Vaccini, responsabilità, democrazia

Pubblicato il 11 settembre 2017, da Politica Italiana

La vicenda dei vaccini che tanto rilievo ottiene sui media è una delle tante spie di una sofferenza della democrazia. Che per ben funzionare ha bisogno di parecchie cose, tra cui l’accettazione di alcune regole e convenzioni. È anche il segno di una crisi antropologica, in cui una parte di umanità fa fatica a far fronte alle proprie responsabilità e a misurarsi con la vita dentro una comunità.

Intanto cresce una cultura antiscientifica. Per la quale le acquisizioni della ricerca scientifica non contano nulla. Sono opinioni come altre, a cui ci si può sottrarre senza motivazioni. Non so nulla ma non ci credo, e tanto basta. Mi affido a chi ritengo io. Son fenomeni che si ripetono: la fiducia data ad imbroglioni che inventano cure mirabolanti sul cancro, difesi oltre ogni ragionevolezza e prova sperimentale… Con l’uso di un linguaggio violento che insulta chi la pensa diversamente, con minacce di morte, con la violenza fisica se fosse possibile. Del resto se c’è tanta gente che si affida a maghi e cartomanti c’è un problema

Viene meno un principio di responsabilità. L’idea che sono libero di far quel che mi pare senza farmi carico dei problemi della società in cui vivo. Nel caso delle vaccinazioni è un fenomeno evidente: perché la tua scelta non riguarda solo te e la tua famiglia ma tutti i tuoi simili, tra cui ci sono quelli con minori difese o intolleranti ai vaccini che pagano anche le scelte altrui. Non valgono gli argomenti razionali, la dimostrazione statistica che riemergono malattie che pensavamo del passato in conseguenza della decrescita della vaccinazione.

C’è una idea padronale della genitorialità. Dei miei figli faccio quello che voglio. Sono cose mie in cui i poteri pubblici non devono entrare. Così succede che qualche ideologo vegano manda i figlioletti all’ospedale con gravissime denutrizioni perché li sottopone a diete incompatibili con la tenera età.

In mancanza di argomenti razionali vengono sempre buone le teorie complottistiche, come ha ben evidenziato l’altro giorno sul Corriere  Gramellini. Si obbliga alla vaccinazione per compiacere il business dell’industria farmaceutica. Non c’è dubbio che l’industria farmaceutica ne guadagni, ma ne guadagnerebbe molto di più se si diffondessero malattie in modo esponenziale. E del resto quando si è deciso ad esempio di rendere obbligatorie le cinture di sicurezze o i caschi per i motociclisti ci sono settori manifatturieri che hanno visto incrementare i loro affari, ma non è stato un motivo per non introdurre disposizioni giuste.

Poi c’è la politica. Che una volta stava lontana da questioni così delicate e rispettava appunto il metodo scientifico. Ora una politica in crisi di visione e di pensiero rincorre ogni frammento di società che possa esprime voti, insensibile agli interessi generali e ai veleni (questi sì veleni veri!) che si inoculano nel dibattito pubblico.

Al fondo c’è la grande smemoratezza della società contemporanea. Bombardata di immagini e notizie sempre nuove, connessa permanentemente alla nuvola comunicativa, perde i riferimenti del passato. La mia generazione ha fatto in tempo a vedere i drammi di malattie sconfitte poi dalla vaccinazione. Avevamo compagni di scuola che morivano per la poliomielite, o tornavano a scuola trascinando le gambe ingabbiate in apparecchi ortopedici. Eravamo sottoposti alla visita schermografica obbligatoria per la prevenzione della tubercolosi e i nostri genitori non si ponevano il problema se ci potesse far male, ma erano ben contenti di questi controlli.

Non è un caso se le nuove famiglie italiane, provenienti da paesi dal precario sistema sanitario, senza diritti a cure e prevenzioni, che conoscono il drammatico significato di diffuse malattie infantili, vanno puntuali a far vaccinare i figli, stupiti che si possa rinunciare a difendere i propri figli da potenziali malattie. Più saggi di noi. E meno sazi.

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