Usare il tempo non vuol dire perderlo

Pubblicato il 19 gennaio 2017, da Politica Italiana

Il senso del cambiamento radicale e globale del nostro tempo è chiaro. Si possono ascoltare discorsi impensabili solo qualche anno fa.

Così sentiamo il Segretario del Partito Comunista Cinese (sì, si chiama ancora comunista) inneggiare alle virtù della globalizzazione e del libero mercato. Mentre l’eletto Trump riprende parole del protezionismo, della divisione del mondo, con una visione fatta di conflitti da tenere aperti (le due Cine, la Brexit per isolare l’Europa, ecc.). Del resto la Cina ha grandemente beneficiato dell’apertura del commercio mondiale, sia come grande produttore per il mondo intero, sia come potenziale banca per la finanza globale; come è noto la Cina possiede una quota notevole del debito americano.

I “comunisti” che sostengono quello che una volta dicevano i liberisti e la destra americana che torna protezionista, interpretando paure e preoccupazioni dei ceti popolari. Bisognerebbe ricordare che tutta la parte negativa della globalizzazione con la smodata finanziarizzazione dell’economia nasce proprio dalle scelte liberiste del duo Reagan Thatcher con la scuola degli economisti di Chicago, con l’abolizione di ogni forma di regolazione nella circolazione del denaro.

Grandi cambiamenti. Qual è per noi il problema? Lo ha individuato con parole affilate un insolito Padoan, in versione leader politico: “Trump ed i seguaci di Brexit hanno una visione, l’Europa purtroppo non ha una visione da offrire” e “Dobbiamo prendere sul serio il populismo anche perché quelli che lo votano in molti casi sono brave persone che sono preoccupate sul futuro dei propri ragazzi, sull’educazione, sulla sicurezza. E vanno presi molto seriamente”.orologio

Del resto il rapporto annuale Oxfam sulle diseguaglianze mette bene in luce il crescere di una divaricazione drammatica delle opportunità ed una concentrazione delle ricchezze mondiali in pochissime mani. 8 solo persone fisiche posseggono il 50% della ricchezza mondiale. Ed anche in Italia la musica non cambia. Nella Penisola il 20% più ricco ha in tasca il 69% della ricchezza, un altro 20% ne controlla il 17,6%, lasciando al 60% più povero il 13,3%. O più semplicemente la ricchezza dell’1% più ricco è 70 volte la ricchezza del 30% più povero. La diseguaglianza naturalmente si trasferisce anche sui redditi.

E’ un fenomeno nuovo in questa dimensione, che contraddice le premesse su cui si è sviluppata la lunga stagione del welfare con la realizzazione di un circolo virtuoso tra crescita dell’economia, distribuzione dei redditi, crescita dei consumi, leva fiscale a disposizione dello stato per finanziare investimenti e servizi essenziali per il cittadino.

Non c’è qui spazio per approfondire. Basta però sottolineare che appunto come dice Padoan noi non abbiamo una visione. Si può dire noi come Europa ma anche noi come schieramento riformatore, stretti come siamo tra l’idea di aggrapparsi al passato, un passato per il quale non ci sono più i presupposti o l’idea che stiamo vivendo una parentesi e che con un po’ di appelli all’ottimismo e ricette tradizionali l’economia riprenderà senza problemi. Del resto anche la conquista della Presidenza del Parlamento Europeo (insieme alle altre due Cariche che contano, la Presidenza della Commissione e del Consiglio) da parte del centrodestra segnala questa crisi di prospettiva della sinistra.

Per questo elezioni subito rischia di nascondere una illusione. Io penso che Renzi costituisca ancora una risorsa per il paese e che siano giuste le cose fatte dal governo (con qualche caduta nella frenesia della campagna referendaria) ma il voto del referendum ha messo in luce non solo l’isolamento politico del PD e una grave frattura interna ma anche una opinione pubblica che non si è riconosciuta nel messaggio ottimistico e laudativo. Il 40% del Sì è una base importante di partenza ma è alquanto imprudente immaginare che si trasferisca automaticamente sul PD.

Prendiamoci il tempo, approfittando anche della buona stima che si sta conquistando Gentiloni, per ricostruire le ragioni del riformismo italiano, per incanalare l’energia di Renzi a servizio di un progetto più strutturato, in cui si dimostri che concetti e valori come eguaglianza, tutele, valore del lavoro, ecc. possono tradursi in politiche concrete ed innovative.

Ricostruire il partito, anche. Almeno con chi vuole ancora scommettere sul PD. Anche qui pensare che il problema sia ancora il giovanilismo (“metteremo dirigenti giovani e preparati”) mi fa credere che ci sia davvero un difetto di lettura della realtà. Perché quando Renzi ha preso in mano il partito ha messo tutti dirigenti giovani e nuovi (immagino che pensasse che fossero anche preparati), a Roma e dove ha potuto anche sul territorio. I risultati sono quelli che vediamo. In alcuni settori strategici questi nuovi dirigenti non hanno neppure tentato un serio lavoro, accontentandosi di qualche comparsata in televisione…Ripetere gli stessi errori diabolicum est. Ben altri sono i problemi da affrontare. Usare il tempo non vuol dire perderlo. Può voler dire costruire quello che serve

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • RSS
  • Pinterest
  • Add to favorites
  • Print
  • Email

Scrivi un commento