La mia storia

Libertà e democrazia. Queste e le altre passioni.

La politica, la professione, la famiglia, lo studio, la bici: il mio percorso di uomo è innervato da tante passioni, che sono state, e sono ancor oggi, stimolo importante all’impegno pubblico.

La strada che percorro adesso parte da lontano e procede nello stesso solco di valori, idee e speranze che sono state all’origine di ogni impegno.

Le radici, in politica come nella vita, non sono un peso. Sono invece il tratto che ti permette di riconoscerti sempre e di poter rivendicare la coerenza del tuo progetto.

È questo l’augurio più grande che faccio ai giovani che scelgono oggi di impegnarsi in politica. Ed è a loro, soprattutto, che racconto la mia storia.

La passione per la politica nasce al liceo.

Ho incominciato ad interessarmi a qualche forma di impegno politico a Milano, dove ho frequentato il liceo. Mio fratello maggiore, Umberto, aveva iniziato a frequentare il movimento giovanile della Democrazia Cristiana (attività che poi ha del tutto abbandonato) e al liceo avevo incontrato i giovani di Gioventù Studentesca di Don Giussani, che poi avrebbero fondato Comunione e Liberazione.

Con le prime letture e le prime discussioni mi è nata questa curiosità. Quando poi sono tornato a Padova, mia città natale, e mi sono iscritto all’ Università ho incontrato altri coetanei con gli stessi interessi e ho cominciato a lavorare nel movimento giovanile della Democrazia Cristiana.

L’impegno politico come impegno sociale.

Non ho mai avuto una passione predominante per la politica pura. È piuttosto, fin dagli inizi, una forte sensibilità per i problemi sociali che mi spinge all’impegno politico.

Certamente ho trovato nel movimento giovanile della Democrazia Cristiana un ambiente ricco di stimoli, di dibattito, di curiosità intellettuali, di voglia di cambiare il mondo, come deve essere quando si è giovani. Si leggevano e si discutevano gli articoli di riviste impegnate sui temi politici sociali, come “Settegiorni” settimanale diretto da Donat Cattin, grintoso ministro del Lavoro nel periodo dell'”autunno caldo”.

Si girava la provincia per contattare i responsabili giovanili dei diversi comuni e si viveva in prima persona la questione sociale: non era difficile trovare in molte zone della provincia (siamo alla fine degli anni ’60) case di contadini in cui vi era ancora il pavimento in terra battuta, ma con i figli che andavano a scuola, si impegnavano nelle attività sociali e di qui passavano all’impegno politico.

A Padova c’era l’Istituto di Cultura dei Lavoratori che raccoglieva in dibattiti appassionati giovani, militanti della CISL, intellettuali di area cattolica. Era animato tra gli altri da una straordinaria figura di studente lavoratore Isidoro Rossetto, attuale Presidente dell’Associazione Erika: da lui ho imparato molto, la necessità di non fare solo analisi teoriche, di conoscere dal di dentro la realtà sociale, di capire la forza morale delle persone semplici.

Insomma i partiti allora non erano solo macchine del potere ma luoghi di grande vivacità e di educazione alla democrazia ed all’impegno sociale, in cui nascevano e si consolidavano solide amicizie, vivendo insieme momenti intensi di crescita e passione civile. Per un giovane era più facile di adesso crescere e maturare non solo nell’impegno politico. Del resto proprio ad un convegno del movimento giovanile ho conosciuto mia moglie Ester.

La politica come servizio, non come professione.

Ho sempre pensato che la politica, per essere vissuta con serenità e libertà, non debba essere l’unico interesse. Alle spalle occorre avere, ad esempio, una solida posizione professionale.

Perciò ho cercato di finire l’Università rapidamente. Nel 1971 mi sono laureato a pieni voti in Scienze Politiche e, subito dopo, ho vinto una borsa di studio del Centro Nazionale delle Ricerche per la ricerca economica. In quel periodo ho un po’ sacrificato l’impegno politico. Ho anche perso un congresso del Movimento Giovanile, sconfitto da Giuseppe Calore, che poi sarebbe stato autorevole dirigente della DC e assessore comunale.

