Trent’anni, e non son pochi

Pubblicato il 24 agosto 2017, da Realtà padovana

Sistemando un po’ di vecchie carte mi sono accorto che quest’anno sarebbe il trentesimo dalla mia elezione a Sindaco di Padova. Infatti sono stato eletto sindaco il 27 luglio 1987. Accidenti, come passa il tempo!

Quantum mutatus ab illo, commenterebbe il buon Virgilio. Tutto cambiato, non solo il fatto demografico, ché allora avevo appena compiuto 40 anni, ed ora ne ho 70.

È che era tutto diverso il sistema politico/istituzionale. Intanto non c’era l’elezione diretta del Sindaco e difatti subentro a metà legislatura, dopo la elezione con grande successo di preferenze (sì, allora non bastava essere nominati) del sindaco Settimo Gottardo alla Camera dei Deputati. Ci vogliono 43 giorni per decidere il successore, con tensioni tra i partiti, i socialisti in particolare volevano cogliere l’occasione per allargare il proprio spazio di influenza. Alla fine si sceglie la soluzione meno disturbante. Ero capogruppo della DC, non occorreva modificare l’assetto di giunta e si trattava in fondo di completare la legislatura in corso. Magari qualcuno pensava che sarei stato un sindaco di passaggio senza personalità sufficiente per durare. Ma alle successive elezioni fui in percentuali di voti il sindaco con più preferenze di tutto il nord est e chi voleva farmi fuori dovette rinunciare.

Un altro sistema politico. In Consiglio erano ben presenti tutti i partiti della prima Repubblica. Al Governo la DC con 31 consiglieri, il Partito Socialista con 5, il Partito Repubblicano con 3 ed il socialdemocratico con 1, all’opposizione la parte del leone la faceva il Partito Comunista Italiano con 11, i liberali con 2, una lista verde con 2, il Movimento sociale con 1. La Liga veneta a Padova era agli inizi con un solo consigliere, ed un consigliere aveva Democrazia Proletaria, con il giovane Ivo Rossi! E i partiti erano vivi e vegeti, con un ricco dibattito interno.

Il PCI cercava di supplire alla limitatezza dei voti (comunque era al 20%) cercando di esercitare la lezione gramsciana sulla egemonia culturale. Così la Festa dell’Unità si teneva in Prato della Valle al Foro Boario, con qualche protesta di benpensanti e residenti, con un programma gonfio di iniziative e dibattiti. Costicine sì, ma discussioni impegnate. Il programma di quell’anno comprendeva ad esempio incontri e filmati sul Cile, Che Guevara, San Salvador, per dire quelli sulla dimensione internazionale e terzomondista, come si diceva allora. ecc. Comizio conclusivo di Pietro Folena, segretario nazionale della federazione comunista. Non mancava un confronto con il nuovo Sindaco, con il titolo non esaltante “Sindaco nuovo, problemi vecchi” Era una bella tradizione però, si andava a prendere qualche fischio (subito contenuto con gesti autorevoli dei “capi”) e qualche applauso di cortesia. Ci si imparava però a conoscere e si poteva conquistare se non la condivisione almeno il rispetto. E anche per questa strada nacque la possibilità della futura giunta DC/PCI. Imparare a misurarsi con le diversità e scoprire le convergenze.

Molto più artigianale era la macchina comunale. Oggi è tutto un fiorire di capi di gabinetto e consulenti esterni. È più complessa la gestione e senza partiti a fare da mediatori con l’opinione pubblica è più complicato. Ma allora semplicemente non si poteva assumere dal di fuori senza concorso. Al massimo potevi chiedere il comando da qualche ente pubblico…

Non si parlava di addetti alla comunicazione e ai media. Non c’erano i social però c’erano a Padova quattro quotidiani e le tv locali incominciano a trasmettere. Non era semplice neppure allora ma tutto si svolgeva in modo semplice. Era una croce quotidiana ricevere i giornalisti, che non scherzavano mica con domande scomode o più o meno maliziose e se non volevi subire l’agenda dovevi inventarti almeno un giorno sì e uno no un qualche argomento accattivante…

Ogni epoca ha i suoi assetti. Resta però un fatto che ora che siamo tornati al governo a Padova dovremmo cercare di affrontare. Allora il sistema di partecipazione democratica era più robusto. Più vivace la vita consiliare, con il Consiglio che aveva poteri molto più estesi di oggi, gli assessori non erano dei semplici impiegati del sindaco, come talvolta succede, i partiti animavano davvero la vita politica della città e la partecipazione dei cittadini. Un sistema così non c’è più e non può tornare.

Ma resta il problema: quale nuove forme di democrazia urbana possiamo progettare. Non sola la partecipazione del no ad ogni novità, ma la partecipazione costruttiva alle decisioni. È una bella sfida da affrontare. Padova che è stata anticipatrice in tante occasione potrebbe cercare di esserlo anche questa volta.

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • RSS
  • Pinterest
  • Add to favorites
  • Print
  • Email

6 commenti

  1. Walter
    24 agosto 2017

    Si! Con i Comitati di Rione.


  2. Natale
    25 agosto 2017

    Bei tempi tutto era in evoluzione e poi viva Dio eravamo più giovani .ciao Paolo complimenti


  3. Paolo
    25 agosto 2017

    grazie mille


  4. Paolo
    25 agosto 2017

    Giordani ha proposto in campagna elettorale il recupero dell’esperienza dei consigli di quartiere. Non essendo più previsti per legge non potranno essere ad elezione da parte dei cittadini con potersi sostanzialmente partecipativi/consultivi. Penso che dovrebbero essere più vicini come dimensione ai quartieri iniziali, più piccoli e più caratterizzati per una identità rionale


  5. Alberto Pizzati
    26 agosto 2017

    A Padova manca lo ‘scenario’ in cui collocare una nuova architettura di gestione democratica dal basso. Il contrasto alle molte e diverse povertà urbane potrebbe essere un inizio di respiro …globale.
    Galileo scopri’ che guardando il dito…non si vedeva il moto dei corpi celesti! Forse, salendo sulla Specola…


  6. Paolo
    26 agosto 2017

    così è, caro Alberto


Scrivi un commento