Il nuovo cammino

Pubblicato il 19 marzo 2018, da Pd e dintorni

Ho scritto fin dal primo momento che la possibilità di un governo M5S/Lega sta nella razionalità delle cose. Perché parlano linguaggi simili. Ad opinioni pubbliche spaventate o rancorose da un lato, ad elettorati giovanili a cui non si può chiedere la virtù della memoria dall’altro. E le loro agende sono in parte significativa sovrapponibili. In comune hanno anche un atteggiamento simile. I problemi complessi diventano semplici, basta individuare dei nemici, che possono essere gli stranieri o la casta. E non importa che questi argomenti reggano alla prova della razionalità…

Non è che ignori le difficoltà. Una prospettiva che romperebbe la finzione di una coalizione Lega/Forza Italia/ Fratelli d’Italia. Un azzardo per Salvini: aspettare per incassare l’intera eredità di Berlusconi o giocare subito, governo con M5S e elezioni a breve. E naturalmente anche tra i grillini le cose non sono semplicissime. Un conto è usare parole d’ordine, un conto è governare e poi una parte dei quadri grillini viene da esperienze di sinistra, volendo semplificare, e non starebbero proprio bene in una alleanza del genere. Un conto è prendere i voti della Lega (come a Torino), un conto è portarli alla Lega. Tuttavia questi problemi sono più problemi dei gruppi dirigenti che degli elettorati. Come dimostrano i sondaggi compiuti il 60% degli elettori della Lega ed il 46% degli elettori grillini gradiscono questa soluzione, più di qualsiasi altra.

Vedremo: i passaggi: le elezioni delle Presidenze, le consultazioni del Presidente della Repubblica, le sue decisioni. Intanto, come ha osservato in un bell’articolo sul Corriere Stefano Allievi, l’agenda politica è da Prima Repubblica: aspiranti leader che si danno da fare, trattative sui posti (anche se non si dice), temi della campagna elettorale scomparsi: l’immigrazione e la sicurezza non esistono più.

E il PD? Il PD in questa fase sta a guardare come è giusto che sia. In questa fase non sta a noi fare proposte, se e quando ci sarà chiesto qualcosa, dai “vincitori” o dal Presidente della Repubblica bisognerà essere pronti a valutare, nell’esclusivo interesse del Paese.

È un tempo da usare però. Non solo per l’elezione dei capigruppo, che mi auguro sia fatta puntando alla qualità e con scelte inclusive, capaci di unire il partito. Soprattutto per avviare una profonda riflessione per guardare al futuro. Una grande stagione di dibattito serio, a partire dai circoli sul territorio. Affrontando di petto le questioni, essendo curiosi delle opinioni altrui. Per il momento è ancora un processo che non si vede, ma basta iniziarlo.

Intanto basterebbe essere coscienti di un fatto, che queste elezioni non segnano solo la sconfitta del renzismo. Fosse solo questo sarebbe un male minore. Segnano la sconfitta del grande ed ambizioso disegno della creazione con il Partito Democratico del partito unico dei riformatori italiani. Capace di tenere insieme le storie e le culture politiche migliori del ‘900. Quel disegno se ne è andato e non potrà ritornare nelle stesse forme. Allontanato Renzi questo enorme problema resta.

Da dove ripartire? Condivido (come mi capita quasi sempre) le riflessioni di Veltroni affidate al  Corriere della Sera. In particolare: la capacità di offrire una sintesi credibile tra libertà e giustizia sociale e di ritornare dentro le sofferenze del popolo, offrendo vicinanza e soluzioni. È il grande problema dell’identità del PD. Che come ricorda Veltroni avrebbe bisogno anche di emozioni e di memoria: “l’errore drammatico è stato togliere alla nostra comunità le emozioni e la memoria, le emozioni sono molto importanti in politica, e sono il principale antidoto alla paura. Senza l’idea di partecipare a qualcosa di grande la politica si riduce a pura macchina del potere, fredda e repellente”.

Ci sarebbe una comunità da ricostruire, con idee forti capaci di aggregare passioni, con una cultura dell’inclusione, capace di tenere insieme idee diverse e di rispettare la dialettica, aiutarsi in un viaggio lungo sentieri nuovi. Dice ancora Veltroni: “la meraviglia del capire insieme. Insieme si capisce molto più che da soli…A me piacerebbe che il PD ora avesse l’ambizione di capire più che di dire”.

Partirà questo lavoro nel PD, anche nei territori? Mi auguro davvero di sì. Ma è un lavoro molto impegnativo: occorre ricostruire strutture, luoghi di elaborazione culturale, di progetto politico, andando a cercare di nuovo i molti che si sono dispersi, le competenze abbandonate…Non si fa con le chiacchiere occasionali, con convocazioni di organi senza precisi ordini del giorno e decisioni da assumere, programmazione di un lavoro, ecc. Mi meraviglia ad esempio l’estrema povertà di testi scritti: per comunicare, da studiare, su cui lavorare, per mettere idee in comune. Può essere tutto affidato alle parole leggere che ci scambiamo in riunioni di cui nessuno tiene verbali o ai brevi caratteri di un tweet?

La rottamazione è stata compiuta, tocca alla nuova generazione impostare questo lavoro. Occorre forza e generosità. Noi più anziani possiamo dare una mano. Se serve. Tutto fuorché un vuoto lamentoso ed impotente, senza il coraggio delle verità necessarie. Aspettando non si sa cosa senza lavoro politico.

 

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