Senatore Paolo Giaretta

Europa

17 aprile 2010


Abbiamo perso la metà dei voti di due anni fa
di Paolo Giaretta

Comunque la si giri il dato da cui occorre necessariamente partire per una riflessione sul voto è questo. Tra il 2008 ed il 2010, in 24 mesi, il PD perde il 43,3% dei suoi voti. Sono due anni cruciali. Quelli che hanno accompagnato la nascita del PD. Nel 2008 abbiamo dovuto fare i conti con un nostro elettorato profondamente deluso dal fallimento del governo dell'Unione. Nel 2010 pensavamo di poter contare su una delusione opposta. In effetti la PDL perde anch'essa il 40,3% dei propri voti, ma le perdite vanno in direzione della Lega e dell'astensione e in nessun modo veniamo presi in considerazione come una alternativa possibile. Perché? Cosa è successo nella psicologia profonda del paese e in particolare in quella di nostri precedenti elettori? Credo che nel 2008 il PD sia riuscito a presentarsi come soggetto credibile in grado di:
a) Offrire una chiave di lettura convincente ed ottimistica della società italiana, individuando i suoi punti di forza piuttosto che i suoi punti di debolezza e su questi capace di costruire alleanze sociali, culturali prima che politiche;
b) Offrire un rimedio alla frammentazione eccessiva della politica italiana, alla sua confusione e conseguentemente alla sua incapacità di decidere nei tempi necessari;
c) Offrire un progetto di modernizzazione del paese, oltre le rigidità ed i conservatorismi corporativi.
Per questo ha preso i voti. Tanti, considerate le condizioni di partenza e quello che si è visto dopo. Poi sono venuti errori di gestione da parte di Veltroni: ha avuto poca fiducia nei territori per combattere il conservatorismo dell'apparato centrale, non ha avuto la forza di trarre le conseguenze operative dell'impostazione innovativa del messaggio elettorale. Poi è venuta la quotidiana erosione della forza innovativa del nuovo partito da parte di chi scambiava la necessità di emozioni con la necessità di mozioni congressuali e di chi aveva nostalgia delle sicurezze (per chi?) della politica già conosciuta.
Risultato: una seconda colossale delusione dell'elettorato progressista dopo la caduta di Prodi. Una parte consistente di questo elettorato che si era comunque affidato a noi del 2006 e nel 2008 nel 2010 ci ha detto: ripassate quando avrete capito la lezione e quando sarete pronti sul serio.
Da qui occorre ripartire. Non valgono scorciatoie organizzativistiche nè di alleanze più aritmetiche che politiche. Problemi certo veri: come stare dentro il Paese, con quali rapporti tra iniziativa locale saldamente radicata nei territori e dimensione di un partito della nazione. Come essere capaci di costituire il perno di una alleanza credibile: con chi, per fare cosa.
Ma nulla si può fare se prima non si lavora con rigore e determinazione per definire la personalità del partito, la sua visione del paese, il progetto e la sua convincente narrazione. Partendo da una necessaria coerenza: se vogliamo rappresentare la parte progressista dobbiamo guidare il cambiamento. Non si sono mai visti progressisti alla guida di chi vuole conservare tutto. I cambiamenti necessari per modernizzare il paese e far star meglio chi ha un benessere insufficiente. Partendo da battaglie molto concrete e che non hanno adeguata rappresentanza: tanto per fare un esempio poco "romantico": chi pensa davvero ai pendolari che pagano il treno il 15% in più con un servizio peggiore? Una nuova visione di diritti sociali declinati nella concretezza della vita quotidiana.
I dati elettorali che ho citato all'inizio indicano che il paese resta contendibile: perfino la Lega che ha trionfato nel Veneto deve registrare in quella regione in due anni la perdita del 5% dei suoi voti rispetto al 2008. C'è una grande delusione diffusa per la politica ed una sorta di massiccia sospensione di giudizio. C'è nonostante tutto uno spazio per l'iniziativa politica. Basta ripartire dalla giusta parte.  

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