Relazione al convegno di Area Democratica del Veneto – Mestre 10 luglio 2010

Pubblicato il 24 luglio 2010, da Relazioni

 

Una nuova fase si sta aprendo nella vita politica del paese. Troppi sono i segnali per ignorare la novità. Una novità che carica di particolari responsabilità il Partito Democratico.

E’ una fase contraddittoria. Da un lato è evidente l’indebolirsi della funzione di governo della maggioranza. Da molti mesi Berlusconi non è in grado di anticipare come fin qui aveva saputo fare l’agenda del paese né appare in grado di dominare le molte divisioni della sua maggioranza. I problemi vengono lasciati marcire, l’agenda è distorta (come al solito) sulle priorità del premier, ma la novità è che tutto ciò non si traduce in una capacità di concludere neppure le cose che lo riguardano da vicino. Gli scandali che si ripetono con frequenza mettono insieme l’inefficienza dell’azione e la dimostrazione che attorno a Berlusconi si è realizzato un circuito di interessi malavitosi, di assenza del senso dello Stato, di arricchimenti personali che iniziano a turbare anche l’opinione pubblica più disincantata o schierata.

D’altro lato tuttavia occorre registrare che di fronte alle difficoltà dell’economia un largo blocco sociale pensa che non vi sia altra soluzione che sostenere l’attuale Governo. Lo abbiamo visto in occasione della manovra economica. una manovra evidentemente insufficiente dal punto di vista della correzione dei conti che richiederà interventi aggiuntivi in corso d’anno, senza alcuna attenzione a mettere in campo strumenti per la crescita, senza alcuna ambizione nell’intervenire sugli elementi strutturali che inceppano il sistema Italia. Eppure ciò nonostante la rappresentanza di un largo blocco sociale ed economico si è dispiegato per sostenere l’azione del governo. Il sistema delle imprese con il nuovo soggetto Rete Impresa che ha messo insieme tutte le organizzazioni di rappresentanza del commercio e dell’artigianato accanto alle rappresentanze tradizionali dell’industria e dell’agricoltura, Cisl e Uil con altrettanta convinzione. E’ un mondo che avverte certamente l’insufficienza dell’azione (e cerca di correggerla con trattative bilaterali con il Governo) ma che ha deciso di dare una copertura molto forte, soprattutto di trovare in Tremonti un interlocutore a cui affidarsi.

Sembra che questo mondo intraveda che si è aperta la fase della successione a Berlusconi, ma pensa che tutto possa avvenire all’interno dell’attuale maggioranza con una trattativa diretta con quell’area politica. Ritenendo ininfluenti due soggetti. Sul piano sociale la CGIL: è in atto una vera emarginazione pensando che quel sindacato non abbia la forza di opporsi a processi inevitabili ed accettati dal mondo del lavoro e pensando che si sia trincerata su posizione inconciliabili con la necessaria riorganizzazione e economica e del sistema delle relazioni sociali. Sul piano politico il PD. Si ritene che il partito sia una transizione indefinita non in grado di scendere in campo con una convincente azione.

Ora naturalmente (e per nostra fortuna) non tutto è così semplice e le questioni irrisolte non possono essere coperte da accordi di vertice. Nel mondo del lavoro, dell’impresa, dell’associazionismo sociale, del volontariato la protesta emerge e cresce la consapevolezza dell’insufficienza dell’azione del governo.

Tuttavia si pone una grande questione per il PD che va affrontata con coraggio. Il PD è nato come partito dell’innovazione. Ha saputo riorganizzare politicamente il proprio campo ed obbligare il campo avverso a mettersi in movimento e molte delle difficoltà attuali del centrodestra nascono dalla provocazione indotta dall’innovazione promossa dal PD. E’ paradossale che il PD, nato per creare le condizioni politiche alla successione di Berlusconi, nel momento in cui questa fase si apre concretamente non sia in grado di essere protagonista nella costruzione dei nuovi equilibri. Che veda ulteriormente indebolirsi il proprio insediamento sociale, perdendo contatti con il mondo del lavoro rappresentato dalla CISL e con quel mondo del lavoro autonomo e della microimpresa che sia pure in forma dialettica non ha mai considerato il centrosinistra un interlocutore di cui si possa fare a meno. Anche la crisi del mondo cattolico, la difficoltà della gerarchia e del laicato a misurarsi con una nuova stagione impoverisce la capacità del PD di avere interlocutori forti, perchè rischia di restare in campo solo una contrattazione di interessi e una rappresentanza clericomoderata.

