E’ tornato il tempo di un progetto comune

Pubblicato il 15 gennaio 2016, da Veneto e Nordest

Venezie Post, 15 gennaio 2016

 Ha ancora senso parlare di Nord Est? O meglio, per onorare la testata su cui scrivo, delle Tre Venezie dei vecchi sussidiari della scuola elementare: Venezia Euganea, Venezia Giulia e Venezia Tridentina? Certo il territorio è stato in passato un elemento importante, cui fare riferimento per trovare risorse economiche, sociali, identitarie. Non solo qui naturalmente, ma qui in modo accentuato. Come è proprio di un popolo di emigranti che appena poteva ritornava.

Quando Giorgio Lago inventò il mito del Nord Est non è che ignorasse le profonde differenze storiche e culturali di quest’area. Da raffinato uomo di cultura e amante della propria patria veneta ben conosceva le linee di frattura tra le province venete, quella terra un po’ veneta e un po’ mitteleuropea che è diventato il Friuli Venezia Giulia, per non parlare della differenza tra todeschi e ‘talian nel Trentino Alto Adige. Pensava però che questa terra così dinamica e forte economicamente dovesse acquisire un peso politico. Di Roma diffidava totalmente, nelle Regioni nella fase finale non poneva grandi speranze. Pensava che i Sindaci, in modo trasversale, potessero essere i protagonisti della rivoluzione federale. Partendo dal territorio, appunto. Per il bene di quel territorio, ma anche dell’Italia.

Oppure, quando la politica aveva ancora il gusto di un pensiero, Carlo Bernini si inventò nel 1978 la Comunità Alpe Adria, mettendo insieme tra gli altri Veneto, Baviera, Friuli , Slovenia, Croazia, Carinzia, Stiria: l’idea di una Europa in cui le regioni transfrontaliere aiutavano a superare i nazionalismi e il Veneto da periferia diventava snodo fondamentale verso il Nord e l’Est che si sarebbe aperto alla globalizzazione.nordest

Tutta roba superata? Penso di no. Perché è vero che siamo in una fase di neo centralismo, di abbandono del progetto federalista che aveva animato il dibattito politico particolarmente in questa parte d’Italia, ma poi succede che la riforma costituzionale apra spazi nuovi per iniziative regionali ambiziose. Non per battere cassa ma per gestirsi risorse e poteri in modo più innovativo.

Dunque: perché i Presidenti di Veneto, Friuli V.G. E Trentino A.A. non cominciano a parlarsi con costanza, per costruire un progetto condiviso? Certo, ci sono diversità politiche, diversità istituzionali, tra una grande regione a statuto ordinario e due piccoli regioni a statuto speciale. Con una specialità destinata a non reggere all’infinito, però.

I problemi comuni sono moltissimi. Pensiamo a un problema all’ordine del giorno come quello creditizio: non è che la Popolare di Vicenza riguardi solo il Veneto, ci sono robusti intrecci con il sistema creditizio friulano. Problemi comuni, e le due finanziarie regionali qualche progetto condiviso potrebbero farlo. La logistica naturalmente: c’è voluto l’intervento autoritario del Ministro romano Del Rio per risolvere il nodo Valdastico, perché le classi politiche regionali non sono state in grado di costruirsi un accordo; o la portualità con la presidente del Friuli saltata su a cercare di tarpare le ali al grande progetto della portualità veneziana di Paolo Costa, come se il problema di essere in fondo al cul de sac del lago Adriatico non fosse un problema per tutti. Morta Venezia muore anche Trieste. O l’Università e la ricerca in cui le due regioni più piccole, potendo contare sulla maggiori risorse della specialità, hanno messo in piedi centri di eccellenza, che avrebbero tutto da guadagnare da un incrocio con la maggiore massa critica del Veneto. O il turismo, sempre più integrato con le risorse culturali, con tre regioni che fanno da solo il 30% delle presenze turistiche italiane e un progetto, quello della città diffusa della cultura che è stata una intuizione da non abbandonare. Insomma ce ne sarebbe di lavoro, per tornare al territorio non come illusione autosufficiente ma come voglia di protagonismo, di capacità di soluzione dei problemi, per contare di più in Italia e in Europa: se andiamo bene noi andate meglio anche voi.

Che poi vuol dire una cosa. Che è finita l’illusione della inutilità della politica. Lasseme stare, no ste massa a rompere le bale. Poche tasse che al resto che pensemo noaltri, al massimo el Sindaco. Che poi era un modo di dire, perché anche gli imprenditori veneti andava naturalmente a battere cassa ai ministeri romani, magari con aziende meridionevestite…

Oggi le società separate non ce la fanno, deve tornare la Politica, che non è una brutta parola, ma lo strumento per fare alleanze forti tra le energie vitali di un territorio, condividendo sfide, mettendo insieme risorse intellettuali e finanziarie, con l’ambizione di avere un futuro comune, per combattere nel mondo globalizzato. Sarebbe una bella occasione per le Regioni, superando sprechi, inefficienze, approfittando della riforma delle Provincie per ridefinirsi un luogo meno centrato su una burocrazia talvolta asfissiante e più capaci di guida e leadership di una intera comunità.

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2 commenti

  1. giovanna tempesta
    15 gennaio 2016

    Caro Paolo Giaretta, questo scritto mi ha fatto tanto bene nel leggerlo, vorrei dire è stata come una flebo che si fanno ai disidratati. Scriva bene e tanto. Non mi sento più sola come cittadina del Nord- Est.Giovanna


  2. Paolo
    18 gennaio 2016

    Cara Giovanna, grazie per la stima. Sono le persone come te che mi incoraggiano a continuare questo lavoro.


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