Paolo Giaretta - legge finanziaria 2010
 
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(disegno di legge n. 1790) Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)

Intervento al Senato del senatore Paolo Giaretta - 5 novembre 2009

Per formulare un giudizio intellettualmente onesto sulle proposte della legge finanziaria e del bilancio dello Stato per il 2010 non si può prescindere da un contesto assai difficile di cui occorre essere consapevoli. Pochi dati sono sufficienti.
La ricchezza persa
Il PIL: gli ultimi dati per il consuntivo 2009 variano tra il - 4,8 della Relazione previsionale e programmatica e il -4,7 delle ultime previsioni UE. Per valutare la perdita drammatica di ricchezza che questo dato comporta basta pensare al fatto che se l'Italia crescesse in futuro allo stesso ritmo con cui è cresciuta negli ultimi 10 anni ci vorrebbero 15 anni per tornare al livello di ricchezza del 2007. Senza dimenticare che sono enormemente aumentate le disuguaglianze sociali e questa perdita di ricchezza non è stata eguale per tutti: più imponente per i redditi più deboli.
Il lavoro che manca
L'occupazione: circa 650.000 posti di lavoro persi, non solo nel lavoro dipendente ma anche nell'area del lavoro autonomo e/o precario. Più di 1 milione di cittadini italiani sono interessati da perdita del lavoro o dalla sua incertezza (cassa integrazione e mobilità).Tutti gli indicatori segnalano che la situazione è destinata ad aggravarsi nel 2010, pur scontando un miglioramento della congiuntura: magazzini pieni, esaurimento degli ammortizzatori sociali, chiusura di aziende travolte dal troppo lungo e pesante ciclo negativo.
Si indebolisce la competitività
L'export è calato del 23,6%, mettendo a dura prova la capacità del made in Italy di mantenere quote di mercato. La produttività del manifatturiero italiano è calata in un anno di 3,3 punti percentuali.
Più tasse per tutti (quelli che le pagano)
La pressione fiscale a fine 2009 è stimata al 43%, resta la più elevata nel dopoguerra con l'unica eccezione dell'anno dell'entrata nell'euro, con l'aggravante che è aumentato il peso della tassazione sul lavoro dipendente e sul contribuente leale.
Più soldi per il peso burocratico
La spesa pubblica ha raggiunto il record del 52,4 % del Pil, il più elevato negli ultimi 50 anni, con una crescita di 3,1 punti del Pil in un solo anno: cresce di più la spesa dello stato centrale rispetto a quella decentrata, cresce la spesa per il funzionamento della macchina burocratica rispetto a quella per l'erogazione diretta di servizi e per investimenti. Brunetta avrà usato slogan efficaci ma alla prova dei fatti dopo un anno la macchina statale costa parecchio più di prima. Il debito supera il 114% del Pil con un incremento di 9 punti percentuali, e quindi con un aumento delle spese per il servizio del debito.
Il coraggio che manca
Volendo continuare nelle mie citazioni mozartiane del Don Giovanni dovrei dire "il catalogo è questo" come dice Leporello a Donna Elvira. E' un catalogo pesante, che renderebbe difficile per chiunque governasse la gestione della politica economica. Però nasconderlo o sottovalutarlo è la cosa peggiore. Il Governo ha fatto una scommessa che si è rilevata sbagliata: ha pensato che la crisi sarebbe stata meno pesante e meno lunga e che sarebbe stato sufficiente aspettare, adottando nel breve un po' di cosmesi politico-finanziaria. Non ha valutato che il pesante quadro congiunturale si sovrapponeva a limiti strutturali di competitività del sistema paese e la somma di queste due componenti dà per risultato non una parentesi che si apre e si chiude per tornare dove eravamo, ma la necessità di approfittare della crisi per rimediare ai ritardi con riforme coraggiose. Il largo consenso parlamentare e nel paese (di cui si vanta un giorno si e l'altro pure il Presidente del Consiglio) avrebbe dovuto produrre una agenda riformista su cui sfidare l'opposizione, e noi avremmo accettato volentieri questa sfida virtuosa, una politica con l'orgoglio di vincere davvero una sfida storica per rimediare a ritardi strutturali per la competitività del paese, una sfida su cui costruire alleanze sociali.
