La sinistra e la “guerra dei sei giorni”

Pubblicato il 17 aprile 2015, da Nel Mondo

Intervento al dibattito organizzato dal PD padovano 8 aprile 2015

 

E’ molto utile l’iniziativa assunta dal PD padovano con il responsabile esteri Pierfrancesco Palego per la presentazione di questo singolare libro di Valentino Baldacci “1967 Comunisti e socialisti di fronte alla guerra dei sei giorni”.

Siccome siamo in una sede politica e non puramente culturale o di ricerca storica il libro ci interessa anche per gli insegnamenti che questa vicenda del passato può dare al presente.

Gli avvenimenti suscitarono un grande impatto sull’opinione pubblica. Ricordo brevemente i fatti riprendendoli da Wikipedia: “nel maggio 1967, Nasser ricevette falsi rapporti dall’Unione Sovietica secondo i quali Israele stava ammassando truppe al confine siriano; Nasser cominciò ad ammassare truppe nella Penisola del Sinai, lungo il confine israeliano (16 maggio), espulse la forza UNEF da Gaza e dal Sinai (19 maggio) e occupò le posizioni dell’UNEF a Sharm el-Sheikh, sugli stretti di Tiran. Israele ripeté le dichiarazioni fatte nel 1957, secondo le quali una chiusura degli stretti sarebbe stato considerato un atto di guerra o comunque una giustificazione per la guerra. Nasser dichiarò gli Stretti chiusi alle navi israeliane il 22-23 maggio. Il 30 maggio, la Giordania e l’Egitto firmarono un patto di mutua difesa. Il giorno successivo, dietro invito giordano, l’esercito iracheno cominciò a schierare truppe e unità corazzate in Giordania, con un successivo rinforzo di un contingente egiziano. Il 1º giugno, Israele formò un governo di unità nazionale e il 4 giugno fu presa la decisione di aprire le ostilità. Il mattino successivo, Israele lanciò l’Operazione Focus, un attacco aereo a sorpresa a larga scala, che sancì l’inizio della Guerra dei sei giorni”. Israele previene l’attacco egiziano e con una rapida azione occupa tutto il Sinai e la Striscia di Gaza che erano territori egiziani, la Cisgiordania e Gerusalemme Est vengono sottratti alla Giordania e le alture del Golan alla Siria. Come si vede tutta la situazione successiva fino ai giorni nostri è stata condizionata da quella guerra.baldacci

Il libro è un libro singolare perché ricostruisce le posizioni delle forze politiche della sinistra italiana attraverso una accurata lettura dei quotidiani politici, in particolare l’Unità e L’Avanti, che si fecero espressioni delle divaricanti posizioni politiche assunte dal PCI, schierato con il mondo arabo e dal PSI, a favore di Israele. Allora avevo vent’anni e ricordo dibattiti accesi anche all’Università, non senza qualche contraddizione. Perché è vero che gli studenti vicini al PCI rilfettevano le posizioni del partito sostenendo le argomentazioni arabe, ma su questa psizione c’erano i circoli univwersitari della destra fascista, che per questa via riflettevano rigurgiti antisemiti. Con un gruppo di amici invece io sostenevo la causa ebraica. Ma non ero ancora impegnato politicamente ed era più uno schierarsi emotivo a favore di Davide contro Golia.

Una prima riflessione che possiamo fare leggendo il libro riguarda la profonda diversità degli strumenti attraverso cui si formava allora l’opinione pubblica. La stampa di partito, oggi inesistente, era allora decisiva nel formare un pensiero condiviso nella militanza e di lì trasmettersi ad un più vasto circolo di opinione pubblica.

Il libro ci da ragione di come di fronte ad un avvenimento che accade improvviso (anche se i segni del maturarsi di una crisi erano presenti da tempo) una stampa militante riesce a svolger una campagna mediatica che si diffonde nel paese. Non mancando un linguaggio violento e semplificato ma insieme offrendo argomentazioni da potersi usare nei dibattiti sul territorio, da quelli al bar a quelli sul lavoro o nelle sezioni di partito. Perché i principali articoli potevano essere discussi e spiegati nelle riunioni politiche, per questa via accrescendo una consapevolezza nella militanza. Cosicché con una stampa di opinione prevalente mente schierata pro Israele (certamente Corriere della Sera e Stampa) riescono ad avere voce anche le posizioni pro arabi. Per dare una idea dell’ampiezza dei luoghi di dibattito e di trasmissione di pensiero il libro recensisce articoli comparsi in 3 quotidiani e 24 riviste.

La persistenza delle posizioni che si formarono allora nel conflitto arabo palestinese che hanno ampia eco nel mondo della sinistra di oggi sono in fondo una prova importante della capacità di costruire una egemonia culturale anche attraverso la stampa di partito di allora.

La tesi principale del libro è che elementi di politica interna condizionarono lo schieramento internazionale e che nella posizione molto rigida assunta dal PCI abbia potuto influire la lotta in corso sul piano interno contro il PSI.

In effetti si era in Italia da poco consumata la rottura politica tra PCI e PSI con la formazione nel 1964 del primo governo di centrosinistra e l’entrata al governo per la prima volta dopo il 1948 del Partito Socialista, con la vicepresidenza di Pietro Nenni. Pur rimanendo rapporti di collaborazione tra PCI e PSI nel sistema delle autonomie locali era una rottura dell’unità d’azione che aveva caratterizzato i rapporti tra i due partiti e l’apertura di una fase nuova che sostanzialmente lasciava isolato a sinistra il PCI. C’era perciò sul piano della propaganda politica la necessità del PCI di accreditare una immagine del PSI che rinunciava a posizioni tradizionali e sui allineava alla politica estera di matrice occidentale.

