Il ruolo e la responsabilità dei media nella lotta alla violenza contro le donne

Pubblicato il 9 settembre 2009, da Interventi al Consiglio d'Europa

Contributo di Paolo Giaretta alla manifestazione per il 60° del Consiglio d’Europa – Venezia, 9 settembre 2009


Sono lieto di portare il saluto del Gruppo del Partito Democratico nel Parlamento Italiano.

Un grande combattente per i i diritti umani Martin Luther King una volta ha detto: “Non ho paura della cattiveria dei malvagi ma del silenzio degli onesti”.

E’ anche per combattere questa tentazione del silenzio che 60 anni fa nasce il Consiglio d’Europa; l’anno prima veniva approvata dall’assemblea dell’ONU la Dichiarazione Universale dei diritti Umani. Per la prima volta si afferma solennemente che i diritti fondamentali appartengono a tutti gli individui e a tutti i popoli. E che tutti i governi hanno il dovere di difendere i diritti dei propri cittadini e dell’umanità intera. Sono la tenacia e l’abilità diplomatica di una donna – Elizabeth Roosvelt – che consentono di raggiungere un risultato non facile in un clima già segnato dalla nascente guerra fredda.

Presiedendo la Commissione preparatoria si concentra sull’idea che la politica abbia bisogno di un fondamento morale, che vi è il dovere di ogni governo di rispettare i diritti fondamentali in omaggio al bene comune ed all’interesse pubblico, che le dichiarazioni di principi possono diventare leve importanti nelle mani delle donne e degli uomini di buona volontà. Che solo così si possa combattere quella “banalità del male” di cui ci ha parlato Annah Arendt.

In 60 anni si sono fatti molti passi in avanti, ma molti ne restano da fare. Anzi vi è il pericolo di fermare il cammino. Gli intensi e rapidi mutamenti culturali ed economici, le grandi migrazioni planetarie che caratterizzano questa epoca generano paure nuove. E le paure sempre generano nuove violenze. I più deboli cercano nuovi nemici tra i più deboli. Nasce la xenofobia, nasce il razzismo, si esercita la violenza contro i più deboli di noi per esorcizzare le paure.

Resta quella contro le donne una delle più gravi e più diffuse violazioni dei diritti umani, nei paesi avanzati non meno che in quelli senza libertà democratiche o a democrazia fragile. Nel mondo per le donne tra i 15 e i 44 anni stupro e violenza domestica hanno una incidenza superiore a malattie gravi come il cancro o la malaria o agli incidenti stradali. Ma sappiamo che infinite sono le altre forme di violenza cui sono soggette le donne. In Italia, ma non sono diversi i dati degli altri paesi europei, quasi un terzo delle donne dichiara di aver subito nella propria vita una forma di violenza fisica o sessuale, nel maggior parte dei casi dentro il proprio nucleo familiare

Chiunque eserciti un potere ha il dovere di combattere una buona battaglia per estirpare questa mala pianta. I media sono un grande e penetrante potere nella società contemporanea.

Molto possono e debbono fare per una battaglia che ha bisogno non solo di presidi legislativi, di interventi amministrativi, di azioni positive ma anche di profondi mutamenti culturali.

Tra qualche settimana celebreremo la Giornata Mondiale dell’ONU contro la violenza sulle donne. Si celebra il 25 novembre per ricordare la morte delle tre sorelle Maragall, sequestrate, violentate, torturate ed assassinate dalle squadre della morte del feroce dittatore Trujillo nella Repubblicana domenicana. Erano andate a trovare in carcere i loro mariti, combattenti per la resistenza. Il problema è che per non dimenticare non basta la celebrazione di una giornata, occorre ricordarsene tutti i giorni.

Informare certo, dare le notizie. Soprattutto raccontare delle storie concrete di donne.

L’opinione pubblica europea è spesso spaventata dagli sbarchi di immigrati clandestini sulle coste del sud del continente. Eppure quanta violenza contro giovani donne che partono dal Corno d’Africa investendo tutti i loro risparmi, un lungo viaggio lungo il Sudan, la Libia: rapinate, violentate schiavizzate. Poi un viaggio pericoloso in mare in mano a mercanti di esseri umani. Se riescono a sopravvivere magari respinte ai confini della ricca Europa. Tornare indietro verso nuove violenze, avendo perduto tutto. Se raccontassimo meglio queste storie forse ai sentimenti di paura si sostituirebbero sentimenti di vergogna e dalla vergogna nascerebbe la voglia di vincere questa sfida. Oltre le buone parole la sfida dei fatti concreti per la piena affermazione dei diritti umani.


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