Il calcio, Icardi, Faruk e la democrazia

Pubblicato il 20 ottobre 2016, da Politica Italiana

I problemi sono tanti. Chi vincerà negli Stati Uniti (in vantaggio senza entusiasmo Hillary, ma cosa possa succedere nell’urna con i candidati populisti alla Trump non si sa mai, perché c’è chi si vergogna a rispondere Trump ai sondaggi ma poi lo vota), se questa Europa si deciderà a impostare con un po’ di coraggio una politica di sviluppo, il lavoro che continua a mancare, anche con molti dati contraddittori, il dibattito sul referendum che temo produrrà se continua così un popolo estenuato che non andrà a votare, ecc. ecc.

Io invece mi occupo di una vicenda minore. Il “caso” Icardi. Il giovane bomber nerazzurro, maneggiato da una moglie, madre, manager, duramente contestato dalla curva, che non vuol dire necessariamente contestato dai tifosi. Contestato per gol sbagliati, contestato per aver osato scrivere su una sua biografia versioni di fatti che a una persona normale appaiono del tutto trascurabili (la consegna di una maglia ad un bambino a cui la avrebbero requisita per ridarla al capitano nerazzurro, ritenuto non degno della maglia) ma che non sono piaciuti agli ultras. Per questo fischiato, apostrofato con il gentile epiteto di “uomo di merda” o “infame”, aggredito (forse) sotto casa con relativa esposizione di striscioni minacciosi. Per questo punito dalla società, che lo conserva capitano (qualche golletto lo fa, sei sui dieci totali fin qui fatti dall’Inter) ma costretto a scusarsi e a cambiare la versione nella ristampa del libro (per sua fortuna nel frattempo esaurito).icardi

Perchè me ne occupo? Non solo ricordando un episodio che mi raccontò Armando Cossutta, comunista e sfegatato interista, di cui ho già scritto: successe negli anni ’50 che Giancarlo Pajetta arrivando in treno da Roma a Milano chiese al segretario di federazione il risultato del derby Milan Inter che era appena finito. Non avendo saputo rispondere il segretario fu sostituito in tronco con la motivazione che non si può guidare un grande partito popolare se non si conoscono le passioni coltivate dal popolo.

Però c’è un significato più profondo. Da un lato si evidenzia un certo marciume che resta nel mondo del calcio, italiano in particolare. In cui nonostante tante retoriche parole e promesse le squadre restano ostaggio di manipoli di tifosi violenti, che impediscono al tifoso civile di godersi le partite, e le squadre accettano il ricatto, perché non c’è stata una parola di seria condanna da parte della dirigenza dell’Inter sulle violenze verbali e fisiche nei confronti del proprio capitano. Dall’altro proviamo a trasferire dal mondo del calcio al mondo civile questo episodio. Mettiamo che succeda che un manipolo di neofascisti apostrofi violentemente l’autore di un libro ed il suo editore pretendendo una censura su quel libro perché non gli piace. Perché ad esempio non si deve parlar male del Duce. E che l’editore vilmente chini la testa accettando il ricatto.

D’accordo. Il calcio non è così importante, ma i principi si. Valgono o dovrebbero valere sempre, nelle piccole cose perché possano valere anche per le grandi. E’ questione di cultura democratica, di dignità e schiena dritta. Consiglierei in proposito un bel libro di Gigi Riva (che non è il mitico Rombo di Tuono capitano del Cagliari e della Nazionale) ma un giornalista che nel romanzo “L’ultimo rigore di Faruk: Una storia di calcio e di guerra” racconta molto bene, attraverso le vicende di Faruk Hadžibegić, mitico ed ultimo capitano del Sarajevo e della nazionale jugoslava, il ruolo fondamentale che ebbero le curve degli ultras nell’anticipare il clima di nazionalismo, di violenza e di odio etnico che sfociò nel dramma della ex Jugoslavia e nelle varie pulizie etniche che costarono la vita di centinaia di migliaia di persone innocenti. Anche il calcio può essere maestro di vita. Nelle cose buone ed in quelle cattive.

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