Libertà di coscienza?

Pubblicato il 4 febbraio 2016, da Politica Italiana

Vedrete che addentrandosi nelle votazioni sulla legge delle Unioni Civili si palerà molto, e probabilmente in modo superficiale, di libertà di coscienza e di necessità di rispettare il voto degli elettori. Proviamo a vedere la questione senza farci prendere dalla faziosità, perché sono aspetti importanti in un sistema democratico maturo.

Libertà di coscienza, senza superficialità

Il voto di coscienza, come espressione in sé, dovrebbe sempre esserci. Ci mancherebbe di votare contro coscienza. E’ proprio la libertà di coscienza che porta ad accettare la disciplina di gruppo, per la consapevolezza che una disordinata iniziativa di singoli non consentirebbe apprezzabili risultati nella vita parlamentare come in quella di qualsiasi assemblea superiore a tre persone. Perciò non può essere un alibi per far quel che si vuole. Occorre che la coscienza sia rettamente formata, non sia propensione all’arbitrio, all’individualismo, ad una certa arroganza o presunzione di sé. Bisogna accostare valori differenti e portarli a sintesi. In una legge ci possono essere elementi che non si condividono ma occorre considerare il complesso dell’effetto di una legge, bilanciando il positivo ed il negativo. Considerando anche un valore che la comunità cui si appartiene, il partito votato dagli elettori, dia una immagine coesa e affidabile di sé. Nello specifico poi si parla di libertà di coscienza rispetto alle decisioni di un gruppo parlamentare quando si tratti di materia, che entrando in profondità nel sistema di valori individuali, mal si presta a imposizioni disciplinari, specialmente se la materia non è contenuta in modo specifico nel programma elettorale.

Senza vincolo di mandato: libertà non trasformismoFotonapo1

Rispetto del voto degli elettori: è emersa sui social con parole talora violente ed inurbane nei confronti dei parlamentari del PD che hanno contestato la formulazione della stepchild adoption. In questo modo tradite il mandato ricevuto. Affermazione superficiale, perché avrebbero potuto obiettare quei parlamentari: gli emendamenti gli abbiamo fatto anche per dare rappresentanza ad altri nostri elettori che ci hanno sollecitato a rappresentarli. Allora si vede che il principio costituzionale “senza vincolo di mandato” non è un reperto del passato, da abolire perché travolto da una inaccettabile pratica trasformistica ahimè piuttosto diffusa. In realtà è uno dei principi formatisi fin agli albori del parlamentarismo. Il fatto che il parlamentare deve rappresentare la nazione e non solo i propri elettori. Come diceva Burke, giurista e parlamentare britannico nel ‘700: “l’elettore ha il potere di votarmi e poi di giudicarmi negandomi il voto, non ha il potere di dirmi quello che devo fare”. Un po’ rude ed eccessivo, ma resta il principio, a maggior ragione con una base elettorale molto mobile e non più intermediata da partiti ideologici e programmatici: il parlamentare deve guardare all’interesse generale e non solo a quello della propria base elettorale. Il confine tra rappresentanza degli interessi dei propri elettori e voto di scambio è molto labile.

Ad esempio non fu certamente un voto utile quello di quei parlamentari che nel segreto dell’urna votarono contro Marini, e poi contro Prodi, pensando che corrispondesse ad una sensibilità del proprio elettorato. Perché l’effetto fu funesto, si rimediò con l’elezione di Napolitano, introducendo una novità nella prassi costituzionale, la rielezione del presidente per un secondo mandato, che potrebbe essere un precedente alquanto pericoloso.

Parlamentari adulti

Dunque la democrazia parlamentare per ben funzionare ha bisogno di tutti e due gli elementi: una coscienza rettamente formata, sempre con un esigente esame di coscienza sulle scelte che si è chiamati a fare ed una interpretazione nobile del principio senza vincolo di mandato, a copertura dell’indipendenza delle proprie valutazioni e non del trasformismo parlamentare e questo richiede gruppi parlamentari come luogo di confronto, dibattito, decisione. Se no varrebbe quella esilarante affermazione di Berlusconi d’antan che sarebbe bastato qualche riunione dei capigruppo per decidere le cose, senza disturbare i parlamentari.

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