Decidere e (è) convincere

Pubblicato il 16 aprile 2015, da Pd e dintorni,Politica Italiana

Prima premessa: se fossi ancora parlamentare non avrei alcun problema a votare l’Italicum. Non per disciplina di partito ma per convinzione. Ritenendolo un importante passo in avanti rispetto alle storture del Porcellum. E pensando che il parlamento è credibile se sa ad un certo punto decidere. L’Italicum è stato approvato la prima volta dalla Camera nel marzo 2014, restituito approvato con profonde modifiche dal Senato nel gennaio di quest’anno e siamo a fine aprile 2015. Ho fatto in tempo a vivere l’inconcludenza della bicamerale D’Alema, il blitz sconclusionato del porcellum, una intera legislatura per tentare inutilmente di rimediare a quella legge per non sentire come positiva una decisione sul punto.

Seconda premessa. Non mi sfugge la strumentalità delle argomentazione contrarie di una parte dell’opposizione interna. Con taluni che riscoprono la virtù salvifica della preferenza individuale dopo averla aspramente criticata come incentivazione del voto di scambio. Facendo finta di dimenticare che pur in presenza di primarie (nel caso del PD) il 50% dei parlamentari nostri è entrato evitando o scavalcando le primarie (segreteria Bersani). E poi: se veramente la legge fosse un attentato alla democrazia è difficile sostenere che l’attentato non ci sarebbe più se si diminuisse il numero dei capilista e si scambiasse il premio tra partito e coalizione. Tanto più con la disponibilità a rivedere la riforma costituzionale.images

Tutto questo però non mi nasconde un problema che a me appare (forse perché sono di una vecchia scuola) grande come una casa e che nessun vitalismo decisionale aiuta a diminuire.

Approviamo una legge elettorale sostanzialmente isolati, da soli, solo grazie all’anomalo premio di maggioranza offerto dal Porcellum. Ma una parte di questi voti (circa un terzo) sono dati (saranno dati?) non per convinzione ma esclusivamente per disciplina di partito. E lo stesso premier e Segretario del PD non vuole tornare al Senato in parte per una questione di principio, in parte perché non è sicuro di avere i voti.

Tutto bene? L’importante è avere la nuova legge elettorale e sulla riforma costituzionale si vedrà? Non ne sono convinto e naturalmente spero di sbagliarmi. Così come (ma sono sempre fisime da esponente di una vecchia scuola) mi sembra sbagliato derubricare a fattore secondario le dimissioni del capogruppo della Camera. Ho sempre visto che quando la politica viene ridotta all’aritmetica difficilmente non si paga il conto.

Anche perché il contesto generale è preoccupante. Possiamo incassare il dividendo della liquefazione della destra. Ma quando si crea un grande vuoto politico e si mettono in moto energie distruttive non si sa mai cosa ne viene fuori. E anche noi non è che affrontiamo le regionali in piena forma. In Campania abbiamo un candidato che se vincesse avrebbe problemi a fare il presidente, in Liguria un PD diviso con due candidati e la candidata ufficiale accusata di concorso in omicidio colposo e disastro colposo (cosa che appare davvero discutibile: non aver dato l’allarme per tempo durante l’alluvione genovese dell’ottobre scorso, come se l’assessore potesse dare l’allarme in assenza di richieste da parte degli organi tecnici cui compete l’accertamento), nelle Marche idem per la spaccatura nel PD, in Umbria non c’è traccia di rinnovamento renziano, riproponendosi in sostanza il vecchio gruppo dirigente che ha recentemente perso per la prima volta il comune di Perugia. Poi magari nella frantumazione lesionistica della destra (finalmente un po’ di tafazzismo anche di la) riusciamo a vincere dappertutto, ma è un sistema di rappresentanza in cattiva salute.

Per questo è un valore l’unità sostanziale del PD. Ridurla agli ordini da caserma non è molto saggio.

