Nazifascismo, resistenza e festa della Liberazione

Pubblicato il 28 aprile 2004, da Dai giornali

Dopo la lettera del sindaco di Padova, Giustina Destro, sulla festa della Liberazione, ospitiamo la risposta del senatore Paolo Giaretta.

Caro Sindaco,

molte parole per non riconoscere una semplice verità: non si può celebrare la festa della Liberazione senza almeno accennare che è stata la liberazione da una tirannide concreta, quella nazifascista, e che si ricordano quanti, di tutti gli orientamenti politici (liberali e comunisti, socialisti e democristiani, laici e cattolici, monarchici e repubblicani) hanno saputo farsi “ribelli per amore” rispetto a quella tirannia, secondo la bella definizione di Teresio Olivelli, partigiano cattolico, morto per la libertà. Non tutti hanno saputo farlo.

Certo occorre sempre rendere attuale il messaggio ed evitare la retorica o la santificazione della Resistenza, che pure ha avuto insieme a tante pagine eroiche anche gli episodi oscuri. L’attualità consiste, a mio avviso, nel ricordare che le radici della nostra democrazia e della nostra Costituzione stanno in quella storia, in quella battaglia di uomini che sono stati dalla parte giusta ed hanno ridato dignità al nostro paese, travolto da tragici errori e dall’asservimento al nazifascismo, da tante debolezze, da tante distrazioni del suo ceto dirigente, da tante viltà.

Vi sono poi state altre divisioni che hanno riguardato le nostre libertà, la divisione del mondo in due blocchi e vi sono stati i ritardi del comunismo italiano? Certo, la nostra generazione, la mia e la tua, per fortuna non ha dovuto fare grandi battaglie e non ha avuto molti meriti per le scelte di campo giuste dell’Italia, come ha avuto quella di De Gasperi, cattolico, popolare, antifascista imprigionato dal fascismo. E tuttavia, cara Giustina, abbiamo molto da imparare anche dai “comunisti”. Leggi queste parole: “Amate lo studio e il lavoro; una vita onesta è il migliore ornamento di chi vive. Dell’amore per la verità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili. Amate la libertà…una vita in schiavitù non vale la pena di viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e ovunque sono i vostri simili, quelli sono i vostri fratelli”

Sono le ultime parole, rivolte ai propri figli da Pietro Benedetti, artigiano romano, comunista, resistente, condannato a morte dai nazisti e fucilato da un plotone della polizia fascista nel 1944. Era comunista, probabilmente sapeva poco o nulla dei gulag di Stalin, delle purghe sovietiche, ma stava dalla parte della libertà, molto di più di quanti oggi fanno a buon mercato una professione di feroce anticomunismo, di un comunismo che non c’è più e vantano meriti democratici che non hanno (che anzi stanno demolendo una parte delle libertà costituzionali): costoro farebbero bene a ricordare la complessa storia della resistenza italiana, fatta di tante voci, certamente non di “villeggianti” come pensa il nostro Presidente del Consiglio, ma di persone come Pietro Benedetti che con le sue semplici parole ha lasciato un messaggio di libertà e di dignità che nessun revisionismo storico può cancellare e che supera ogni barriera di parte e che dovrebbe fare arrossire qualche estensore ben pagato di ricostruzioni di comodo della storia del nostro paese a fini di una modesta, anzi miserevole, propaganda politica.

P.S. Naturalmente l'”Appello ai liberi è forti” (18 gennaio 1919) è di don Luigi Sturzo, quello Sturzo che nel suo appello parla di ideali di giustizia e libertà, di disarmo universale, di uguaglianza nel lavoro, di giustizia sociale, di una Società delle Nazioni che “abbia la forza della sanzione ed i mezzi per la tutela dei diritti dei popoli deboli contro le tendenze sopraffatrici dei forti”, quello Sturzo che ricorda (Discorso di Caltagirone, 1905) che i cattolici italiani devono scegliere “o sinceramente conservatori o sinceramente democratici” e che per quel che lo riguarda “io stimo monca, inopportuna, che contrasta con i fatti…la posizione di un partito cattolico conservatore.”

Bel programma, belle parole, che ci fanno capire come giudicherebbe Sturzo la realtà di oggi.

Paolo Giaretta

Il Mattino di Padova, 28 aprile 2004

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