Una piazza basta a cambiare (in meglio)?

Pubblicato il 27 ottobre 2014, da Pd e dintorni

Due manifestazioni comunque importanti. In piazza con la CGIL in una imponente manifestazione una variegata rappresentanza del “popolo” della sinistra. Alla Leopolda di Firenze cittadini interessati a immaginare il futuro del paese. Se vogliamo tutte e due di “parte”, nel senso di chiedere una forte appartenenza, che rischia poi di diventare contrapposizione con l’altro da sé. Comunque manifestazione della voglia di partecipare.

Al netto della retorica descrittiva ( da una parte solo i conservatori, dall’altra solo gli innovatori, da una parte i difensori del lavoro, dall’altra coloro che vogliono levare diritti faticosamente conquistati) a me sembra che il tema centrale sia il seguente. E riguarda in particolare gli esponenti del PD che sono andati alla manifestazione, che naturalmente ha finito per assumere una forte connotazione politica.

Si pensa davvero che quella piazza possa rappresentare un blocco sociale in grado di governare il nostro paese? La risposta della storia è molto chiara: no. Quella piazza è minoritaria. Capisco che una marea di bandiere rosse muova il cuore, la passione, il legittimo orgoglio di una storia. Ma quel blocco sociale è troppo parziale, questa è la lezione da non dimenticare: tutte le volte che si è pensato che una piazza piena di slogan “contro” potesse trasformarsi in maggioranza la sconfitta è stata netta. Del resto basta vedere appunto la sloganistica della manifestazione: Renzi è un avversario da abbattere, Renzi è eguale a Berlusconi. E la ripresa di linguaggi, concetti, visioni di una sinistra di decenni fa, che ha perso grandi battaglie storiche, dalla scala mobile in giù. La gloriosa macchina da guerra di Occhetto, che ha aperto la strada a Berlusconi, i ministri in piazza, contro il governo di cui facevano parte, che hanno contribuito alla caduta di Prodi (1 e 2).

Sarebbe una sinistra che si rinchiude in un fortilizio, lasciando campo aperto alle scorrerie (politiche) in un campo molto più ampio. Davvero si pensa che attorno ad un sindacato che rappresenta parzialmente il mondo del lavoro, non riuscendo neppure a costruire una comune visione con il resto del sindacato (e sappiamo che i numeri dell’adesione al sindacato tra i lavoratori in attività sono tragici), mettendo insieme le mille sfaccettature di una sinistra che ha la vocazione alla divisione si riesca a costruire una piattaforma per conquistare il paese?cgilUna piazza fa una maggioranza?

Non è che mi piaccia tutto della Leopolda, soprattutto mi infastidisce questa retorica del nuovo, che presenta come cose mai viste cose che ben si sono fatte nel passato. Ad esempio la DC faceva  i famosi convegni di San Pellegrino, in cui fior fiore di intellettuali, ministri, dirigenti, esponenti del lavoro e dell’imprenditorialità riflettevano sul futuro. Egualmente succedeva nelle conferenze programmatiche del PCI. Leopolde ante litteram. Che non hanno impedito errori, difficoltà e soprattutto quel punto sempre presente, anche per Renzi: che tra il dire ed il fare ci sta di mezzo il mare. Però dalla Leopolda emerge una idea paese potenzialmente maggioritaria, un blocco sociale e politico davvero in grado di governare il paese cambiandolo in meglio.

In grado di competere in aree dell’opinione pubblica che se abbandonate a sé stesse si rifugiano nell’astensionismo. Ribadisco poi un altro concetto su cui mi sono già soffermato: a sinistra (del PD e dentro al PD) presi da un risentimento contro Renzi si sottovaluta grandemente quello che può succedere nella vastissima area del centrodestra con la fine di Berlusconi: il formarsi di un blocco politico di una destra nazionalistica contro l’Europa, contro le aperture, contro il progresso. Che si è già ben strutturata in Francia e che in Italia vogliono rappresentare Grillo e Salvini. La piazza di sabato (se esprimesse un progetto politico) sarebbe il miglior viatico al loro successo.

Resta naturalmente il fatto che in piazza c’erano anche tanti elettori del PD. Ce lo ricorda Ilvo Diamanti: “conviene rammentare che, se, effettivamente, il Pd, prima di Renzi, si era fermato al 25%, il Pd di Renzi ha superato la soglia del 40% non perché abbia “abolito” il passato, ma perché, al contrario, lo ha incanalato nel suo progetto. Come ho già scritto, Renzi ha sommato i voti del Partito di Renzi a quelli del vecchio Pd. Il suo post-partito e la “ditta”. In altri termini, ha intercettato i consensi di coloro che hanno votato per Renzi “nonostante” il Pd. Ma anche gli elettori che hanno votato per il Pd “nonostante” Renzi.”

Anche questo è un punto da non sottovalutare. Ci starebbe in mezzo la voglia di stare insieme. Di comporre passato e futuro, storie diverse. E’ stata la storia dell’Ulivo, preziosa ma sconfitta. Si può cercare senza essere condannati alla sconfitta?

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