Senatore Paolo Giaretta
Paolo Giaretta in Senato

Discussione sulla Nota di Aggiornamento del Programma di Stabilità dell'Italia
Intervento in Commissione Bilancio del Senato - 3 marzo 2010


Ogni volta che è possibile aprire una discussione politica sui documenti economico finanziari che il Governo è chiamato a presentare alle varie scadenze previste dalle leggi sulla contabilità pubblica emerge con molta chiarezza la distanza tra il discorso pubblico che viene tenuto dal Ministro nelle varie occasioni parlamentari (rare), giornalistiche o convegnistiche e la realtà che viene definita nei documenti ufficiali. Conta il Ministro sul fatto che i documenti sono per gli addetti ai lavori, le interviste per l'opinione pubblica. Tuttavia questa scelta comunicativa crea una trappola comunicativa, perchè crea aspettative non solo nell'opinione pubblica e nelle parti sociali, ma anche nella maggioranza parlamentare e nei Ministri a cui non possono essere date risposte positive.
Del resto il segnale evidente di una situazione di stress dei conti pubblici superiore a quello già pesantissimo registrato nei documenti ufficiali è dimostrato dal progressivo decadimento delle tipologie di copertura. Argomento tecnico si dirà, ma essenziale per garantire il pieno rispetto dell'art. 81 della Costituzione, evitando un progressivo e sotterraneo degrado dei conti pubblici. Quando si presentano provvedimenti che recano a copertura per qualche decina di milioni di euro tagli orizzontali di qualche centinaio di capitoli di bilancio per il singolo valore di qualche centinaio di euro non significa solo svuotare il contenuto di bilancio (altro che nuova legge di contabilità) ma si registra una reale difficoltà della tenuta dei conti che richiederebbe un discorso pubblico profondamente diverso: non pessimismo inconcludente ma, certamente, assunzione severa di responsabilità in luogo di ottimismi di maniera.
In ogni caso possiamo utilizzare le cifre contenute dell'Aggiornamento 2009 del Programma di Stabilità dell'Italia (la cui presentazione al Parlamento è stata resa obbligatoria dalla nuova legge di contabilità) per confutare il contenuto di alcune affermazioni correnti che il Governo utilizza nel rapporto con l'opinione pubblica.
Prima vulgata: l'Italia esce dalla crisi prima e meglio degli altri paesi
Sono i dati che dimostrano che non è così. Intanto bisogna ricorda re che l'Italia già prima della crisi aveva un differenziale negativo di crescita rispetto all'area euro e OCSE: comunque cresceva circa la metà dei paesi a diretta competizione. Negli ultimi due anni poi occorre mettere il segno meno di fronte alle cifre del PIL: - 1,0% nel 2008, -4,9% nel 2009 (-5% nell'ultima revisione ISTAT). I dati che ritornano ad essere finalmente positivo devono tener conto con la comparazione con i dati di altre economie che il nostro arretramento è stato molto più pronunciato, siamo sostanzialmente tornati al livello del reddito del 2000, un arretramento di dieci anni quanto a PIL pro capite. Per apprezzare la pesantezza di questo -4,9 si deve considerare che da quando esistono le serie storiche dell'Istat della contabilità nazionale non si è mai registrato un crollo di questa dimensione.
In ogni caso la crescita prevista da FMI registra un +1 per il 2010, in media euro (che tuttavia aveva registrato un saldo netto di - 3,3 nel biennio 2008-2009 rispetto al 5,9 dell'Italia) ed un +1.3 nel 2010 rispetto ad un'area euro al +1,6. Nell'area G8 tranne la Spagna siamo quelli che cresceremo meno nel biennio 2010/2011.
L'aggiornamento del Patto di Stabilità riporta per il biennio 2011-2012 una crescita del 2% all'anno: ma è un dato che non ha riscontro nelle previsioni di tutti gli organismi accreditati (centri studi italiani, Commissione Europea, OCSE, Fondo Monetario Internazionale) e non alcun supporto argomentativo sul perchè il Governo quasi raddoppi la previsione di crescita accreditata da tutti gli istituti italiani ed internazionali.
