Forza Fassino, per andare oltre

Pubblicato il 17 novembre 2017, da Pd e dintorni

Si riapre qualche canale di dialogo tra PD e le forze alla sua sinistra? Magari. Si rimette in campo come ambasciatore il “vecchio” Fassino, di cui ben conosco la generosa ostinazione nel perseguire gli obiettivi, nel costruire piattaforme di possibili intese, secondo la vecchia scuola del PCI.

Chissà che non vi sia una riflessione autentica sugli errori commessi. L’illusione di Renzi di una autosufficienza, l’idea di un partito unipersonale, sottovalutando la diaspora che si stava realizzando nell’elettorato originario del PD, l’importanza della figura di Bersani nell’immaginario della storia della sinistra, la trascuratezza nel valutare lo stato reale del PD nei territori, pensando che l’Io bastasse a coprire tutto e che il Noi fosse secondario.

Dall’altro lato una dimensione troppo rancorosa. Il ritratto che è andato via via crescendo di Renzi come un nemico, senza un minimo di autocritica. L’incapacità che si è manifestata di costruire dentro il PD una alternativa a Renzi, quando vi sarebbero state le occasioni ed anche il tempo. E ora la pretesa di costituire il Tribunale della Santa Inquisizione, con relativa richiesta di abiura. Ancora prigionieri di una politica che non sa vivere senza un nemico, ieri Berlusconi, oggi Renzi. E che si specializza comunque nel dividersi piuttosto che nell’unire, dalla lenta delegittimazione di Pisapia fino alla grottesca vicenda di Alleanza per la Democrazia, finzione mediatica, in cui i due aspiranti leader Montanari e Falcone non riescono ad organizzare la prevista assemblea nazionale accusando i minipartiti della sinistra di mancata cooperazione e in due che sono se ne escono con due documenti distinti…

C’è tuttavia un aspetto che mi colpisce e mi preoccupa. Nel confronto (si fa per dire) che è finora avvenuto tra PD e i fuoriusciti tutto è coniugato al passato. Renzi rivendica la bontà dei suoi 1000 giorni di governo, gli altri li vogliono rimuovere (anche se per buona parte di questi 1000 giorni hanno condiviso e sostenuto l’azione di quel governo). E se incontro avverrà si rischia che l’incontro avvenga sulle cose del passato. Certo è popolare rinviare l’innalzamento dell’età pensionabile, sottraendolo all’automatismo dell’aumento della speranza di vita. Giusto correggerlo perché non tutti i lavori sono eguali. E tuttavia bisogna pur avere il realismo di dire che questo è ancora una volta un conto che andrà sulle spalle dei più giovani.

Si possono valutare alla luce dell’esperienza i limiti del Jobs act. Senza dimenticare che lo Statuto del Lavoratori risale al 1970, riguarda ormai meno di un quinto dei lavoratori. Un’Italia che ha molto poco in comune con l’Italia di oggi. Internet, social, cellulari non si sapeva cosa fossero, il Muro di Berlino era ben solido, la globalizzazione al di là di venire, la grande fabbrica era la base sociale di un robusto movimento operaio. Anche il calcio era diverso. Perché nel 1970 l’Italia arrivava in finale della Coppa del Mondo, battendo in semifinale la Germania 4 a 3, la partita del secolo…

Ecco mi piacerebbe che in questo necessario confronto contassero le ragioni del futuro piuttosto che quelle del passato. Si capisse che la sinistra arretra pressoché in tutto il mondo perché cerca di difendere un passato pur glorioso senza riuscirci e fatica a proporre una nuova agenda per il futuro. Che deve essere fatta di radicali cambiamenti rispetto all’illusione che mercato e globalizzazione offrissero nuovi anni felici (l’illusione Clintoniana “It’s economy, stupid”) ma anche rispetto al compromesso socialdemocratico, basato su stati nazionali, consumi crescenti, capacità fiscali degli stati a finanziamento di generosi sistemi di welfare, redistribuzione dei profitti, movimenti politici e sindacali autorevoli e rappresentativi, diversa demografia, diversa geopolitica, ecc.

Lo ha detto per primo il Papa (ancora una volta bisogna ascoltare Francesco…): non di epoca di cambiamenti si tratta, di queste ce ne sono già state molte, ma di un cambiamento d’epoca. Che richiede un cambiamento epocale dell’agenda. Non servono né gli spot di matrice renziana né gli impossibili ritorni indietro.

Non serve e non scalderà i cuori a sinistra una avara ricerca delle responsabilità passate e dei compromessi obbligati da una non troppo previdente legge elettorale. Serve un cambiamento di paradigma. Inviterei a leggere il bel saggio di Mauro Magatti che ha proprio questo titolo. Con i contenuti di una possibile agenda.

È appunto una impresa epocale. Per la quale non bastano né Gigli Magici, né custodi della ditta che fu. Ma un duro lavoro politico, fatto di generazione di idee, di trasmissione di sapere, di moderna organizzazione di comunità. Se no rassegniamoci ad una sconfitta. Altrettanto epocale…

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