Dire e non fare
Dov'è questa agenda riformista? Non certo in questa legge finanziaria, né nei farraginosi provvedimenti di politica economica che si sono succeduti e stratificati in modo contraddittorio in questo primo anno di governo. Esiste il lancio giornalistico di riforme come se fossero beni di largo consumo, ma non esistono i fatti. Basta qualche esempio.
Nuove tutele per il lavoro
Quando se non ora è il tempo di una riforma strutturale degli ammortizzatori sociali? Quando una drammatica pressione sociale sulla disponibilità di lavoro può portare tutte le forze responsabili a condividere una impostazione più larga, più equa, più efficiente degli ammortizzatori sociali, nell'interesse del paese e ne rispetto dei principi costituzionali di eguaglianza. Le nostre proposte le abbiamo messe in campo, le parti sociali hanno dichiarato la loro disponibilità, il Governo non ha voluto affrontare questo capitolo, difficile certo, ma in tempi difficili alla politica sono assegnati compiti difficili.
Cacciare la spesa cattiva per sostenere quella buona
Quando se non ora sarebbe necessario impostare una solida spending review del bilancio, per agire sull'efficienza della spesa non con annunci qualunquistici ed inconcludenti ma con un rigoroso esame della produttività della spesa pubblica: basta riandare alle molte proposte della Commissione sulla spesa pubblica che il Governo ha irresponsabilmente soppresso.
Riforme a costo zero
Quando se non ora bisognerebbe affrontare quelle riforme a costo zero (finanziario, anche se non sempre sono a costo zero dal punto di vista del consenso immediato) che riguardano le aperture dei mercati chiusi, il disboscamento degli oneri burocratici per le imprese?
Per un fisco moderno
Che dire del fisco? Quale visione fiscale della maggioranza oltre la promessa di ridurre la pressione fiscale a cui ha corrisposto nel mondo reale un aumento? Ora sembra che si interverrà in modo più o meno simbolico sull'IRAP. Noi siamo pronti, abbiamo fatto delle proposte e vorrei ricordare che l'unica riduzione strutturale e permanente dell'IRAP è stata fatta dal Governo Prodi che con l'intervento sul cuneo fiscale ha ridotto di circa ¼ l'IRAP. Ma che effetto potrà avere un intervento modesto sull'IRAP oltretutto finanziato con i proventi dello scudo fiscale, cioè una diminuzione una tantum? Al di fuori di un disegno chiaro di riforma, di un orizzonte di certezza per le famiglie e le imprese?. Sappiamo quali sono i difetti del fisco italiano: troppo concentrato sul lavoro, dipendente ed imprenditoriale, e poco sulle rendite. Troppo complicato e presuntivo, con la deformazione degli studi di settore. Troppo centralista, con una scarsissima relazione tra il prelievo ed i servizi restituiti al territorio. Si è vista una correzione di queste debolezze? Le uniche correzioni fatte riguardano qualche strizzata d'occhio per tollerare il ritorno a pratiche elusive ed evasive.
Il federalismo che manca
Abolirete l'IRAP? Sia pure in un tempo lontano? Bene, ma diciamo come è possibile fare sul serio una riforma in favore del federalismo fiscale se si abolisce una buona parte dell'ICI, l'imposta che dava autonomia fiscale ai Comuni e l'IRAP che finanzia buona parte dei bilanci regionali? Dire che si abolirà senza chiarire dove si reperiscono le risorse necessarie (parliamo di 40 miliardi di euro, di cui 27 per la parte privata) e senza dire come si rafforza e non si indebolisce l'autonomia regionale è usare un espediente mediatico. E intanto si sono già accumulati i primi ritardi per il federalismo: non è ancora insediata la bicamerale, si incominciano a rinviare i termini per i decreti attuativi.
Ma il paese non ha bisogno di espedienti, ha bisogno di riforme coraggiose. Sono quelle che continuano a mancare, sono quelle che noi proponiamo.

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