Italcementi: tre valori da rispettare

Pubblicato il 14 giugno 2010, da Dai giornali

Il Mattino di Padova è diventato un importante luogo di partecipazione civica sul problema del revamping dell’impianto cementiero di Monselice. È stata una scelta giusta perché la questione trascende la specificità del luogo e riguarda più in generale l’apertura di una nuova fase che deve includere nel concetto di sviluppo quello di un modo di produrre sostenibile e più attento ai bilanci ambientali ed energetici.

Non sono finora intervenuto perché se il torneo è lavoro contro ambiente è un gioco che non mi interessa. Fatto così è sbagliato. Non siamo in presenza di un valore che deve prevalere sull’altro. Siamo in presenza di tre valori tutti e tre rilevanti e tutti e tre da far convivere.

Il lavoro intanto. Per i lavoratori dell’impianto e per gli occupati indiretti, a partire dal settore dei trasporti. La salute dei cittadini, che hanno diritto a vivere in un ambiente più salubre. L’elemento paesaggistico, che è una risorsa decisiva guardando al futuro della zona euganea. La contrapposizione non risolve nulla. Prendiamo in esame le due soluzioni derivanti dalla contrapposizione. La Provincia (che è quella che decide) decide per il no. L’impianto di Monselice continua a produrre nelle attuali condizioni e con le attuali emissioni per tutto il tempo che lo riterrà conveniente. Quando dismetterà resterà una ferita paesaggistica che non avrà alcun interesse a ricucire. Avrà mani libere dal punto di vista occupazionale.

La Provincia decide per il sì (che è la cosa più probabile) magari trincerandosi dietro il parere tecnico sul VIA. Manifestazioni, proteste, ecc. ma si realizzerà una grave ferita al paesaggio, ed ancora una volta l’azienda sarà libera, sulla base di diritti legittimi, di sfruttare l’ambiente senza alcuna specifica responsabilità sociale.

Proviamo finché c’è il tempo una strada diversa che non sia quella del gioco a somma 0 (vinco io e perdi tu) ma quella del gioco che aggiunge utilità, mettendo un po’ di ordine nelle decisioni. Partendo da una premessa. La Regione assuma le proprie responsabilità. Ha strumenti e poteri per aiutare soluzioni. A partire dalla decisione sulla cava di Oggiano, perché sarebbe paradossale tutto questo dibattito che ha come presupposto la disponibilità della materia prima proveniente da quella cava se poi la Regione dicesse di no.

Sulla salute dei cittadini. Poiché l’alternativa non è tra cessazione immediata delle emissioni e esistenza dell’impianto ma tra impianto nuovo, con i relativi tempi di ammortamento, e permanenza dell’impianto attuale, per decidere occorre fare un bilancio serio sull’impatto sulla salute. Prendendo dei numeri a caso ha un impatto maggiore sulla salute dei cittadini l’esercizio dell’impianto per 10 anni nelle attuali condizioni di inquinamento o per 20 anni con le emissioni dopo il revamping?

Sul paesaggio. E’ inaccettabile in un sito paesaggisticamente delicato una torre di quelle dimensioni. L’altezza se ho ben capito è necessaria per rendere più efficiente l’impianto dal punto di vista del risparmio energetico e dell’abbattimento delle emissioni. Deve stare tutto fuori terra? E’ possibile prevederne l’interramento parziale per ricondurre ad altezza accettabile, con idoneo trattamento di mitigazione ambientale?

L’occupazione. L’attività cementiera è incompatibile con il parco. In Italia in genere si mettono i divieti e poi ci si disinteressa della realtà. Si faccia un serio piano di dismissione, diluito nel tempo ma certo nel risultato finale. Con prospettive certe di rioccupazione, con un accordo per il risanamento dei siti.

L’esperienza della legge Fracanzani-Romanato che impose la cessazione dell’attività di escavazione nei Colli può ancora insegnare qualcosa. Anche allora c’era questo contrasto tra lavoro e paesaggio. Se la politica avesse ceduto alle motivazioni dei cavatori e al ricatto che facevano sui lavoratori (ed era un Veneto molto più povero con molto meno lavoro) oggi i Colli sarebbero spianati e vi sarebbe un deserto economico e un disastro ambientale. Si decise con lungimiranza e coraggio, lasciando tuttavia il tempo necessario per una fuoriuscita morbida dal settore.

Questa è la strada da ripercorrere oggi. Il resto è solo in capo alle faziosità ideologiche e ad una politica che rifugge dalle responsabilità. Il risultato come ho cercato di dimostrare sarebbe la sconfitta di tutti: tutti sconfitti e nessun vincitore. Regione e provincia invece di fare il pesce in barile mettano insieme le parti: Sindaci, Sindacati e imprese e costruiscano un serio percorso  per tenere insieme i tre valori che ho indicato. Si può fare e la gente capirebbe.

Paolo Giaretta

Pubblicato su Il Mattino di Padova, domenica 13 giugno 2010

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