Cito questo episodio perché durante quel congresso impedimmo all’onorevole Gui di parlare ai delegati: lui era Ministro e padre nobile della DC padovana, ma con molta signorilità accettò la nostra protesta, salutò con educazione e se ne andò. Questo per dire quale era lo spirito democratico di una personalità come Gui e la passione politica di noi giovani: un episodio del genere non sarebbe nemmeno immaginabile nei partiti di oggi, immaginatevi Berlusconi al posto di Gui…

Dopo la borsa di studio del CNR ho vinto un concorso alla Camera di Commercio, dove ho avuto la fortuna di lavorare fianco a fianco con un uomo eccezionale come Mario Volpato. Da lui ho imparato molto: la necessità di saper essere lungimiranti, di essere ostinati, di non scoraggiarsi, di avere l’umiltà di convincere gli altri sulla giustezza delle proprie visioni.

Volpato con la Cerved e l’Interporto, creature interamente sue, ha cambiato la realtà di Padova, inventando alla città un ruolo nazionale nell’informatica e nel trasporto intermodale delle merci, due risorse strategiche per il futuro. Per un periodo ho anche lavorato in Regione, ente appena creato, impiantando l’ufficio per l’artigianato, un interesse per questo settore che poi mi è sempre rimasto.

Dalla politica alle istituzioni: il Consiglio provinciale di Padova.

Nel 1975 divento assessore provinciale. Ho solo 28 anni e suscito qualche malumore perché qualcuno pensava che ci volesse una maggiore esperienza, ma allora la politica sapeva anche investire sui giovani.

Ho un ricordo molto bello di quella esperienza. Abbiamo fatto delle esperienze pilota molto innovative; ad esempio abbiamo creato tra i primi in Italia una rete di centraline per misurare la qualità delle acque, abbiamo avviato l’esperienza del Parco del Brenta, il catasto dei rifiuti industriali.

È una esperienza che mi ha maturato anche politicamente, nel confronto e nel dibattito in Consiglio, dove ho imparato il rispetto per questo strumento essenziale della democrazia, dove sono rappresentate le opinioni dei cittadini.

Ricordo ad esempio il capogruppo del PCI Cesare Milani: rappresentava una minoranza insignificante perché allora la DC aveva la maggioranza assoluta, eppure, con puntiglio, si preparava su tutte le delibere dando una lezione di serietà democratica.

Sui banchi del Consiglio Provinciale ho imparato a stimare e rispettare gli avversari politici ed a capire l’importanza del dibattito tra forze diverse che se condotto fuori da spirito demagogico non è una perdita di tempo, ma il modo di costruire un comune sentire sulle cose fondamentali.

Al termine dell’esperienza provinciale, nel 1980, con un po’ di incoscienza mi candido per il Consiglio regionale. Resto fuori per una manciata di voti, ma con il senno di poi fu una interruzione positiva.

L’alternanza tra vita lavorativa ed un più diretto impegno politico amministrativo è stata per me una regola che mi ha consentito di guardare sempre all’impegno politico con il necessario distacco e a non perdere il contatto con la realtà che riguarda la maggior parte dei cittadini.

Dal Consiglio provinciale a Palazzo Moroni. Gli anni da sindaco.

Nel 1987 il sindaco di Padova, Settimo Gottardo, viene eletto al Parlamento e io, che ero capogruppo DC in Consiglio comunale vengo eletto primo cittadino.

Fu un’esperienza faticosa e difficile, la macchina del Comune la conoscevo superficialmente perché non ero stato mai assessore in Comune e si trattava di reimpostare anche un modo di fare il Sindaco, dopo l’esperienza impetuosa di Gottardo.

Fu tuttavia anche un’esperienza entusiasmante. Penso che quello del Sindaco sia il ruolo migliore per un politico che voglia fare qualcosa di concreto per la gente: c’è il rapporto diretto ed immediato con i cittadini, si capisce sul serio la sostanza della democrazia.

Quando ho fatto il Sindaco, tra il 1987 e il 1993, non c’era l’elezione diretta, gli assessori erano nominati dal Consiglio e risentivano dei delicati equilibri politici tra le forze di maggioranza, il Consiglio Comunale aveva molti più poteri di adesso, molti erano i controlli esterni. Era più faticoso, più complesse erano le mediazioni, però si riusciva lo stesso a realizzare cose significative. Gli assessori erano competitivi con il Sindaco, qualche volta gli facevano lo sgambetto, ma si davano molto da fare e producevano una gran mole di lavoro.