Del resto oltre al dato del PIL sono gli altri dati sensibili che dimostrano che la situazione resta difficile. Il documento del Governo riconosce esplicitamente che la situazione occupazionale continuerà a peggiorare per tutto il 2010, incominciando ad invertire la tendenza solo nel 2011, ma restando comunque anche al 2012 in condizioni peggiore del 2008. Il tasso di disoccupazione avrebbe questo andamento: 6,7 nel 2008, 7,7nel 2009, 8,4 nel 2010, 8,3 nel 2011, 8,0 nel 2012. Purtroppo si conferma ciò che abbiamo sostenuto fin dall'inizio: che la crisi è lunga e profonda (lo spunto ottimistico dei dati del terzo trimestre 2009 è purtroppo già stato contraddetto dal dato del quarto trimestre 2009 che segna un -0,2 rispetto al trimestre precedente e un meno 2,8 rispetto all'ultimo trimestre del 2008, che l'indice destagionalizzato della produzione industriale di dicembre segna un arretramento di 0,7 punti rispetto a novembre, segno che la velocità di uscita dalla crisi è lenta ed incerta ) e i riflessi sociali andranno ben oltre la fase di inversione nella curva del PIL.
Seconda vulgata: Il Governo ha fatto molto e comunque tutto il possibile
Ancora una volta i dati sconfessano questa affermazione. Quali sono le politiche messe in campo di fronte ad una crisi così profonda? Il documento del Governo descrive una serie di interventi e di riforme(?), in parte corrispondenti ad atti concreti, in parte corrispondenti a mere affermazioni di principio. Ma al dunque la mobilitazioni di risorse è stata modestissima. Gli stimoli fiscali aggiuntivi si sono contenuti nel cuore della crisi nel biennio 2008/2009 su due decimi di punto del PIL. Nell'area dei paesi sviluppati hanno fatto di meno solo la Grecia ed il Portogallo e l'Irlanda. La nostra azione correttiva si è collocata tra un quarto e un decimo di quelle fatte dai paesi con cui dobbiamo competere. Nel 2010 prosegue questa tendenza, riducendo l'intervento allo 0,1 del Pil. Un intervento dello 0,1 del PIL significa un intervento di 1,5 miliardi di euro, circa la metà di quanto è costato il solo intervento di eliminazione dell'ICI sulla prima casa per i redditi più elevati, a dimostrazione del grave errore di agenda politica effettuato dal Governo. Morando ha ricordato la componente degli stabilizzatori automatici e rinvio alle sue considerazioni in proposito: sostanzialmente il Governo non ha agito ed ha lasciato agire gli automatismi senza alcuna sensibile iniziativa di correzione.
Terza vulgata: lotta con successo agli sprechi (Brunetta & Tremonti all'opera)
Se guardiamo la tabella relativa all'andamento della spesa delle amministrazioni pubbliche constatiamo che la spesa, al netto della spesa per interessi, assume un peso crescente sul PIL, passando dal 43,7% del 2008 al 46,9% nel 2009 restando comunque anche all'orizzonte del 2012 superiore al dato del 2008, attestandosi su un punto in più. Influisce naturalmente la bassa crescita del PIL, a riprova che il vero problema dell'Italia, che si riflette sulla tenuta dei conti pubblici è la bassa crescita strutturale. Nel complesso la spesa corrente primaria crescerà nel 2010 di 1,9 punti, ben superiore alla crescita del PIL.
In particolare va ricordato che le spese per far funzionare la macchina dello Stato (spese per il personale + consumi intermedi) sono cresciuti tra il 2008 ed il 2009 di quasi un punto sul pil passando dal 16,3% al 17,2%.
In sostanza non si è approfittato della crisi per impostare una azione di riqualificazione della spesa corrente: se non meno spesa almeno spesa migliore. Nell'attesa del sempre più improbabile federalismo con in costi standard si è eliminata l'unica struttura che aveva iniziato a compiere una spending review del bilancio dei principali ministeri individuando un set di azioni possibili per contenere la spesa senza compromettere quantità e qualità dei servizi.
Il mix micidiale di bassa crescita (che per l'Italia non è una novità portata dalla crisi) e mancata revisione migliorativa della spesa pubblica porta ai dati noti di finanza pubblica che costiuiscono un grave impedimento per il futuro: avanzo primario azzerato (0,6), indebitamento al 5,3, debito al 115,8 e in crescita ulteriore nel 2010, azzerando tutto il percorso virtuoso fatto dai governi di centrosinistra. Nonostante la più che ottimistica previsione di crescita per il 2011 e 2012 il debito resterebbe a livelli elevatissimi con un rientro al 2012 di qualche decimale di punto, segno della assoluta mancanza di politiche strutturali di bilancio.