Sul piano internazionale dobbiamo tuttavia ricordare che la politica estera del PCI era allineata a quella dell’URSS che era ancora il paese guida, che era interessato naturalmente a mantenere una posizione di leadership nell’area del medioriente, così importante dal punto di vista economico (petrolio) e geopolitico. Vi erano i rapporti tradizionali con la Siria (ed ancora oggi vi è stata la difesa della Russia per il vecchi regime degli Assad). Era ancora da venire il ragionamento sull’eurocomunismo, sui paesi non allineati, ecc. Questo portava a vedere in Nasser un riferimento politico importante nell’area con il paradosso che il nazionalista (per convenienza “socialista”) Nasser la prima cosa che fece andato al governo fu di mettere fuori legge il Partito Comunista Egiziano.

E va anche ricordato che era aperto il conflitto in Vietnam e dunque anche la vicenda israeliana veniva inquadrata in un contesto in cui si doveva attaccare l’imperialismo americano ed i suoi alleati.

La posizione del PSI ed in particolare del suo leader Pietro Nenni fu senza esitazioni e compromessi a favore di Israele. Potevano pesare in questo schierarsi anche degli elementi personali. Nenni aveva avuto una figlia morta in un campo di concentramento nazista e si sentiva particolarmente vicino alle sofferenze del popolo ebraico. Bisogna però anche considerare che la guerra dei sei giorni viene condotta da Israele guidata da un governo laburista, facente parte dell’Internazionale Socialista come il PSI, che in Israele si stavano facendo delle sperimentazioni per una economia di un nuovo socialismo certamente ignota in Egitto. E certamente Nenni fu nel Governo italiano il più deciso sostenitore di Israele, tanto da polemizzare con la posizione assunta da Fanfani, ministro degli Esteri, accusandolo di tenere una “assurda posizione terzomondista di stampo gollista”.

La DC, appunto. Il libro non esplora questo campo perché si concentra nel dibattito interno al PCI e al PSI. Tuttavia è naturalmente rilevante il posizionamento della DC che esprimeva il presidente del Consiglio con Aldo Moro ed il Ministro degli Esteri con Amintore Fanfani. La DC aveva sviluppato da tempo una politica di grande attenzione al Mediterraneo ed al Medioriente. E vi era al suo interno un dibattito tra chi vedeva il ruolo dell’Italia esclusivamente dentro una rigida appartenenza al patto Atlantico, guardando più al Nord che al Sud del mondo e chi (ed era questa una psizione maggioritaria) cercava di costruire una posizione che fu definita di neoatlantismo. Dentro una fedeltà alle alleanze si riteneva tuttavia che l’Italia potesse giocare un ruolo particolare nel Mediterraneo e nei confronti dei paesi arabi. Perché c’era un interesse nazionale primario per la stabilità politica dell’area mediterranea, perché c’era una tradizione (legata anche all’ancorchè modesto passato coloniale) di influenza politica italiana nel mondo arabo, perché cera la partita energetica, in cui l’ENI di Mattei aveva saputo giocare un ruolo autonomo dalle grandi “sette sorelle” angloamericane, costruendo alleanze importanti con i paesi arabi produttori di petrolio.

Di fronte al precipitare degli eventi con la guerra dei sei giorni il Governo italiano cerca di ritagliarsi un ruolo di mediazione, che fu definito di “equidistanza attiva” (una delle invenzioni linguistiche dell’eloquio moroteo, come quella famosa delle convergenze parallele…) giocando un ruolo importante nelle assemblee dell’ONU che cercarono di gestire il post guerra. Moro ne diede conto nel corso del dibattito parlamentare del luglio 1967, in cui diede conto della pluralità di incontri avuti con tutte i paesi interessati ed i maggiori leader mondiali, spiegò come fosse stata sbagliata la richiesta dell’URSS di una convocazione urgente dell’Assemblea ONU, che in effetti non riuscì a concludere nulla in mancanza di una adeguata preparazione, e soprattutto individuava quattro punti per il dopoguerra che poi in effetti sono resti i punti irrisolti che hanno negativamente condizionato il poi: la questione dei profughi, la libertà di accesso ai traffici marittimi, la questione dei luoghi santi, lo sviluppo economico per tutto il medioriente.

 

Nel corso del dibattito alcuni interventi hanno criticato il fatto che si fosse poco parlato della questione palestinese e non si fosse criticata la politica israeliana.

Sul primo punto bisogna tener conto che abbiamo parlato di un libro che trattava esclusivamente il contesto della guerra dei Sei Giorni. Allora la questione palestinese aveva un’altra dimensione (l’OLP si forma nel1964, e poco dopo inizia l’attività di guerriglia di Al Fath), Gaza era occupata dall’Egitto e la Cisgiordania dalla Giordania ed una vittoria panaraba difficilmente avrebbe significato per i palestinesi la formazione dell’agognato stato della Palestina.

Sul secondo aspetto certamente sarebbe interessante una analoga iniziativa per approfondire la questione. Sono anch’io critico su alcune scelte del Governo israeliano, particolarmente quelle del fronte nazionalista. Però bisogna anche capire la situazione: come pensiamo che reagirebbe l’opinione pubblica italiana se avessimo una parte del territorio soggetto ad attacchi missilistici e terroristici se siamo così allarmati dalle prediche di qualche iman e dagli sbarchi dei profughi? E quale credito si può dare alla volontà della controparte palestinese di accettare l’esistenza dello Stato di Israele se nei sussidiari delle scuole palestinesi Israele non esiste nelle cartine geografiche e neppure quando si fanno le previsioni del tempo in televisione si riconosce l’esistenza di Israele?…

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