Abbiamo impostato il sistema delle tangenziali, realizzato i primi parcheggi scambiatori, le piste ciclabili, la semaforizzazione intelligente. E ancora: le grandi mostre, il trasferimento del Museo, i notturni d’arte, grandi opere pubbliche come lo Stadio e il Tribunale, impianti sportivi di base, i parchi urbani al Roncaiette e il Parco Iris, le case popolari, un welfare comunale esemplare in Italia.

Insomma regole più complesse non hanno impedito di fare. Oggi si parla tanto di riforme costituzionali per dare più velocità alla decisione politica. Per Berlusconi tutto è un alibi per giustificare le inadempienze del Governo: la Magistratura, la Corte Costituzionale, il Parlamento, il Presidente della Repubblica… Certo, è necessario ammodernare le istituzioni, ma la democrazia non è la dittatura della maggioranza. È invece un sistema in cui chi vince le elezioni ha il diritto di governare ma dentro un sistema di controlli efficienti e di contrappesi. Se si hanno le idee chiare la discussione nelle aule rappresentative non è mai una perdita di tempo; è anzi il sistema per dare più forza e condivisione alle decisioni politiche.

Ritornando alla mia esperienza di primo cittadino, sono sempre stato convinto che il compito principale del sindaco sia quello di saper ascoltare, di tenere unita la città, di farla riconoscere in alcuni grandi obiettivi. La mia fu una gestione che non lasciava molto spazio alla propaganda ma cercava di intessere un rapporto profondo con la città.

Molti furono sorpresi quando alle elezioni del 1990 fui rieletto, risultando il sindaco più votato del Nordest, ma io avevo scommesso sul fatto che un lavoro quotidiano a contatto con la gente avrebbe prodotto più consenso dell’invasione di manifesti elettorali e della ricerca di apparire sempre e comunque.

Gli anni di Tangentopoli, il periodo più difficile e il ritorno al privato.

Siamo nel 1993, nel pieno di Tangentopoli in cui gli avvisi di garanzia si sprecavano ed equivalevano ad una condanna preventiva. Sono raggiunto da un avviso di garanzia che riguardava un presunto finanziamento illecito per un valore di 3 milioni di lire.

Ho dovuto aspettare tre anni per vedere riconosciuta la totale estraneità alle imputazioni contestatemi. In fondo era una sciocchezza, in un periodo in cui si parlava di finanziamenti illeciti per miliardi, ma io non ho esitato un attimo a dimettermi.

Tutta la mia esperienza di Sindaco si era basata sul rapporto di fiducia con i cittadini; non potevo accettare che ci potesse essere un dubbio sulla mia correttezza.

Mi è dispiaciuto molto, perché avrei voluto ultimare la legislatura con tante cose impostate ed avevo appena avviato la nuova Giunta con l’ingresso dei Democratici di Sinistra, prefigurando una maggioranza che poi avremmo definito dell’Ulivo.

Padova è stata spesso un laboratorio politico anticipatore di scelte nazionali. Comunque, anche questa è stata una prova difficile, ma utile: per mia fortuna ho avuto sempre una fiducia profonda nelle vie imperscrutabili della Provvidenza e passare dal tavolo autorevole di Sindaco a quello più modesto di funzionario della Camera di Commercio è stata anche una prova di umiltà, prove che nella vita ogni tanto servono ad avere la giusta dimensione delle cose.

Per fortuna in quel periodo difficile non solo la mia famiglia ma anche tantissimi cittadini mi hanno dimostrato una stima spontanea e generosa che mi ha reso sereno e fiducioso, sapevo che tutto si sarebbe chiarito, come poi è avvenuto. Ho avuto anche la fortuna di avere un bravo successore: Flavio Zanonato ha portato a compimento con efficienza tante cose avviato, impostando naturalmente, a sua volta, nuovi progetti.

1996: la politica bussa ancora.

È stata un po’ una sorpresa, perché avevo ormai orientato la mia vita in modo differente, impegnandomi nell’attività professionale ed osservando l’attività politica dall’esterno, magari commentando singoli fatti sui quotidiani padovani.

Alla vigilia della campagna elettorale fui contattato da amici di diversi partiti che sollecitarono una mia disponibilità ad una candidatura, perché l’esperienza innovativa dell’Ulivo aveva bisogno di persone in grado di mettere d’accordo le diverse tradizioni politiche.