Quarta vulgata: contro il mercatismo un nuovo protagonismo dello Stato
A parte l'utilizzo dell'incerto termine mercatismo come un'arma ideologica anche sotto questo profilo le affermazioni di principio non hanno riscontro con i fatti. Già abbiamo detto della modestissima azione correttiva realizzata dal Governo. Possiamo aggiungere che il modo migliore che ha lo Stato per correggere i difetti del mercato consiste nell'essere un buon regolatore e nel produrre in modo efficiente quei beni pubblici che il mercato non è in grado di offrire. Sul piano della regolazione sappiamo che le uniche azioni sono state regressive: arretramento delle politiche di liberalizzazione, indebolimento delle Autorità di controllo, legislazione d'impresa lassista. Sul piano della produzione di beni è un indice importante la politica di investimento. Le spese in conto capitale, già strutturalmente basse sono previste in forte contrazione: -11% nel 2010, -7,2 nel 2011, -5,3 nel 2012. Questo in un quadro in cui l'indice ISTAT sulla produzione nel settore delle costruzioni segna un arretramento annuo dell'11,3%, segno che tutta la retorica sull'accelerazione delle grandi opere, sul piano casa, ecc. non ha prodotto alcun effetto di sostegno di un settore chiave per la produzione del reddito: si è compressa la capacità dei comuni di attivare piani straordinari di opere pubbliche, si è resa incerta e precaria la strumentazione di intervento a sostegno degli investimenti dei privati nelle abitazioni per migliorarne il bilancio energetico.
E' interessante osservare (elaborazioni di www.nelmerito.com) che nell'intero periodo 1990-2008 la spesa nominale in conto capitale è cresciuta del 60% mentre quella corrente al netto degli interessi ha avuto una crescita del 140% ed in particolare la spesa corrente primaria è cresciuta di 12 punti percentuali sulla spesa complessiva, assorbendo tutto il dividendo ricavato dai minori interessi sul debito. Un dato che dovrebbe far riflettere sul fatto che gli obiettivi del Patto di Stabilità in termini di aggregati sul deficit e sul debito andrebbero completati con dei vincoli sulla qualità della spesa o con un trattamento diverso della spesa per investimenti.
Le politiche che mancano
La situazione descritta richiederebbe due cose da un Governo responsabile:
un chiaro discorso pubblico al paese: tra un ottimismo irresponsabile e un pessimismo irresoluto c'è la terza via della costruzione di un patto per il paese, che metta ognuno, pur nella diversità dei ruoli (maggioranza, opposizione, parti sociali) nelle condizioni di poter contribuire a quel bene comune indisponibile che è la vitalità economica dell'Italia e la sostenibilità della sua finanza;
l'approntamento di politiche strutturali coraggiose, che escano finalmente dall'asfittica strategia fin qui seguita di affidarsi alla ripresa che verrà.
Molte sono state le proposte di politica economica che abbiamo avanzato in questi mesi, di carattere congiunturale e strutturale: credito, sostegno redditi minori, riforma ammortizzatori sociali, pagamenti pubblica amministrazione, valorizzazione capacità appaltante degli enti locali, politiche per il sostegno alla ricerca, incentivi automatici, lavoro femminile, aiuti alla aggregazione d'impresa, rafforzamento delel reti tecnologiche, ecc.
In particolare pesa la mancanza di una incisiva politica industriale. Ancora una volta tutti i discorsi sul limite del mercatismo producono un bel nulla. Eppure è evidente che il mondo uscirà profondamente diverso da questa crisi, con una diversa ripartizione del mercato mondiale, con nuovi soggetti che consolidano la loro capacità competitiva. Per l'Italia significa anche la necessità di fare un ulteriore grande salto di specializzazione produttiva. In parte il sistema industriale ha reagito. Ma manca nettamente la presenza di una politica industriale di lungo termine che sostenga domanda e ricerca. Il Piano Industria 2015 era un esempio positivo, da perfezionare ed irrobustire ed è stato invece abbandonato.

 
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