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4 commenti

  1. Stefano Allievi
    16 aprile 2015

    caro Paolo,

    per quel che vale:
    condivido in generale. E dissento in particolare.
    Condivido i principi generali, e gli auspici sul consenso, e l’ascolto, che è sempre buona cosa.
    Non entro nel merito del progetto di legge (che, come te, voterei).
    Resto sul metodo. Chi non vuole votarlo, semplicemente non vuole cambiare, o vuole cambiare alle sue condizioni, anche se è iperminoranza. C’è un problema di democrazia: e forse di supponenza di alcuni. E c’è un problema di sopportazione di un metodo durato già troppo a lungo. Che, tradotto, e lo so che spiace, si chiama ‘benaltrismo’ (c’è ben altro da fare), o ‘il meglio è nemico del bene’ (non ha bisogno di traduzione), o, peggio, ‘non ce ne frega niente di quello che pensano gli altri o di quello di cui ha bisogno il paese: a noi interessa fare una battaglia di minoranza e far rimarcare la nostra visibilità’ (e anche questo non ha bisogno di traduzione).
    Sei partito da una bella parola: convincere. Che vuol dire vincere insieme. Ma, lo sai anche tu, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. A me quello che sta accadendo nel PD fa venire in mente le coppie che si stanno separando. Se uno non vuol più bene all’altro, e non ha interesse alla famiglia in sé (anche solo, come si dice, per il bene dei bambini – o del partito, o del paese…), si incaponisce nella contemplazione del proprio ombelico (oh, quanto soffro… io: poco importa che soffrano anche gli altri, per motivi diversi), e non produce nulla di costruttivo. Come dire: se uno dei due non è interessato, per quanti sforzi possa fare l’altro, non c’è niente da fare. Può darsi che la metafora si applichi sia all’uno che all’altro. Io ho le mie idee, su questo: e vedo più responsabilità da una parte che dall’altra.
    Questo, sui principi, che per me sono comunque più importanti. Tatticamente, invece, come si dimostrerà, ha ragione da vendere Renzi. Sul fatto di portare a casa il risultato. Sul fatto di portarlo a casa prima delle regionali. E su altro ancora. E ne beneficerà anche la minoranza del PD. Se si vota, e passa il progetto. Se invece non passa, e si vota non in parlamento, ma nel paese, il paese perderà ulteriore tempo, anche se ne beneficerà il PD. Ma, immagino, non la sua minoranza…
    Una nota a margine, sui leader del passato. Ho grande stima di Jospin, per dire. Un uomo con una visione e dei principi: tempra morale e profondità di riflessione. Niente da dire, quindi. Ha perso – se ne è andato, senza recriminare. Lo stesso, che so, per Santiago Carrillo: sconfitto nel suo partito da un giovane emergente, lui, figura nobile della resistenza e padre della democrazia spagnola, si è messo a scrivere libri di memorie, e articoli di attualità, dando così il suo contributo all’evoluzione politica del suo paese. Ecco: è una cosa che in Italia non si è ancora imparato a fare, o solo di rado. Guardando al PD di oggi, mi viene in mente che è forse una lezione di stile da imparare. Che non ha nulla a che fare con la gratitudino o l’ingratitudine, il rispetto o la mancanza del medesimo. Ma, molto, con la capacità delle persone di comprendere la storia, e il proprio ruolo in essa.


  2. Paolo
    16 aprile 2015

    Caro Stefano, grazie per l’importante contributo di riflessione. Che condivido. Molte volte ho scritto di come il “benaltrismo” sia spesso espressione non di un ambizione più elevata ma di un sostanziale conservatorismo. E sono anche d’accordo sul fatto che tatticamente Renzi ha tutte le carte in mano e nell’immediato vincerà lui. Tuttavia se è doloroso un fallimento matrimoniale il dolore si circoscrive ai coniugi e ai figli se ci sono più una ristretta cerchia di parenti ed amici…Qui le conseguenze sarebbero molto più gravi. Tutto si sta sfilacciando: il 50% che non va a votare, la disgregazione della destra, un quinto di quelli che vanno a votare che continuano a pensare che M5S sia una risorsa…Il PD ha preso tanti voti per la capacità innovativa di Renzi ma anche perché ha dato la sensazione di essere solido ed affidabile, di essere un punto di riferimento. Se si sfarina anche questa area cosa resta di solido? Poco mi importa dei destini dei singoli. Nel mio piccolo penso di essere nel giusto. Mi sono ritirato e mi dedico ad altro. E chi è più in alto di me impari da Veltroni. Però qui si rischia di umiliare non i singoli ma una parte non marginale di elettorato, che poco a poco non si riconosce più nella storia del PD. Affidarsi esclusivamente al voto emotivo è rischioso. Comunque Renzi vincerà anche questa partita. Spero solo che non sia l’ultima giocata come PD.


  3. Cino Casson
    17 aprile 2015

    Sento e leggo violente invettive contro quei “democristiani” che si sarebbero impadroniti del PD. Non sono mai stato democristiano; né comunista, né socialista; vengo dal PRI di La Malfa (Ugo), ma non considero l’appellativo “democristiano” come una “lettera scarlatta”. E quando un democristiano di lungo corso scrive, con pacata intelligenza, opinioni condivisibili, apprezzo. E condivido anche le serie preoccupazioni sul degrado della politica. Se fallisce il PD si aprono prospettive molto inquietanti.


  4. Paolo
    17 aprile 2015

    grazie caro Casson, l’importante è non aver paura del confronto dell idee e sapere che grandi leader (come Ugo La malfa) hanno aiutato a capire, anche quelli che non lo votavano…


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