PD, ritrovare missione e orgoglio

Pubblicato il 21 maggio 2018, da Pd e dintorni

Che tristezza. Tristezza a leggere le cronache dell’inconcludente assemblea del PD. Divisioni e rinvio. Mi riconosco nelle parole di Calenda: “le cose che si sono viste nell’Assemblea di sabato non hanno nulla a che fare con un grande partito progressista che ha governato bene l’Italia per una legislatura. Cose indecorose per come è la situazione nel Paese. Un partito che diventa la somma di io sto con Renzi, io sto con Orlando, io sto con Martina, io sto con Franceschini, io sto con Y, non è più un partito ma una terza media all’ora di ricreazione”.

Siamo ad un tornante della storia democratica, con una riorganizzazione del sistema politico in forme inedite ed il PD, grande partito (già?), è immobilizzato, non sa parlare al paese. E lo conferma purtroppo lo scarsissimo rilievo dato dai media al tema. Se non per evidenziare le divisioni.

Renzi ne controlla la maggioranza. Ma per fare che cosa? Per immobilizzare tutto. Mi fa venire in mente un episodio dell’immortale “Piccolo Principe” fiaba per bambini per insegnare agli adulti: «Ammirami» disse il vanitoso. «Ti ammiro» rispose il piccolo Principe «ma tu che te ne fai?». Ecco, che se ne fa Renzi di una maggioranza di un partito che ha dimezzato i voti se questa maggioranza serve solo a bloccare tutto? Renzi ha il consenso ma non sa come utilizzarlo. Perché legge anche lui i sondaggi e sa di essere ultimo tra dieci leader nei sondaggi sul gradimento degli italiani. La metà di Salvini e Gentiloni, dietro a Martina e perfino a Pietro Grasso. Ma intanto congela le sue dimissioni, vede di indebolire Martina, dopo aver cercato di farlo con Gentiloni.

In campo c’è una grande riorganizzazione del sistema politico, una forte apertura di credito del paese al nuovo governo. Come ha osservato un commentatore siamo di fronte ad una Pangea, il continente primigenio da cui sono nati gli attuali continenti, cosa nascerà nessuno lo può dire. L’unica cosa certa è la drammatica marginalità del PD se non saprà riaprire un discorso con il paese.

È una riorganizzazione più profonda di quella avvenuta nel 1994. Allora il sistema si riorganizzò con soggetti nuovi, ma attorno alla polarità tradizione di destra/sinistra. Moro non aveva mai parlato di compromesso storico, ma di solidarietà nazionale, Nel suo disegno immaginava dopo un periodo di ricostruzione delle basi democratiche e morali del paese una alternanza libera tra il PCI e la DC. Il fallimento del suo disegno con il suo assassinio preparò il terreno per la discesa in campo di Berlusconi. Il che obbligò anche la sinistra a concepire un disegno nuovo: nacque l’Ulivo e poi il PD.

E i rischi sono oggi più elevati. Si afferma in un campo largo dell’opinione pubblica l’idea che la democrazia tradizionale non sia il migliore sistema di governo, si ritorna a preferire i coltivatori di sogni e di promesse irrealizzabili, i capi assoluti, la denigrazione del Parlamento, ecc. Senza drammatizzare ma chi conosce la storia sa bene che questo fu il brodo di cultura su cui si svilupparono i totalitarismi del XX secolo. Gli Stati Uniti, in cui non è che questi sentimenti non fossero presenti, a partire anche da un settario anticomunismo, sfuggirono al destino di Italia, Spagna e Germania perché seppero mettere in campo con il new deal di Roosevelt un pensiero nuovo, una idea paese capace di appassionare e coinvolgere le masse popolari.

Cosa aspettiamo come PD? Pensiamo che un congresso in sé (magari come il precedente, ridotto ad una burocratica conta di un consenso più rinsecchito) possa ridarci voce nel paese? Occorre davvero molto di più. E del PD c’è molto bisogno. Ma bisogna reagire con coraggio, convinzione, mobilitazione. Possiamo dire di avvertire anche nei territori questa ambizione?La responsabilità della storia? A me sembra una pigra contemplazione.

P.S. Possiamo ricordare quello che disse Stalin quando con l’invasione dei nazisti sembrava che l’Unione Sovietica dovesse crollare: “Lenin ci ha lasciato una grande eredità e noi suoi eredi ce la siamo fottuta”. Vediamo di non rassegnarci.

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