Senatus mala bestia?

Pubblicato il 18 novembre 2016, da Politica Italiana

Senatores boni viri, senatus autem mala bestia (lat. «i senatori sono uomini perbene, ma il senato è una cattiva bestia»). Dice il dizionario Treccani che è sentenza di età e di origine incerta, con la quale si vuol significare che in ogni collettività i componenti, presi uno per uno, sono brave persone, mentre non sono più tali nel loro complesso, nella massa.

Sto girando molto per il referendum a sostegno del Sì. La partecipazione è in genere molto buona. Chi viene appare interessato, fa domande, non si accontenta di slogan. Migliori sono gli incontri dialettici tra Sì e No. Mi divertono certi argomenti del NO che pur di andare contro Renzi sostengono cose che per loro dovrebbero essere insostenibili. Ad esempio mi è capitato di discutere con una esponente della sinistra radicale e sentirmi dire ogni bene della capacità riformatrice della Democrazia Cristiana. Da ex democristiano non posso che essere contento di questa revisione dei giudizi, se non che ricordo bene cosa pensasse all’epoca la stessa persona dei governi di centro sinistra…

Oppure, avendo per tanti anni girato l’Italia con le immancabili domande sulla eccessiva numerosità del Senato, sui suoi costi, sulla sua superfluità, ora sembra che la massima latina vada invertita, sono i senatori che sono diventati delle male bestie della casta ma il Senato è diventato bonus, anzi bonissimus.

Forse è meglio andare alla sostanza di questo bicameralismo paritario che così non esiste in nessun paese al mondo. L’idea di due Camere che fanno le stesse identiche cose e duplicano le procedure parlamentari ha un senso oggi? Tenendo conto che anche nel ’47 fu una soluzione di compromesso, non riuscendo i costituenti a mettersi d’accordo su altre ipotesi: sistema monocamerale, senato delle regioni, senato delle corporazioni, ecc.

Se si guarda al processo legislativo ci si accorge che davvero non ha (più) senso. Nulla vieta naturalmente che se ci sono numeri, chiarezza di volontà politica, unità, ecc. si possa procedere rapidissimamente con qualsiasi regola. Ma bisogna guardare a ciò che normalmente avviene. Perché le cose vanno così: il provvedimento viene assegnato ad una delle due camere, mettiamo al Senato, che inizia l’esame nella commissione competente. Se il provvedimento è di un certo rilievo si inizia con audizioni di esperti o rappresentanti dei mondi interessati, poi si fa la discussione generale, poi si presentano gli emendamenti, che devono essere discussi ed approvati. Finalmente, dopo una certa attesa perché vi sia spazio nel calendario dei lavori d’aula, inizia l’esame da parte dell’Assemblea. Si può immaginare che essendo già stato trattato in Commissione ci sia una procedura più semplice e veloce.

Altan d'antan, da Linus 1984

Altan d’antan, da Linus 1984

Manco per idea perché l’opposizione presenta tutti gli emendamenti già bocciati e anche molti senatori della maggioranza li ripresentano (senza speranza di approvazione) ma per poter dimostrare ai loro referenti che la loro parte la fanno. Vengono chiamati “emendamenti pennacchio”, giusto così per farsi vedere. In aula di nuovo discussione generale, presentazione degli emendamenti, loro discussione e votazione, fino al voto finale con dichiarazione di voto da parte dei gruppi. Finalmente il provvedimento passa alla Camera. Già istruito si procede velocemente? Difficile, il più delle volte stessa procedura: Commissione, consultazioni, discussione generale, emendamenti, discussione e votazioni. Poi si va in aula se e quando si trova uno spazio nel calendario e tutto di nuovo.

Naturalmente anche alla Camera si deve lasciare il segno, introducendo delle modifiche, sia perché non sono condivise le soluzioni trovate al Senato oppure perché si aggiungono materie nuove. Perciò il provvedimento ritorna di nuovo al Senato. La norma sarebbe che a questo punto il Senato approva il testo ricevuto, ma non sempre è così: comunque esame della Commissione, eventuali emendamenti, esame in aula, voti ecc. Se ci sono modifiche deve tornare alla Camera un’altra volta sperando che i deputati accettino le modifiche fatte dal Senato che contraddicono le decisioni della Camera.

È compatibile questa procedura con i tempi richiesti per un corretto funzionamento delle istituzioni? Per me non è più compatibile, se si parte dall’idea che il parlamento non è il luogo delle chiacchiere ma il luogo delle decisioni, in cui si discute, si ascolta si esamina, ma poi si decide in tempi compatibili con le necessità del paese. Perché se si introducono delle norme di legge evidentemente si pensano che siano utili, che servano a risolvere problemi dei cittadini e non è la stessa cosa decidere in 100 o in mille giorni.

Perché il risultato che si ottiene con queste procedure è scritto nelle statistiche: gli unici provvedimenti che viaggiano speditamente sono i decreti legge del governo, perché c’è il termine costituzionale di 60 giorni per la loro approvazione. Le altre leggi vengono approvate con una media di 500 giorni. È accettabile?

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • RSS
  • Pinterest
  • Add to favorites
  • Print
  • Email

Tags: , ,

Scrivi un commento