Dalla Sicilia all’Italia

Pubblicato il 1 settembre 2017, da Pd e dintorni

Con la prossima settimana riprenderà a tempo pieno il dibattito politico. Che è stato segnato finora dalle vicende politiche siciliane, da usarsi come palcoscenico per le scelte politiche nazionali che si stanno avvicinando con la scadenza delle elezioni politiche generali nella prossima primavera.

Chi mi segue qui sa che non ho risparmiato parole perplesse sulla conduzione politica di Renzi, che molto poco ha fatto perché si creassero le condizioni politiche per evitare una scissione a sinistra. E guardo comunque con rispetto, anche se non ne condivido le scelte, a chi ha deciso di aprire un’altra prospettiva politica, perché si tratta di persone con cui ho condiviso una grande fase creativa per la riorganizzazione del fronte progressista del nostro paese.

E tuttavia seguendo le cronache estive sembra che l’identità di MdP-Articolo 1 viva per il momento solo con la stella polare dell’anti renzismo. Se Renzi non ha niente da dire non ha niente da dire neppure MdP. Eppure dovremmo aver imparato la lezione che l’antiberlusconismo da solo è stata la migliore assicurazione per la permanenza del cavaliere al governo.

In Sicilia pur di non appoggiare il candidato che va bene anche al PD si rompe con tutti: con Leoluca Orlando che l’ha scelto, con Pisapia che condivide la scelta. Sarà pur vero quello che ha dichiarato il Presidente della Regione Toscana Rossi che l’idea che la sinistra debba governare a tutti i costi è sbagliata, ma prima di a tutti i costi occorre valutare seriamente quello che può succedere: una grande regione in cui la sinistra rinuncia a priori a competere assistendo da spettatore alla contesa tra la destra e M5S, ambedue impegnate in una campagna elettorale in cui si inseguono promesse di tolleranza sull’illegalità ed il mancato rispetto di regole elementari di convivenza.

È chiaro che rinunciando in Sicilia ad una alleanza con Alfano o respingendolo a destra si sceglie di perdere. E si rinuncia alla costruzione di una coalizione competitiva rifugiandosi nella rispettabile figura di Claudio Fava, da un ventennio però protagonista di tutte le sconfitte nell’isola. È questo il futuro che si propone al paese?

Che ci sia bisogno di una forza politica in grado di dare una rappresentanza a mondi della sinistra radicale che il PD per un insieme di motivi non è più in grado di rappresentare (e sarebbe da riflettere su questo punto) appare evidente. Rassegnarsi all’idea che in mancanza di una offerta politica adeguata alle aspettative di fasce elettorali si possa assistere ad un calo ulteriore della partecipazione elettorale è una offesa ai valori della democrazia.

Ma possibile che lo spettacolo che viene offerto sia quello della ripetizione dei tradizionali errori della sinistra: divisioni personali, rancori, massimalismi usati come espedienti per dividere più che unire? Che si sia già di fatto delegittimata una figura simbolica come Giuliano Pisapia, perché tra MdP, Sinistra italiana, Possibile ci sono più protagonismi individuali che voti? E che ognuno voglia marcare il proprio territorio, mancando di generosità e di lungimiranza?

Eppure è evidente ciò che si sta preparando. Possiamo ricordare l’ilare leggerezza con cui Bertinotti fece cadere il primo governo Prodi con le magiche parole “ce ne andremo all’opposizione anche a lungo se serve”? E all’opposizione di cosa staremmo? Non certo di una destra civile come quella della Merkel in Germania o di Rajoi in Spagna, ma di due destre (ove colloco anche la linea che ha assunto M5S) che solleticano i peggiori sentimenti delle paure, delle xenofobie, dei rancori, del disprezzo per i processi democratici. Il rancore verso Renzi non può far ignorare irresponsabilmente questa prospettiva.

P.S. Dice Feltrinelli (casa editrice non sospetta) che il libro di Renzi (che non ho letto) ha superato la vendita di 40.000 copie, percentuale mai sfiorata da libri di altri leader politici. Non vuol dire niente? Tutti lettori di destra?

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