Il PD è ancora il mio partito? Sì, ma…

Pubblicato il 18 ottobre 2017, da Politica Italiana

Ogni tanto mi chiedo se il PD possa essere ancora il mio partito. Sì, se penso al sistema di valori che esso vuole esprimere, alla comunità di donne e di uomini che ho frequentato per tanto tempo con cui mi sento in sintonia. Sì se penso che il PD sia l’unico strumento politico in grado di essere il baricentro, l’asse portante di un moderno riformismo, contro i populismi di ogni tipo.

I dubbi mi vengono quando constato una disinvoltura di comportamenti da cui mi sento molto lontano. Probabilmente perché ho una idea un po’ antiquata della funzione della politica, del rispetto delel istituzioni, della salvaguardia di alcuni fondamenti della democrazia.

Lascio perdere la vicenda referendaria veneta. Comunque non è in gioco il tema della posizione politica del partito. Che io sia per l’astensione l’ho già scritto. Che sia possibile sostenere anche con argomenti teorici e pratici un Sì fa parte delle valutazioni che un partito deve fare. Mi sono trovato tante volte in posizioni di minoranza nella mia lunga esperienza politica che mi sembra quasi normale. Il punto è un altro: la mancanza di approfondimento e di motivazione originale nel costruire la posizione del partito. I tanti dissensi che emergono sul Sì critico non sono in sé una novità, ciò che preoccupa è la mancanza di una discussione pubblica per riportare alla unità possibile il partito. L’unico argomento usato è che gli organi (la direzione regionale) hanno deciso e bisogna perciò allinearsi. Oppure che si è per l’astensione per fare un dispetto a Renzi (il cui pensiero sul tema è noto). Troppo poco, e del resto è evidente che nell’arena della discussione politica verso il referendum il PD è quasi muto nella individuazione di una propria proposta originale.

C’è il voto di fiducia sulla legge elettorale. Prescindo dal merito. Resta comunque la legge elettorale votata con la maggioranza più ampia mai verificatesi nella storia repubblicana. E questo è certamente un fatto positivo.

E tuttavia per chi come me ha svolto un lungo servizio parlamentare e del Parlamento conosce a fondo pregi e difetti la fiducia su una legge elettorale, in un ramo del parlamento in cui la maggioranza teorica a favore è amplissima, è un segno di smarrimento delle basi fondanti della democrazia.

La legge elettorale vigente ha dato un enorme premio di maggioranza (per questo siamo così tanti alla Camera) e questo ancora non basta. Significa che manca un rapporto di fiducia con i propri parlamentari o che i propri parlamentari sono (o si ritengono) inaffidabili. Significa che i gruppi dirigenti dei gruppi non si ritengono autorevoli ed in grado di convincere (uno per uno se serve) la propria base parlamentare della giustezza delle posizioni assunte. Si risolve per via autoritaria (il voto di fiducia) invece che con la argomentazione persuasiva.

Se la strada della rottamazione ha portato a gruppi parlamentari così deboli, stretti tra l’imposizione autoritaria e la minaccia di non essere “rinominati” se non si adeguano, non mi sembra un grande risultato. E mi piacerebbe un partito che avesse più a cuore le regole della vita democratica. Si raggiunge un risultato ma si infrangono convenzioni che servono ad evitare abusi anche di altri, perché nella democrazia c’è l’alternanza e ciò che oggi fa comodo a noi domani può far comodo ad altri, che possono usare lo stesso strumento magari ulteriormente distorcendo le regole.

C’è l’inaudita vicenda della Banca d’Italia. Per la prima volta un partito (di quelli che hanno la cultura di governo) dà la sfiducia ad un Governatore della Banca d’Italia. C’è un solo precedente di rimozione in periodi oscuri della nostra storia, ma mai un partito che sta al governo che usa il Parlamento per sfiduciare un organo indipendente. Non è in discussione il fatto che la Banca d’Italia abbia potuto mancare nella vigilanza bancaria. In fondo è stata fatta una Commissione di indagine sulle banche e quella poteva essere la sede.  Ciò può valere anche per la Consob o per lo stesso Governo. E certo ci sono sempre anche le responsabilità della politica centrale e locale, dal Monte Paschi, a Etruria, alle Banche venete. Anche di personalità del PD. E se il problema si riducessero a responsabilità personali allora bisognerebbe chiamare alle responsabilità anche Mario Draghi, predecessore di Visco. Con le conseguenze che possiamo immaginare.

Ma anche una istituzione che va tenuta fuori dal gioco della politica è utilizzata per regolamenti di conti, per l’illusione di ottenere risultati facendo una campagna elettorale populista. Attaccando indirettamente il Capo dello Stato, il Ministro dell’Economia, screditandolo nei circoli europei, creando un altro problema al Presidente del Consiglio.  Prima obbligandolo alla fiducia sulla legge elettorale, ora ponendo il veto su una riconferma di Visco su cui governo e presidenza della Repubblica stavano lavorando. Forse Gentiloni sta diventando troppo popolare e dà fastidio? Bisogna indebolirlo? La colpa di Visco è di non aver vigilato su Etruria o di aver impedito soluzioni di comodo, gradite in ambiti governativi? Ecco, questo è il PD da cui mi sento lontano. Per fortuna c’è tanta brava gente che per il PD continua a lavorare.

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1 commento

  1. Leonardo Zucchini
    22 ottobre 2017

    Condivido. Grazie. Un cordiale saluto.


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