In particolare mi convinsero tre persone che stimo, Tonino Ziglio del PPI, Elio Armano dei DS e Ivo Rossi dei Verdi.

La candidatura incontrò poi qualche difficoltà a livello nazionale, proprio perché non ero incasellabile in nessun partito; dovette intervenire con molta durezza Zanonato, alla fine fui candidato come indipendente nelle liste dell’Ulivo e fui eletto.

L’esperienza in Parlamento.

Per me ha voluto dire ricominciare un po’ da capo, perché negli anni che ero stato lontano dalla politica erano cambiate molte cose. Sono andato malvolentieri alla Commissione Bilancio, avrei preferito un impegno nel campo sociale, ma ero l’unico senatore del gruppo popolare con una specifica preparazione economica e dovetti accettare.

In realtà è stata una cosa positiva, ho dovuto faticare, all’inizio, perché è una commissione molto tecnica, ma poi è stato un osservatorio importante. Facendo il relatore della Legge Finanziaria in tutti questi anni ho potuto lavorare fianco a fianco con Ciampi, Visco, Amato che si sono succeduti al Ministero del Tesoro e dare il mio piccolo contributo alla grande azione di risanamento della finanza pubblica che si è realizzata in questi anni.

Il lavoro parlamentare è un lavoro che richiede una grande umiltà e una grande pazienza: occorre sottoporsi a riunioni spesso inconcludenti, accettare colleghi che impiegano mezz’ora a dire ciò che potrebbe essere detto in cinque minuti, trovare faticosi compromessi.

Ho avuto modo anche di capire meglio la complessità del nostro Paese, fatto di mille corporazioni e interessi che occorre cercare di riunificare in una sintesi efficace. Ognuno è pronto a richiedere agli altri di cambiare, ma è restio a mettere in discussione se stesso. Questa è la fatica della democrazia ed è compito della politica mettere in fila i diversi interessi e tentare di ordinarli preservando la libertà dei singoli ma anche il bene comune.

Del resto, il ruolo del parlamentare è molto cambiato: vi è oggettivamente meno autorevolezza in conseguenza della crisi della politica e dei partiti; vi è meno potere perché molte competenze sono andate verso l’alto all’Unione Europea e verso il basso alle Regioni.

Di questo bisogna essere sempre consapevoli, cercando di specializzarsi nel ruolo specifico di buon legislatore che più che fare nuove leggi deve cercare di disboscare la foresta di quelle esistenti e di migliorarle.

Nel Governo Prodi, quindi in Europa.

Se guardo indietro e penso al mio percorso politico posso dire di essere stato fortunato. Ho fatto tante esperienze interessanti. Esperienze che vanno affrontate cercando sempre di seguire lo spirito di Sant’Ambrogio: “Nova sempre quaerere et parta serbare”,  “Cercare sempre le cose nuove e conservare ciò che si è trovato”.

Anche negli anni più recenti ho avuto la possibilità di fare esperienze nuove. Sono stato al Governo come sottosegretario allo Sviluppo Economico a fianco di Pierluigi Bersani. Lo Stato visto da dentro è ancora diverso: ci sono tante positività e risorse che faticano ad apparire all’esterno, ci sono limiti che è difficile superare anche con una forte volontà politica.

I due anni da Segretario Regionale del Partito Democratico nella sua fase da avvio mi hanno fatto vedere una grande passione politica e civile in migliaia di militanti, ma anche fragilità e difficoltà nella costruzione di un nuovo partito che mette insieme storie diverse e diverse aspettative. Occorre una grande generosità reciproca ed uno spirito innovativo, senza i quali il risultato difficilmente può essere raggiunto.

L’esperienza che sto facendo ora nell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa mi dà una visione internazionale dei problemi che finora mi era mancata.

Frequentando una comunità con parlamentari provenienti da più di 40 paesi la cui finalità principale riguarda il tema così affascinante della tutela dei diritti umani si può veramente avvertire l’anomalia italiana: per i parlamentari dei maggiori paesi europei, siano conservatori, popolari, socialdemocratici, socialisti, laburisti, liberali, democratici alcuni principi di buon funzionamento della democrazia sono autenticamente condivisi, così come era in Italia prima del populismo berlusconiano.

Si coglie il rischio di una pericolosa emarginazione dell’Italia: quelle che sui media italiani vengono descritte come intemperanze estemporanee o simpatiche gaffe appaiono ai colleghi parlamentari come riprovevoli comportamenti inadatti a leader autenticamente democratici.

