Ricominciare?

Pubblicato il 22 febbraio 2017, da Pd e dintorni

“Tutto è perduto fuorché l’onore” scrisse alla madre Francesco I dopo la sconfitta a Pavia ad opera di Carlo V. Il PD rischia di perdere anche l’onore, che in politica è il rispetto degli elettori.

Non sono d’accordo con Massimo Cacciari quando dice che il PD è un partito nato morto. No, è un partito che ha mosso passioni, entusiasmi, condivisioni, ha perciò portato vita. Per questo è davvero incredibile farlo ora morire. Per insipienza. Per mancanza di responsabilità. Per personalismi che si sono incancreniti. Vedremo quanto larga sarà la scissione, ma comunque è una speranza che si sarà inaridita. Mi è capitato altre volte di trovare nuove case per l’attività politica. Ma quando è finita la DC, poi il PPI nei cui gruppi parlamentari militavo, poi la Margherita per arrivare al PD si lasciava una casa per costruirne una più grande.

Ora è comunque un ritorno indietro per tutti, per chi va e per chi resta: trovarsi in una casa più piccola, con amici e parenti che se ne sono andati. I divorzi si accompagnano spesso a miserie, ai tentativi di addossare le colpe all’altro. Poco conta. Il divorzio è sempre un fallimento e non è che due torti facciano una ragione. E le responsabilità ci sono, e gravi, in chi resta e chi lascia.

Battaglia di Pavia 1525

Battaglia di Pavia 1525

Renzi è il segretario. Quando si rompe una comunità chi ha avuto il compito di custodirla comunque porta sulle spalle il peso di un insuccesso. Il lavoro del politico si giudica sempre dai risultati. Le buone intenzioni, la determinazione, la vitalità contano fino ad un certo punto. Sono i risultati, e qui abbiamo un partito che comunque smagrisce, si inaridisce nei territori. Doveva essere una legislatura costituente, e Renzi questa intuizione la ha avuta e la ha perseguita anche con determinazione. Ma i risultati, ahimè, sono quelli che sono: il paradosso è che la Costituzione sarà immodificabile per un paio di generazioni e siamo arrivati, con gli interventi della Corte, ad una legge iper proporzionale e con i capilista bloccati, che faciliterà frammentazioni e dominio dei partiti, sempre più esangui, nel formare il parlamento.

L’opposizione interna. Chi se ne va. Un atto grave. Anche perché se ne va senza combattere. Non ha truppe sufficienti per affrontare il congresso. Avevano chiesto il Congresso. Lo hanno ottenuto. Hanno chiesto che il Governo duri fino a fine legislatura, in sostanza lo hanno ottenuto. Perché contano così poco nel partito? Perché è sbagliata la linea politica di Renzi? Eppure i sondaggi dimostrano la tenuta elettorale del PD e semmai confermano che a sinistra lo spazio è modesto, almeno finché troppi giovani italiani pensano che il M5S sia di sinistra…Forse è anche il fatto che son troppo vecchie quelle ricette. Fuori per far che cosa? Il M5S, cioè il movimento 5 sinistre, tra l’altro disturbando la positiva iniziativa di Pisapia.

Capisco che sia una conclusione inevitabile. Troppo dura la battaglia sul referendum. Non solo il No, ma argomenti insostenibili con il permanere in un partito che sarebbe guidato dallo stesso segretario, perché i voti per farlo ce li ha. E d’altra parte Renzi in nessun modo ha manifestato l’idea di non volere davvero perdere una parte del partito a sinistra. Il disprezzo delle mediazioni. I cosiddetti caminetti additati come esempio di cattiva politica. Può darsi, ma i caminetti di una volta (il tentativo delle personalità più rappresentative di un partito di trovarsi per individuare le soluzioni migliori per superare i dissidi) hanno consentito di evitare tanti scissioni ed hanno evitato spettacoli indecorosi ai propri elettori.