Per rappresentare queste difficoltà voglio usare le parole di Mario Rodriguez che su Europa di qualche giorno fa tratteggia secondo me con precisione la situazione.

Dice Rodriguez. “Sorprende in queste settimane il fatto che di fronte ad un indebolimento costante della figura del presidente del consiglio, di fronte ad una sequenza di inciampi e ruzzoloni non corrisponda il rafforzamento dell’opposizione. L’emersione di un soggetto, persona o partito, verso quale rivolgersi nella speranza che possa fare qualcosa di meglio o di più…Il fatto è che l’opposizione tutta non sembra in grado di offre una lettura della società italiana che permetta di interpretarne paure e speranze…Manca la capacità di evocare una cornice che generi fiducia. Quello che si dice è contraddittorio, complicato spesso carico di distinguo, di allusioni per addetti ai lavori…Nulla anche fare con chi in un momento di difficoltà proponendosi come un riferimento affidabile avanza proposte che fanno vivere esperienze non previste e prevedibili costringendo a vedere le cose in una luce diversa rispetto al passato.”

Questa lunga citazione mi sembra contenga una analisi molto convincente sulle difficoltà del PD e anche una linea di lavoro. Anche il riformismo è capace di far sognare, però bisogna avere una capacità di analisi della realtà, una narrazione convincente, la capacità di abbandonare schemi usurati ed avventurarsi nel mare aperto dell’innovazione ideale, di linguaggio e di proposta. Veltroni era stato convincente, pur in un quadro difficile che vedeva spegnersi l’azione del governo prodi appesantito dalle contraddizioni politiche dello schieramento dell’Unione (chi ricorda più questi termini) esattamente perchè aveva evocato un’idea di paese alternativo, di una politica più “romantica”, del cambiamento possibile attorno alle istituzioni della politica. In fondo il grande interesse che suscita la figura di Vendola anche fuori dalla Puglia ed indipendentemente dall’attività amministrativa (le vicende della sanità pugliese anche con la giunta Vendola non sono certo un esempio di buona amministrazione) segnala proprio questa aspettativa di una politica capace di evocare sogni e speranze. Veltroni aveva capito esattamente che il disperso popolo dell’Ulivo, con le sue contraddizioni ed aspettative diverse, poteva essere nell’immediato riunificato attorno ad un “sogno” di buona politica, dentro cui costruire nel tempo la proposta programmatica riformista.

Le cose sono andate diversamente (due delusioni: la fine dell’ulivo con Prodi e la prematura riconduzione del PD su binari conosciuti e un po’ noiosi del realismo della politica sono troppe anche per gli elettori più affezionati) ma da lì occorre ripartire.

C’è uno studio interessante sulla psicologia di massa che tende a spiegare la riorganizzazione della geopolitica mondiale attorno a tre atteggiamenti della psicologia umana. Il mondo occidentale è alle prese con un sentimento di nostalgia nei confronti di un mondo che non c’è più e che aveva assicurato all’occidente condizioni di centralità culturale e di superiorità economica, di benessere e di certezze sul futuro che ora sono venute a mancare. Il mondo islamico nel medio oriente in particolare è largamente dominato da un sentimento di rancore. Una terza parte del mondo, l’estremo oriente e parte dell’America Latina vive invece una condizione di speranza: un mondo nuovo si va formando, con nuovi diritti, condizione di benessere che si allargano.

E’ una analisi valida anche per la politica italiana? Entro certi termini sì. Il sentimento di nostalgia rischia di appesantire troppa parte dei nostri elettori, militanti e dirigenti, più orientati a guardare al come eravamo che al come dobbiamo essere, il rancore è il tratto dominante di quella parte di elettorato che guarda al grillismo, al dipietrismo, anche (più in passato che nel presente) alla Lega e perfino a Forza Italia (quella dei lettori appassionati del Giornale e Libero). Ma chi interpreta al speranza? Questa deve essere assolutamente la missione del PD.

In ogni caso e concludendo su questo punto. Il PD ha messo in moto un sommovimento profondo nell’organizzazione della politica italiana. Oggi quell’onda d’urto destruttura il partito finto nato attorno alla pdl e si intravede la fine della stagione berlusconiana. L’unica cosa che non possiamo fare è stare fermi attorno ad una idea un po’ polverosa di una socialdemocrazia del secolo scorso. occorre essere protagonisti di questa riorganizzazione, capire i limiti del bipolarismo incerto che si è realizzato in Italia e lavorare su una nuova offerta politica.