Il fuoco dei valori: tenerlo vivo sempre per non smarrire la strada.

Il lavoro politico, quello amministrativo o quello parlamentare richiede una grande passione, ma anche un grande equilibrio. Se diventa un interesse unico e dominante nella vita di un uomo si rischia di perdere la misura delle cose ed il senso delle proporzioni, di smarrire, nella convulsa azione quotidiana, la stella polare dei valori che devono animare l’azione politica. Come ha lasciato scritto Dietrich Bonhoffer, il pastore protestante tedesco che si è ribellato al nazismo con il sacrifico della vita “non dobbiamo mai lasciarci consumare dagli istanti, ma dobbiamo mantenere in noi la tranquillità delle grandi idee e misurare tutto su quella”.

Per un cattolico che si impegni in politica è importante, ad esempio, riuscire a coltivare una propria spiritualità, che alimenti il senso del proprio impegno, lo rafforzi e lo tenga sui binari giusti.

Mi è sempre rimasta in mente una frase di Alcide De Gasperi che, rispondendo ad un amico che lo prendeva bonariamente in giro perché tutte le mattine andava a messa anche nei periodi più intensi della sua attività di Governo, gli diceva: “Sento il bisogno di inginocchiarmi tutte le mattine di fronte al Signore per avere la forza di stare in piedi di fronte agli uomini”.

Io penso che per un cattolico sia sufficiente andare ogni tanto a rileggere le pagine del Vangelo sulle beatitudini per capire come comportarsi nei momenti di smarrimento o di incertezza di fronte a scelte politiche complesse.

Anche chi non ha il dono della fede ha comunque bisogno di non smarrire nel quotidiano della politica i grandi valori di solidarietà, di difesa della dignità dell’uomo che per me giustificano un impegno politico.

Politica e potere, ieri e oggi.

Molto è naturalmente cambiato nella politica nel periodo che ho attraversato. Chi vive oggi la vita un po’ asfittica dei partiti fa fatica a capire come i grandi partiti popolari, con il loro carico di errori e di limiti, fossero tuttavia  grandi comunità di dibattito autentico, di formazione umana e politica, in cui era possibile affermare le proprie idee e “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” come recita l’art. 49 della Costituzione.

Oggi la politica è profondamente diversa nei suoi strumenti, affidata molto di più a leadership individuali, al potere dei media, ad una comunicazione più emotiva che si esaurisce nel breve periodo.

A volte penso a quanto sia più difficile per un giovane oggi vivere l’esperienza della politica. Sono più deboli i riferimenti, più incerte le grandi scelte strategiche, più rari luoghi permanenti di dibattito e confronto sulle grandi questioni. Eppure nonostante quete profonde differenze penso che l’ispirazione possa essere sempre la stessa: ispirarsi ad idee grandi per le quali valga la pena di battersi, imparare dai grandi testimoni della vita democratica, approfondire e studiare i problemi rifuggendo dalla superficialità.

Dag Hammarskjold è stato Segretario Generale dell’ONU negli anni ’50 del secolo scorso e Premio Nobel per la Pace. Morì in un incidente aereo, probabilmente un attentato, mentre si recava in Congo per una missione di pace. Il libro per meglio capire la sua personalità (e la forza del suo esempio) è Tracce di cammino una sorta di diario non destinato alla pubblicazione in cui annotava non i tanti fatti storici di cui era protagonista ma le sue riflessioni spirituali, quasi tutte attorno al nodo del rapporto tra potere e dimensione interiore.

Una delle note più suggestive è questa: “Merita il potere solo chi ogni giorno lo rende giusto”. Davvero questo può essere il segreto della buona politica.

È Jorge Amado il mio scrittore preferito.

Il lavoro che faccio porta a dover leggere molto: è una lettura talvolta un po’ faticosa di documenti, dossier, saggi, che non mi ha fatto tuttavia perdere il gusto di leggere i grandi romanzieri. La voglia di leggere l’ho avuta fin da giovane.

Il nostro Galilei (possiamo dire “nostro” visto che ha confessato di aver passato a Padova i migliori diciotto anni della sua vita) ha ben descritto la magia della scrittura: “Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza di mente fu quella di colui che s’immaginò di trovar modo di comunicar i suoi più reconditi pensieri a qualsiasi altra persona, benchè distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? Parlare con quelli che sono nelle Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati? E con quale facilità, con l’accostamento di venti caratteruzzi sopra una carta”.