Inizia un’altra storia. Io resterò nel PD, con meno entusiasmo, con meno voglia di lavorare. Penso che ce ne saranno molti come me. Spetterà al Segretario dimostrare di aver capito qualcosa dai suoi errori: che oggi la politica ha bisogno di personalità forti, ma non di dittatori. Che occorre coltivare un pensiero profondo, una prospettiva, non solo slogan efficaci che il tempo corrode in fretta. Che i cerchi magici sono spesso fatti dai peggiori collaboratori, perché ottundono il senso critico. Che una comunità ha bisogno di rispetto, curiosità, selezione dei migliori. Che, per quanto meno di una volta, il meccanismo del consenso non si basa solo su un leader carismatico, sull’uso efficacie dei media. C’è anche un territorio in cui si costruiscono consenso e credibilità, si forma personale politico per il futuro, e se il territorio lo desertifichi, fidandoti solo dei fedeli e non dei migliori, il prezzo lo paghi.

Ci speriamo? Per forza, ma il pessimismo della ragione cresce e bisognerebbe rafforzare l’ottimismo della volontà. Proviamoci.

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • RSS
  • Pinterest
  • Add to favorites
  • Print
  • Email

6 commenti

  1. bruno magherini
    22 febbraio 2017

    Caro Senatore, mi scuso se intervengo (per l’ultima volta, prometto). La invito ad osservare l’andamento elettorale del vostro (a questo punto ex) partito e ad annotare quanti voti avete perso per strada in questi tre anni. La scissione in realtà l’hanno già fatta una notevole parte di elettori. Il segretario di un partito avrebbe dovuto riflettere sui fatti, perchè in politica sono solo i fatti la cosa che conta. Avrebbe dovuto, se voleva, fare una sintesi tra le diverse anime del suo schieramento. Così non è stato. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. Quando vi è stato detto avete fatto finta di nulla. Avete preferito seguire supinamente il vostro “pifferaio” presunto magico, che andò per suonare ma rimase suonato, tornando con le pive nel sacco. Aveva promesso pubblicamente come era ovvio (v. registrazioni televisive pre-referendum) il ritiro a vita privata: aveva visto giusto il buon vecchio fiorentino prof. Giovanni Sartori quando lo definì “un imbroglione”: quanta saggezza in senectute! Avanti, dunque, con capitan Fracassa!
    Mi permetta di concordare con Cacciari: solo l’anti-berlusconismo vi ha permesso di stare insieme ma era un partito nato, se non morto, quantomeno “asfittico”. Intelligenza significa “intus legere”: leggere dentro ai fatti e alle persone. Mi spiace dire “io l’avevo detto”. Ma è così. Peccato la frammentazione della destra che avrebbe potuto far da pilastro alternativo del tavolo democratico.
    Ora inizia tutta un’altra storia: si naviga a vista.
    “De profundis clamavi… ecc… ecc…”
    Quando ero bambino (tanto tempo fa) la domenica pomeriggio dopo la radiocronaca della partita la radio mandava questa pubblicità: “se la squadra del vostro cuore ha perso consolatevi con Stock 84”. Purtroppo quella gloriosa marca italiana non c’è più. Avrebbe fatto comodo adesso! Animo, Senatore! Ci sono altre cose belle nella vita!!!! L’arte, la cultura, la scienza, l’amicizia, la convivialità….basta scegliere.


  2. bruno magherini
    22 febbraio 2017

    P.S. Se legge quelli odierni i sondaggi non sono così rosei per voi. E non siamo che all’inizio della frana!!! Mi scuso.


