Al PD serve anche il noi

Pubblicato il 11 gennaio 2016, da Pd e dintorni

Penso che Renzi Presidente del Consiglio presenti un bilancio positivo. Nella conferenza di fine anno ha fornito dati per me incontrovertibili. A parte quell’eccesso di enfasi che lo caratterizza i risultati ci sono. Nell’economia, per quello che può contare l’azione di un governo nell’economia globalizzata, comunque più crescita, più occupazione, più consumi. In una azione riformatrice in diversi campi: lavoro, scuola, giustizia, pubblica amministrazione, ecc. Semmai quello che possiamo dire è che anche per lui occorre tempo per fare le cose. Per deciderle in Parlamento e poi perché le decisioni arrivino finalmente ai cittadini. Cosicché si confermano ingenerose le critiche fatte a suo tempo ad Enrico Letta. Perché se la colpa di Letta era di non essere riuscito a fare tutto in 8 mesi, il Governo Renzi è in carica da mesi 23, e ad esempio l’iter per le riforme costituzionali si concluderà nella prossima primavera. Naturalmente restano da fare cose difficili. Ad esempio la famosa spending review, che non consiste come spesso si afferma semplicemente in tagli di spesa pubblica ma soprattutto nell’organizzare forme più efficienti di produzione dei servizi, con una più rigorosa analisi delle priorità. Ma siamo in presenza di un Presidente del Consiglio che le cose le fa.renziconfstampa

Dove invece il bilancio mi sembra del tutto insufficiente è nel campo di Renzi Segretario del Partito Democratico. Efficacissimo nella campagna della rottamazione. Tempestivo e deciso nel capire che il tradizionale sistema dei partiti era al capolinea. Così come non fu Mani Pulite a far cadere i partiti della prima Repubblica ma piuttosto fu la fine di un’epoca storica con la caduta del Muro di Berlino, non è certo Renzi ad aver distrutto i partiti della seconda, ma il loro difetto o di non essere mai nati come organizzazioni democratiche o di essere lentamente rientrati nelle forme usurate della prima.

Renzi ha proposto alle Leopolde e in diverse altre occasioni una visione diversa del partito, con le definizioni che hanno innervosito i custodi del passato e che a me invece hanno incuriosito per il potenziale innovativo che hanno, dal partito tenda al partito nazione. Ma nulla è stato fatto. Al centro ed in periferia. E sono progetti impegnativi, che non nascono da soli. Occorre chiarezza di visione, determinazione nel perseguirla, capacità organizzativa, dialogo con il territorio, sperimentazioni. Io non vedo nulla di tutto questo. Sono troppo pessimista? Sarei molto lieto di essere smentito.

A me sembra evidente che l’unico veramente impegnato sulla tolda di comando è il vicesegretario Lorenzo Guerrini, l’altro, Deborah Serracchiani, sta a far il suo mestiere in Friuli e mi sembra al partito si dedichi occasionalmente. Esiste una Segreteria, un esecutivo? Boh. Parlo da semplice militante, che vede le cose dal di fuori dei circuiti del potere, ma io non ho pressoché mai saputo attraverso proposte intelligenti, manifestazioni, iniziative chi cavolo siano i dirigenti nazionali e cosa pensino dei settori loro affidati. A quali impegni chiamino i militanti, quali proposte ci facciano.

Non parlo dei territori. Continuo ad osservare sconcertato come nel Veneto non esista più il partito e pressoché nessuno se ne occupi. Dopo una sconfitta devastante. Non è successo nulla. Nulla vuol dire nulla. E non si sa se e quando succederà qualcosa. Sembra non interessi nessuno. Qualcosa succede nei territori, ma senza guida, senza prospettiva. Anche qui: troppo pessimista? Datemi elementi per essere più ottimista.

Del resto parlano i dati di chi conta. Crisi drammatica delle iscrizioni, e al meccanismo antiquato ma coinvolgente dell’iscrizione non è stato sostituito nulla di alternativo. Perché non basta l’occasionale strumento delle primarie. Anche ai “primaristi” non si è offerto nulla dopo per continuare a contare.