La letteratura, come modo di conoscere l’animo umano oltre le barriere del tempo e dello spazio, mi affascina molto. Tra tutte mi piace la letteratura latino americana: Garcia Marquez, Isabel Allende ma soprattutto Jorge Amado, l’impareggiabile romanziere brasiliano.

Brasiliano di Bahia, perché i suoi libri non potrebbero esistere al di fuori della magica città brasiliana, nei suoi romanzi descritta con tanta vivacità. In fondo sono letture buone per un politico: c’è, anche nei suoi ultimi romanzi meno impegnati socialmente rispetto a quelli di esordio, la questione sociale, le furbizie del potere, la grande lezione della forza inesauribile delle persone semplici di fronte alla vita, c’è la fantasia che sa superare ogni difficoltà. Ma al di là del ritratto sociale ci sono i sapori e gli odori, i paesaggi del Brasile, ci sono soprattutto meravigliosi ritratti di donne: Dona Flor, Tieta d’Agreste, Teresa Batista, Gabriela, donne belle, ma donne forti, capaci di amare veramente, di affrontare la vita con coraggio ed umorismo.

La mia, una famiglia di “artisti”, tra musica, canto e teatro.

Ad aggiornarmi sulle novità musicali ci pensano invece i miei. In famiglia la musica è appannaggio di mia moglie Ester (in foto), che è una brava cantante di musica leggera, e di mio figlio Giovanni, che è un bravo chitarrista. Mia figlia Viviana invece è appassionata di storia dell’arte, ma contribuisce alla vena artistica della famiglia perché recentemente ha debuttato in teatro.

Anche in questo campo mi piace molto la produzione latino americana, però la musica che ascolto più di frequente è quella del più moderno degli autori classici, cioè Mozart ed in particolare le opere liriche.

Come si può non innamorarsi dell’ouverture del Don Giovanni, che sa riassumere in pochi minuti di musica tutta la vicenda del protagonista, anch’esso modernissimo nella ricerca di un piacere senza sosta e senza scopo che lo porta alla rovina, o dei bellissimi personaggi femminili, da quelli drammatici come Donna Elvira, la Contessa, a quelli più leggeri come Susanna, Zerlina, Fiordiligi e Dorabella?

È un piccolo mondo che riflette però il mondo grande delle passioni umane che restano eterne e a cui la musica di Mozart sa dare impareggiabile sostanza.

L’altra grande passione: la bicicletta.

Ho sempre avuto passione per gli sport all’aria aperta. La montagna innanzitutto, anche se non ho mai avuto tempo per fare seriamente una scuola di roccia e quindi non ho praticato l’alpinismo, ma le ferrate e i sentieri delle nostre Dolomiti li ho battuti tutti.

Lo sci da fondo, che ho iniziato a praticare con gli sci di legno, quando c’erano in Italia qualche centinaio di praticanti, quasi tutti in Val di Fiemme; anche questo uno sport splendido, che al di fuori delle piste più frequentate consente un rapporto con la natura molto intenso.

Quando sono diventato sindaco il tempo libero è diminuito fortemente e ho dovuto limitare l’attività sportiva alla bicicletta, che per me è una vera passione. Del resto vengo da una famiglia di imprenditori della bicicletta: mio zio Cesare Rizzato con l’Atala è stato uno dei più grandi imprenditori del settore e mio padre è stato titolare della “Umberto Dei” che produceva biciclette considerate dagli appassionati le “Ferrari” del settore.

La bicicletta è un grande strumento di libertà, per conoscere il territorio e la natura, con i suoi profumi, con la luce che cambia, con il tempo di guardare e capire.

Con un gruppo di amici dedichiamo una settimana all’anno ad un viaggio cicloturistico. Siamo stati in Spagna, Portogallo, Germania, Australia, Florida, Francia, Olanda, California, Messico. Conoscere il mondo pedalando è una cosa diversa e molto più coinvolgente che conoscerlo dai finestrini di un’automobile…

Come ha scritto un poeta: “Bicicletta, due ruote leggere, due pensieri rotondi pieni di luce, per capire la strada e sapere dove conduce, due parole rotonde piene di festa, per parlare col mondo e sapere quanto ne resta”.

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500 words essay.