  3. Dino Bertocco
    22 febbraio 2017

    L’incipit del tuo articolo sprizza quel giusto orgoglio e quella ragionevolezza che ti dovrebbero portare a delle considerazioni meno pessimistiche ed adombrate sullo stato reale del partito e sulle sue prospettive. Il PD non sta vivendo una scissione, bensì l’autoallontanamento di una frazione di compagni (giusto dare loro l’onore delle armi) che hanno continuato a coltivare – sin dai tempi tribolati dell’Ulivo e dell’Unione – una loro specifica ed inossidabile identità ideologica, evitando di misurarsi sul piano culturale, politico, relazionale, con lautentica innovazione organizzativa rappresentata da un Partito, costitutivamente irriducibile non tanto ai caminetti (che non hanno impedito l’eutanasia dei governi Prodi e della Segreteria Veltroni), bensì alla obnubilazione della leadership senza il consenso della vasta platea di iscritti ed elettori.
    D’altronde il “portasfiga” (secondo la perfida definizione di D’Alema) Cacciari, soffre nei suoi – seppur sinceri – funerei giudizi, di quella subcultura schmittiana sulla funzione carismatica della direzione politica che, sommata alle abituali deformazioni interpretative poco diamantine dell’editorialista di Repubblica sul PDR-Partito di Renzi (arrivato alla spudoratezza di attribuire agli italiani – che avevano appena affossato la Riforma Costituzionale perché generatrice del “pericolo autoritario” – il desidero dell’”uomo forte”!), ha determinato nel corpo malato del sistema informativo ed in una parte dell’opinione pubblica una bolla mediatica sui poteri e sul ruolo esercitato dal (relativamente) giovane ex Presidente del Consiglio e Segretario PD.
    Una bolla che ha esercitato una malsana attrazione anche in Renzi stesso, ma soprattutto nei suoi detrattori, che – vittime innanzitutto della loro memoria infarcita dell’esperienza del “centralismo democratico” – non hanno compreso che il Partito in cui con-vivevano, è e sarà un ambito politico organizzativo trasparente in cui strategia, programmi e leadership sono sempre – per definizione -contendibili.
    La vera novità – indigeribile per una parte della vecchia nomenclatura – che abbiamo vissuto negli ultimi tre anni è rappresentata da una fisiologica accelerazione delle modalità espressive e nello stile di comunicazione: ascoltare ieri sera Bersani da Floris e D’Alema dalla Berlinguer – al di là dell’adolescenziale scaricabarile sull’usurpatore – richiamava le trasmissioni in bianco e nero di Tribuna politica…).
    Sul piano più strettamente politico-organizzativo, l’Assemblea di domenica e la Direzione di ieri, aprono uno scenario ricco di opportunità: l’affacciarsi di una nuova generazione di dirigenti con un crescente livello di autostima ed esperienza (cresciute proprio perche hanno potuto giovarsi della funzione trainante di Renzi), la conferma della presenza di alcuni padri autorevoli come Veltroni, Fassino e Franceschini, una pluralità di candidati in grado di intercettare diverse sensibilità culturali ed alimentare una partecipazione –adesione basata sul confronto programmatico e non solo sul carisma della guida solitaria.
    E poi c’è l’appuntamento del decennale del Lingotto in cui la visione che ha generato l’innovazione del PD potrà essere aggiornata depurando la struttura e la gestione dalle incertezze e debolezze proprie della fase fondativa (il vigore intellettuale nell’intervento di Walter Veltroni domenica, è stato il vero suggello positivo della stagione renziana ed un forte messaggio di speranza per il futuro).


