenzione nella gestione. Ripetei, ad alcuni candidati alle ultime politiche, questi stessi timori: maneggiare con cura, raccomandai loro. Speravo che le mie fossero fisime. Ho la sensazione che non sia così. Non illudiamoci del 40%. Padova è amministrata addirittura da “foresti”. Per governare seriamente non basta la comunicazione verbale, nè la simpatia istantanea, che si ispira nella gente. Tanto meno le prove di forza. Non mi piace questo partito, gestito in questo modo. Sappia Renzi, se un po’ gliene importa, che non avrà il mio voto.


  4. Paolo
    9 ottobre 2014

    Tra i vizi di alcuni c’è anche la superficialità ed il parlare senza informarsi. Intanto da più di un anno mi sono tranquillamente accomodato in pensione, così rendendo superflua la sua richiesta. Non ho alcun incarico nè di partito nè istituzionale. Sopno un semplice iscritto. Che poi della situazione presente ognuno porti la sua parte di responsabilità per ciò che è stato fatto o non fatto nel passato non c’è dubbio. Tuttavia lei non ha diritto di parlare di attaccamento alla poltrona. Anzi qualcheduno mi ha accusato del contrario. Di cedere troppo facilmente alla tentazione delle dimissioni. Infatti mi sono dimesso prima della scadenza del mandato, quando ho ritenuto che fosse utile alla istituzione che rappresentavo, da Sindaco di padova, da Segretario Regionale del partito, da sottosegretario del governo prodi. Difficile parlare di attaccamento alla poltrona…


  5. Paolo
    9 ottobre 2014

    Caro Giorgio, spero che avrai motivo di ripensarci. Condivido le tue osservazioni, ma non la tua conclusione. Che il giovanilismo non basti è evidente, che anche una continua contrapposizione tra vecchio e nuovo ci porti fuori strada lo è altrettanto, ma che Renzi ci abbia portato fuori da una gravissima crisi di consenso è un dato di fatto. Non è detto che duri, anche per i motivi che hai espresso, ma certo bisogna lavorare perchè duri.


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