Prima gli amici, altro che i padovani

Pubblicato il 16 marzo 2017, da Realtà padovana

“Prima i veneti” dice Zaia. Sarà. Prima i veneti per pagare due volte una Pedemontana, con le proprie tasse e poi con i pedaggi. Non per imprevisti, ma per l’imbroglietto di presentare un piano finanziario fantasioso. Che doveva essere l’esempio di come i veneti siano capaci di fare da soli. Sì, come con le banche.

Prima i padovani, dice Bitonci, l’aspirante Sindaco che di Padova non è. Slogan superficiali, naturalmente. Perché: chi sono i padovani, a ben vedere. Quelli nati a Padova? Un bel po’ sono quelli di cui Bitonci diffida. Infatti c’è un nato straniero per ogni due nati italiani. Tutti padovani però. E sono o non sono padovane le tante giovani famiglie che per motivi economici si trasferiscono nei comuni della cintura, anche se non sono più padovani a rigore di anagrafe?

Slogan a cui poi non corrispondono i fatti. Piuttosto Bitonci dovrebbe dire: “prima gli amici fidati”. Ad esempio prima l’amico Pellizzari, Presidente di una piccola associazione di commercianti (ignoto il numero degli associati) creata per cercare di dare fastidio alle associazioni maggiori, premiato con la Presidenza di Fiera Immobiliare, di cui sono note le disavventure. Che con la sua associazione da qualche settimana promuove una bancarellata che invade pezzi significativi del centro storico. Che meriterebbe politiche un poco più ambiziose.

Di questo profluvio di bancarelle che vantaggio ne hanno i padovani? A guardare i prezzi praticati, al confronto di quelli praticati nel mercato delle piazze, molto pochi. Lasciamo perdere le condizioni sanitarie per chi vende dolciumi ed altro di alimentare. E questi commercianti sono padovani, a voler seguire gli slogan di Bitonci? No, padovani non sono, semmai sottraggono un po’ di mercato agli esercenti padovani.bancarella

Con il risultato paradossale ben ricordato dal presidente della Camera di Commercio Zilio e dal candidato Sindaco Sergio Giordani. Che per le assurde ordinanze emanate da Bitonci (che come tante altre non reggeranno ai ricorsi in sede giudiziaria) un esercente di attività artigianali/commerciali di preparazione e/o vendita di prodotti alimentari, dovrebbe assicurare la vendita del 60% di prodotti di origine veneta (e se io voglio mangiare specialità di altre regioni o specialità esotiche e non mi interessa che un ristoratore di cibo giapponese o messicano sappia fare anche le sarde in saor?) mentre per queste bancarelle non c’è alcun limite. Si chiamerebbe concorrenza sleale.

Prima gli amici poi gli interessi dei cittadini. In questo caso piccola cosa se vogliamo. Però vale il principio che è sempre sbagliato: usare dei propri poteri, degli spazi pubblici, dei beni comuni con finalità di parte. E dividere sempre la città. Le sue associazioni. Quando per una rete del commercio che deve subire tante pressioni concorrenziali (dalla grande distribuzione al commercio elettronico) servirebbero disegni ambiziosi di valorizzazione della rete commerciale del centro, che si sta depauperando per tanti motivi, compreso quello di affitti esosi e sproporzionati ai fatturati possibili. Centro storico senza rete commerciale di qualità significa centro storico meno attrattivo.

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