L’importante è non vincere

Pubblicato il 10 novembre 2015, da Pd e dintorni

C’è qualcosa di nuovo nel cielo della politica italiana? Qualcosa si sta muovendo. Del resto in politica il vuoto non dura mai troppo a lungo ed una situazione con Renzi unico soggetto politico (esagero semplificando) che dava tutte le carte non poteva durare a lungo.

Dunque c’è la resa (momentanea?) del fu Cavaliere a Salvini, che comunque per proporsi come leader mette un po’ in sordina i temi dell’invasione e parla di economia. Dovevano essere tre giorni per fermare l’Italia, non se ne sarebbe accorta neppure Bologna se non ci fossero stati i professionisti della violenza. Lo stesso M5S è alle prese con una complessa evoluzione, sta progressivamente avvicinandosi a quello cosa da loro aborrita che è un partito: stessi litigi interni, cerca di andare oltre l’evanescente pseudo democrazia della rete per mettere a i piedi sul territorio, sembra con non grande successo, se fosse vero che a Milano sono talmente pochi i partecipanti alle primarie da vergognarsi a dirlo. Restando comunque attrattivo per una larghissima fascia dell’elettorato.

Poi c’è il PD. Con una scissione, sia pure al momento mini. Da non sottovalutare comunque.

C’è una domanda politica del tipo che Sinistra italiana vuole rappresentare? Certamente sì in pezzi di gruppi dirigenti centrali e periferici che si sono sentiti espropriati da Renzi. La sinistra deve essere quella conosciuta in passato. Non è concessa innovazione. Stesse parole, stesse analisi, stessi miti. Ma il mondo è cambiato. Ci sarà e di che dimensione nell’elettorato.?Questo nessuno può dirlo perché oggi l’elettorato è mobilissimo ed emotivo. Dipenderà da tante cose: dalla capacità di sviluppare leadership credibili, di essere capaci sul serio di unificare a sinistra, cosa che per il momento non è avvenuta. Però un bacino potenziale c’è, in elettori parcheggiati in M5S, in elettori che non votano (più) e naturalmente in elettori del PD.

Io perciò non sottovaluto niente.

Però ci si può sempre fare le due classiche domande: perché dovrebbe funzionare e a chi giova?sinistrarcobaleno

Per la prima domanda rispondo con un ricordo. Quando nel 2007 nacque la Sinistra Arcobaleno. Esattamente con l’obiettivo di unificare la sinistra che stava a sinistra del PD. Con la sinistra di allora (Rifondazione Comunista, Partito Comunista d’Italia, Mussi ed altri scissionisti del PD, i Verdi, ecc). Anche allora ci fu alla presentazione un grande pienone, anzi più pienone con 5.000 persone. Anche allora i leader dissero: “Puntiamo al 15%”. In sala più o meno gli stessi che abbiamo visto al Quirino un po’ invecchiati, da Salvi a Mussi, ecc. Poi alle elezioni del 2008 Sinistra Arcobaleno prese il 3,1%. Non unificò un bel nulla ma contribuì, per quello che poteva, alla vittoria di Berlusconi. La situazione oggi è diversa e c’è un disagio sociale ed una crisi di sistema che apre potenzialmente altri spazi. Constato che allora non funzionò né elettoralmente né come apertura di un processo politico nuovo.

A chi giova nell’immediato è piuttosto facile rispondere. Anche perché i fondatori lo hanno detto con chiarezza: il nemico pubblico n. 1 è Renzi, occorre abbattere Renzi alle amministrative per aprire nuovi processi. Dunque che si perda a Milano, a Torino, a Roma, ecc. Prefigurando alleanze con i cinque stelle, che li hanno messi gentilmente alla porta. Dopo Renzi luminosi obiettivi per la rivoluzione a sinistra.

No, quello che ci sarebbe dopo Renzi è chiarissimo. Per quello che succede in Europa (dopo la Polonia anche la Croazia ha visto la vittoria della destra e la sconfitta dei socialdemocratici) e per quello che evidenziano gli analisti politici in Italia. Se a destra nasce un minimo di leadership dopo il tracollo berlusconiano e se venisse meno la capacità di Renzi di convincere elettori di centro con un progetto di rinnovamento del paese l’unica cosa che otterrebbe Sinistra Italiana è contribuire solidamente al ritorno del paese sotto il dominio di una destra ancora peggiore.

Siamo fermi alla mitica battuta di Gino e Michele coniata nel 2001: “Come dice Fausto Bertinotti: in fondo la politica è uno sport, l’importante è non vincere”

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4 commenti

  1. pierpaolo coluccia
    10 novembre 2015

    Ribalto la mitica battuta: l’importante è vincere a qualsiasi costo? Perché se di questo si tratta, allora va tutto bene purché porti voti. Va tutto bene, anche rinunciare alle proprie radici ed ai propri ideali per qualche voto in più. Ma poi, viste le percentuali attuali del PD, poco sopra il 30%, ne sarà poi valsa la pena anche in termini di voti? O non è proprio il PD il partito più arroccato del momento, privo di alleati, a meno di non considerare tali Verdini, Cicchitto ed Alfano?


  2. Alberto Melis
    10 novembre 2015

    Ho visto il film “Alaska” e sono rimasto esterrefatto dallo spaccato che ne viene fuori della nostra società: valori zero, violenza tanta, obiettivo soldi. Di politico non c’è più nulla ed il regista Cupellini ha ragione: c’è uno sbandamento enorme, quello che conta sono i soldi e l’apparire. Se non vengono affrontate subito le questioni riguardanti la morale, il lavoro e la società non ha importanza se chi vince le elezioni è di sinistra o di destra, vincerà l’egoismo, l’ingordigia e la di loro figlia: la violenza.


  3. Paolo
    12 novembre 2015

    assolutamento vero. Bisogna ripartire dal sistema dei valori, dall’ideo di senso della vita, ecc.


  4. Paolo
    12 novembre 2015

    La politica non è testimonianza. La politica è lotta per il potere. per noi per cambiare in meglio le cose. Nelle concrete condizioni storiche che ci sono date. E’ la lezione del marxismo, tra l’altro. Come diceva Ingrao: “io e altri insieme, per influire, fosse pure per un grammo, sulle vicende umane”. Perdere significa far perdere i valori che si vogliono rappresentare. Non a qualsiasi costo ma costruendo le ragioni della vittoria possibile. “Ho perso ma avevo ragione” o “ho perso perchè il popolo è stupido” è la consolazione degli inutili. Potrei fare tanti esempi di alleati improbabili nella storia della sinistra. Dal Lenin della Rivoluzione d’ottobre, al Togliatti della svolta di Salerno che sceglie di allearsi con il fascistissimo generale Badoglio, ai silenzi sui crimini stalinisti in nome dell’internazionalismo proletario, ecc. Il punto è quello che sottolinei. Si sta rinunciando a ideali e valori o li si tengono fermi cercando di renderli vincenti nelle forme e nei modi propri di una società profondamente cambiata?


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