Ora si pone questo problema: si pensa che nella società disintermediata non serva null’altro oltre ad un solitario leader carismatico, efficace nella comunicazione? Attenzione: all’eccesso di Io, ben visibile anche nella comunicazione di Renzi, può corrispondere certo consenso e condivisione. L’uomo che comanda piace in periodo di incertezze. Ma è il rischio che sia fragile, momentanea e sempre transeunte. E questo tipo di democrazia, che sta diventando la forma normale in tutto il mondo, sta dimostrando tutta la sua fragilità. Con leadership che sembrano forti, ma poi incapaci in modo evidente di affrontare le sfide globali del nostro tempo. Lasciando i cittadini soli con le loro paure. E lasciando spazio enorme ai coltivatori di paure.

C’è stata una fase di uscita dalla guerra fredda e di intenso sviluppo globale che ha dato l’illusione che della politica non ci fosse più bisogno. La famosa espressione clintoniana “It’s economy, stupid” la riassumeva bene. Bastava la new economy, il mondo globale, i social. Oggi gli automatismi esistenti non risolvono le questioni.

Occorre ritornare ad un pensiero politico, capace di spiegare, guidare coinvolgere. L’ Io non basta, occorre riscoprire il valore del Noi. Con forme nuove, certo. Metà degli italiani pensano che possa esistere una democrazia senza partiti. Ma alla fine si sente il bisogno di quella comunità di valori, di idee, di passioni sulla società che sono stati i partiti perché la democrazia sia vitale, per dare più stabilità, più identità, più fiducia . Certo: perché ci si dovrebbe appassionare alla vita di un partito se si è chiamati solo ad essere spettatori, se non sentiamo coinvolta la nostra vita? Se non è comunità? Ma se non c’è comunità come può funzionare bene la democrazia? Non tutto nei partiti, non solo i partiti, ma luoghi in cui la politica venga elaborata, condivisa, trasmessa servono.

 

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2 commenti

  1. Paolo Batt
    13 gennaio 2016

    Sull’inconsistenza del partito, specialmente in periferia (e ancor più in Veneto), sono d’accordo. Per quelle tante persone che non mi conoscono, rimando al mio intervento fatto 1l 26 Settembre a Praglia. Ma visto che (salvo alcune volenterose eccezioni) nulla si muove, vorrei cercare una spiegazione fuori dagli schemi più usati. Partirei dalla differenza di clima che ho percepito personalmente alla recente Leopolda, rispetto a quello che si vive nelle riunioni nei Circoli e nelle altre sedi di partito. Ottimista, vivace, propositivo (anche se gestito mediaticamente) il primo. Poco partecipato, cupo e polemico il secondo. Ritengo quindi plausibile che questo partito, così com’è, sia considerato da Renzi più un problema che uno strumento utile. Se a ciò si aggiunge che in periferia chi ha posizioni dirigenti si possa chiudere in difesa di medi, piccoli e piccolissimi interessi personali (che sussisterebbero anche con un partito che perde il ruolo di governo), allora il cerchio si chiude.
    Che fare ?
    Rottamare quel clima negativo di cui ho parlato prima, sviluppando iniziative anche provocatorie e fuori della vecchia tradizione partitica. Aprire il partito a nuove persone e figure sociali. Dimostrare a Renzi che in periferia si può assottigliare la differenza tra il consenso del suo “brand” personale e quello delle proposte e candidature locali. A questo punto, obbligare moralmente il segretario a prendere decisioni ed iniziative incisive.


  2. Paolo
    14 gennaio 2016

    Caro Paolo, sono d’accordo. Quello che mi colpisce molto è che questo lavoro non lo fa chi magari va alla Leopolda e dovrebbe sentire la responsabilità di dare attuazione sul territorio alla forte innovazione che ha portato Renzi. Però c’è anche una responsabilità di Renzi, che dovrebbe capire che non basta la sua immagine per coprire tutto. Ad esempio che dopo la dramamtica sconfitta in Veneto non si faccia niente e la dirigenza nazionale se ne disinteressa totalmente non va bene.


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