Buon compleanno PD?

Pubblicato il 17 ottobre 2016, da Pd e dintorni

Compleanno del PD. Nove anni dalla sua fondazione. Da quando oltre 3 milioni e mezzo di italiani, di cui 182.000 veneti, più della metà dei voti presi alle elezioni regionali del 2015, accettarono con entusiasmo la proposta di mettere insieme esperienze politiche nobili ma che avevano perso la spinta propulsiva. Usurati anche dalle divisioni dell’Ulivo, dal logoramento a cui era stata soggetta l’esperienza del governo Prodi, per troppe divisioni a sinistra.

La proposta di un nuovo inizio era piaciuta. Sconfitta inevitabile alle successive elezioni (chissà se lo capiamo anche oggi: se si da uno spettacolo di divisione e inaffidabilità non ti votano e Prodi era stato massacrato dai dissensi interni alla maggioranza) ma con un risultato ma più raggiunto alle elezioni politiche.

Il momento non è dei più felici per festeggiare. Però se avessimo più orgoglio delle cose che facciamo avremmo potuto utilizzare questo anniversario simbolico per vedere le cose positive che nonostante tutto il PD ha portato. Era piaciuta l’idea di andare oltre. Senza dimenticare le radici ma consapevoli che nessuna delle culture del novecento era in grado di governare una fase inedita, in cui gli schemi del passato non reggevano più. Però non abbiamo mantenuto le promesse (e le premesse culturali). Fin dall’inizio attaccando Veltroni, accusato di voler manomettere le certezze della grande casa della tradizione comunista italiana. Così scrivevano i “giovani turchi” del PD nel 2010 contro Veltroni: “Si è preferito rimuovere il passato, cullandosi nella retorica del partito “completamente nuovo”, figlio di niente e di nessuno, contenitore post-identitario di tutto, supermercato elettorale di un molteplice nulla… il discorso del Lingotto è stato il momento culminante, la summa teorica di un’eclettica visione dell’Italia”. Poi di questi giovani turchi qualcuno è uscito dal partito, altri si sono accomodati sugli strapuntini del potere.torta2

Alla fine è venuto Renzi. Nuovo entusiasmo in molti militanti ed elettori. Ma anche qui il partito si è presto bloccato tra due visioni opposte: tra chi pensa che la storia inizia nel presente e non vuole fare i conti con la forza di tradizioni, passioni, appartenenze che influenzano il presente e chi pensa che la storia sia così importante da limitarsi a ripeterla sempre eguale, senza voler leggere i profondi mutamenti culturali, antropologici, di condizioni di vita e di lavoro che sono intervenuti.

Spero che l’iniziativa che ha preso finalmente Renzi sulla legge elettorale contribuisca a ricostruire le ragioni di una posizione largamente unitaria sulla questione del referendum. Mi dispiacerebbe non riuscire a festeggiare il decennale della fondazione, ma il problema non è solo il no dopo aver votato sì in Parlamento e dopo che il partito ha deciso una linea. Sono gli argomenti del no che mi preoccupano: come può un dirigente del PD pensare che il Presidente del Consiglio e Segretario del proprio partito sia un pericoloso avventuriero che ha in mente una svolta autoritaria?

Forse meglio  non parlare del Veneto. Sono andato a rileggermi le cose che avevo detto alla prima assemblea del PD il 10 novembre 2007, alla Fiera di Vicenza. “Noi abbiamo fiducia nel nostro Veneto. Pensiamo che una alleanza tra buona politica e buona società sia possibile e necessaria, Vogliamo coltivare le speranze coraggiose dei veneti più che le loro paure. Siamo fieri delle nostre radici della nostra capacità di inventare e produrre ricchezza. Vogliamo stare da quella parte di cittadini coraggiosa e curiosa che non ha paura dei cambiamenti epocali, che non si ripiega su sé stessa in una spaventata illusione di autosufficienza…Ce la faremo? Ce la faremo con la forza delle grandi idee. Ce la faremo se avremo quel senso profondo del rigore etico e quel senso chiaro del bene comune che rende credibile la buona politica”. Forse parole un po’ retoriche, che sottendevano però un lavoro politico.

Progressivamente è andata inaridendosi la vena del rinnovamento. Qui nel Veneto il renzismo non ha prodotto coraggiosa innovazione, ma un immobilismo che si è dedicato solo a ridefinire una geografia di potere. Così chi si sentiva a casa nelle vecchie tradizioni non si è sentito più rappresentato ma il nuovo non è stato costruito. Fino alla prova di ignavia dimostrata dopo la grave sconfitta elettorale delle regionali. Il nulla come scelta politica: niente nuovo segretario, niente congresso, niente commissario. Ora si è appreso che verrebbe come commissario il vicesegretario nazionale Lorenzo Guerrini e poi si farebbe il congresso a febbraio. Troppa grazia verrebbe da dire, se non fosse che evidentemente un commissario così lo vedremo si è no una volta, perché avrà molto altro da fare. Ammesso che si faccia il congresso nel febbraio 2017, in condizioni politiche molto più difficili del 2015, due anni secchi persi.

Parole troppo dure? Non so, ma è quello che sento ricordando fatiche, passioni, entusiasmi che hanno accompagnato anche la nascita del PD veneto. C’è bisogno di tornare lì. Chi non lavora non mangia dice un vecchio proverbio. Chi non lavora non prende voti e consenso e fiducia.

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1 commento

  1. Giovanni Gasparin
    17 ottobre 2016

    Parole sante!…


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