  4. Tino Gianelle
    22 febbraio 2017

    Caro Paolo
    Come mi capita quasi sempre sono sostanzialmente d’accordo con le tue riflessioni, che apprezzo anche per la tempestività, coniugata peraltro con la profondità, cosa molto rara di questi tempi, con cui ti metti a disposizione di noi lettori, ancora interessati alla politica e in essa più o meno impegnati.
    Voglio aggiungere però una riflessione personale.
    Il tuo scritto si preoccupa di non apparire di parte e quindi distribuisce critiche quasi equanimi agli uni, al segretario essenzialmente, e agli altri.
    Ho personalmente dissentito da Renzi su alcune delle sue scelte di politica economica e di più negli ultimi mesi sulle sue prese di posizione nei confronti dell’Europa.
    Ma come avrebbe potuto evitare la scissione? Rinunciando alle sue idee, alle sue intuizioni, al suo provarci a cambiare e a rimettere in moto questo Paese? Su questo aveva ottenuto un grande consenso alle primarie del partito e alle elezioni europee. Aveva il dovere di provarci.
    I suoi oppositori interni non hanno nemmeno provato ad aiutarlo. L’hanno vissuto come corpo estraneo alla loro tradizione di provenienza e il loro obiettivo è stato fino dall’inizio quello di liberarsene al più presto. Del resto la linea politica alternativa che hanno provato a proporre in Direzione e in Assemblea, sintetizzabile in sostanza, per quello che io ho capito, in “più spesa pubblica e più imposte” non poteva essere accolta dal segretario, che giustamente la ritiene impraticabile e controproducente data la situazione in cui si trova il Paese. Se mai andrebbe rimproverato allo stesso segretario di non avere praticato con coerenza e linearità la sua linea di alleggerimento fiscale e contenimento della spesa pubblica, in termini quantitativi ma anche qualitativi.
    I suoi oppositori hanno quindi finito per cogliere l’occasione del referendum come quella più adatta per realizzare l’obiettivo di liberarsi di lui. Quando mai si è vista una cosa simile in un grande partito nelle nostre democrazie? E dopo aver contribuito alla sconfitta referendaria aggiungendo i loro voti a quelli di tutti gli avversari politici del PD, indipendentemente dal merito delle questioni, hanno usato il risultato per dire che il segretario con le sue politiche aveva fatto perdere consensi al partito e quindi doveva andarsene. Presunta perdita di consensi che giustamente tu contesti in modo puntuale.
    A questo punto cosa poteva fare Renzi per convincere gli oppositori a rimanere nel partito? Mi pare evidente che non è stato certo un problema di date in cui fare il congresso. Ridurre la disputa a questo mi pare risibile e fa torto alla sostanza del conflitto. Anche l’ultima proposta di Cuperlo ieri in Direzione mi è parsa perfino sconcertante. Davvero sarebbero rimasti se solo fosse stata accolta la sua proposta di spostare alla prima metà di luglio la fine del congresso?
    Se ne vanno perché era l’alternativa che hanno avuto in mente fin dall’inizio se non fossero riusciti a cacciarlo. Ottenuto il risultato del referendum davano per scontato che il segretario si sarebbe ritirato a vita privata. Alcuni di loro l’hanno detto esplicitamente. Questo era il loro obiettivo.
    In sostanza condivido il tuo giudizio su alcuni limiti della gestione Renzi, limiti che potrebbero essere superati solo da una sua presa di consapevolezza e da un maggiore e migliore contributo alla vita del partito da parte di tutti coloro che credono ancora, come te, che sia possibile salvare non solo il ruolo possibile di questo partito, ma le sorti stesse di questo Paese, che oggi sono visibilmente molto a rischio.
    Ma sono meno d’accordo con te sull’attribuire la stessa responsabilità per la scissione in corso al segretario Renzi e a quelli che se ne vanno.
    Con cordialità
    Tino


  5. Paolo
    22 febbraio 2017

    Caro Tino,
    grazie per il contributo.
    Non sottovaluto l’azione distruttiva di chi va fuori. Però Renzi ha sempre pensato di poter vincere da solo la partita del referendum. Rompendo gli accordi con Berlusconi sulla Presidenza della Repubblica, non cercando in alcun modo, quando era possibile, l’accordo con Bersani. C’è stata troppa superficialità. Comunque penso che alla fine l’area del dissenso sarà più limitato alal base che nel gruppo dirigente


  6. Paolo
    22 febbraio 2017

    Caro Bruno,
    questo è un forum aperto e tutti gli interventi sono benvenuti, tranne quelli con turpiloquio ed offese personali. Quindi sei sempre benvenuto. Vedendo quello che succede in Europa mi sembra troppo ingeneroso il tuo giudizio sul PD. Vedremo nel tempo l’esito di questa frattura


Scrivi un commento