Le ripercussioni sociali della crisi economica

Pubblicato il 26 aprile 2010, da Interventi al Consiglio d'Europa

Le conseguenze sociali della crisi devono fare i conti con il fatto che si tratta della più grave crisi dopo la grande recessione degli anni 30 del secolo scorso.

Vi è larga condivisione sul fatto che le cause più immediate hanno la loro radice sostanzialmente in due fatti: l’eccesso di finanziarizzazione dell’economia con una ricerca smodata del profitto a breve termine e la mancanza di strumenti regolatori adeguati sia all’interno degli Stati  per un mercato di prodotti finanziari sempre più sofisticati sia e soprattutto ad un livello sovranazionale per un mercato finanziario diventato globale.

Occorre sottolineare che la crisi porta a due conseguenze sociali negative. Una diretta con il rallentamento dell’attività economica e le pesanti conseguenze occupazionali con la perdita di posti di lavoro esistenti e la mancata creazione di nuovi particolarmente per i settori più fragile del lavoro precario, poco qualificato e del lavoro femminile. Una indiretta con l’enorme costo per la finanza pubblica delle misure a sostegno del sistema creditizio che hanno distorto le priorità di spesa prosciugando risorse di sostegno a strumenti innovativi del welfare. E’ stato calcolato che la spesa per il salvataggio del sistema finanziario statunitense è comparabile con quella sostenuta per il secondo conflitto mondiale.

Tuttavia queste due debolezze mettono in luce degli aspetti più di carattere strutturale che riguardano alcune disfunzioni profonde del sistema capitalistico moderno. In particolare il fatto che le ricadute occupazionali e sociali si aggravano per diversi motivi: per le scelte aziendali rivolte prevalentemente a brevissimo termine e l’indebolirsi della funzione sociale dell’impresa, per la crisi fiscale degli stati sotto la pressione competitiva di una finanza volatile a livello planetario che comporta l’indebolimento dei sistemi di welfare, per il degrado dei grandi servizi pubblici egualitari come la scuola e la sanità.

Infatti le conseguenze della crisi si aggiungono ad una tendenza presente da tempo di aumento delle diseguaglianze e di una redistribuzione dei redditi a favore dei redditi più alti rispetto a quelli medio bassi e a favore dei redditi da capitale rispetto a quelli da lavoro. La ricerca dell’OCSE “Growing unequal” fornisce un quadro aggiornato di questa tendenza per tutti i paesi dell’area OCSE e mette in luce come negli ultimi 20 anni per i due terzi dei paesi dell’area OCSE vi è stato un sensibile aggravarsi delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito ed un aumento dell’indice di diffusione della povertà relativa. La diseguaglianza delle remunerazioni dei lavoratori a tempo pieno è aumentata e sono diventate più diseguali nella maggior parte dei paesi OCSE, il reddito da lavoro si è indebolito e resta decisivo per contrastare la povertà: oltre la metà della persone povere possiedono un reddito da lavoro tuttavia insufficiente per il basso livello o il basso numero di ore lavorate.

Solo la presenza di strumenti di welfare largamente diffusi ha permesso in parte di contenere l’allargarsi della forbice delle diseguaglianza. Ma se l’effetto della crisi fosse un indebolimento delle azioni dei governi per compensare le diseguaglianze, politiche fiscali e previdenziali più sfavorevoli ai poveri la crescita della diseguaglianza sarebbe molto più ampia, tale da mettere in discussione il livello dei diritti sociali fondamentali tutelati dal Consiglio d’Europa.

D’altra parte anche le recenti previsioni della Banca centrale Europea registrano un’alta probabilità di una ulteriore aumento della disoccupazione nell’area euro per tutto il 2010. Attualmente il livello di disoccupazione dell’area euro è il più elevato dal 1998. Una così prolungata caduta del tasso di occupazione in un’area molto vasta compromette la crescita della domanda globale e rende molto più fragili i sistemi di sicurezza sociale

Dunque occorre cogliere l’occasione della crisi per orientare le scelte per un nuovo modello di sviluppo maggiormente orientato al lungo termine, all’equilibrio sociale, alla sostenibilità ambientale, in grado di coniugare il benessere individuale con le esigenze della società e delle generazioni future.

Occorre ristabilire un equilibrio tra crescita economica e diritti sociali. Un nuovo terreno di mediazione tra liberalizzazione dei mercati e regole sociali prevedendo anche un rafforzamento del ruolo della Organizzazione internazionale del lavoro in una governance globale accanto alle altre organizzazioni come il WTO, il FMI, la Banca Mondiale. La globalizzazione positiva può essere salvata se accanto ad una ridefinizione delle regole finanziarie si riuscirà ad espandere standard condivisi in materia di diritti sociali.

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1 commento

  1. Francesco Corradini
    15 giugno 2010

    Condivido l’analisi fino a dove dice: “Solo la presenza di strumenti di welfare largamente diffusi ha permesso in parte di contenere l’allargarsi della forbice delle diseguaglianza”. Ma per cogliere l’occasione della crisi per orientare le scelte per un nuovo modello di sviluppo maggiormente orientato al lungo termine…e ristabilire così un equilibrio tra crescita economica e diritti sociali, comporta una disponibilità di risorse economiche che è incompatibile con l’abnorme debito pubblico italiano, che ha superato 1800 miliardi di euro. Morale: bisogna aumentare le imposte per l’immediato, perchè la lotta all’evasione bene che vada richiede anni, oppure tagliare drasticamente la spesa pubblica con tutte le proteste immaginabili. Domanda: se fosse al Governo il PD dove taglierebbe? Cominciamo a dirlo se vogliamo essere credibili, perchè dopo le analisi occorrono scelte concrete e…dolorose.


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