Nel Veneto restano i problemi generali, aggravati da una competizione più ampia che è in grado di mettere in campo la Lega.

Noi sappiamo che il successo della Lega non è affatto dovuto, come spesso si legge sulla stampa nazionale ad opera di improvvisati e superficiali analisti, ad un radicamento territoriale inteso come capillare presenza organizzata di strutture di partito. Il partito è radicato nella testa della gente, questo è il punto. Ha saputo dare rappresentanza a sentimenti prima inespressi, ha rappresentato un localismo che avvertiva distante la politica nazionale, ha cavalcato paure dei cambiamenti, ha ora una rete diffusa di amministratori locali, spesso rispettati e di buon livello, meno ideologici di come appaiono attraverso le dichiarazioni ai media delle punte militanti.

Attenzione però: è proprio nel momento del massimo successo elettorale e politico, con l’assunzione della guida della Giunta Regionale che si aprono le contraddizioni in cui il PD deve essere capace di inserirsi.

Semplificando un po’: il mondo è andato da una parte diversa da quella che evocava la Lega. Cina e oriente non sono stati il problema, ma la soluzione. Ci hanno creati molti problemi di competitività al ribasso, ma se non ci fossero stati quei mercati di sbocco il modello Nord Est sarebbe andato a gambe all’aria. L’Europa non è stato il problema, ma la soluzione. Senza un’area economica e monetaria allargata l’Italia ed il sistema delle nostre imprese non avrebbero retto all’anarchia dei mercati finanziari, alle bolle speculative, alla pirateria finanziaria. Insomma l’idea di un localismo assediato che si chiude in modo difensivo al resto del mondo è una ricetta sbagliata ed impraticabile. Nulla a che fare con la modernità che si gioca sul tema dell’identità dei luoghi che sanno inserirsi nei grandi flussi globali, come scrivono da tanto tempo analisti come Bonomi e Rullani. Il contrario degli appelli della Lega. Perfino l’impatto fortissimo dell’immigrazione accompagnata da rottura di equilibri sociali e culturali, conflitti sociali, disordine e influenze malavitose potrebbe aver superato il suo momento di colmo, con regole migliori, politiche più accorte e flussi migratori più equilibrati, in ragione anche della crisi economica.

Ci sarà un’altro momento di difficoltà per la Lega perchè il marchio di fabbrica del federalismo si traduce da sogno a realtà, da grimaldello apri tutto a tecnicismo della finanza locale. E quello che si vedrà almeno nel medio periodo è una cosa molto semplice. Meno soldi a comuni e regioni, senza alcun criterio meritocratico e di buon governo, più tasse locali per i cittadini e meno servizi. Proprio perchè abbiamo giudicato favorevolmente il cammino verso il federalismo fiscale simo oggi in grado di svolgere una credibile azione di contrasto a questa negazione del federalismo solidale che serve al paese.

Si aprono perciò spazi di iniziativa politica, anche tenendo conto del conflitto che si accentuerà nell’azione di governo regionale tra Lega ed almeno una parte della Pdl.

Naturalmente occorre partire da dove è partito il successo della Lega, dalla testa della nostra gente. Ci sono valori e persistenze che durano nel tempo, molto più di quanto appaia all’esterno.

Ad esempio. Il Veneto ha subito la sua grande mutazione, la prima da regione agricola a regione industriale e la seconda da regione inseguitrice a locomotiva d’Europa attorno a tre pilastri.

Il lavoro innanzitutto. Capacità di lavorare molto e bene, di sperimentare ed innovare partendo dai processi semplici. Mettendo insieme spirito individualista con capacità di organizzare reti collaborative: nel Veneto è cresciuto il credito locale, nel Veneto sono cresciute le più grandi organizzazioni di rappresentanza del lavoro autonomo.

Il territorio che è stato il retroterra logistico dello sviluppo imprenditoriale, anche massacrandolo purtroppo, con una moltiplicazione capillare di microaree artigianali, ma che ha costituito comunque il patrimonio su cui si è realizzato il sistema dei distretti ed ora delle reti di impresa.

Le reti sociali, che hanno consentito di affrontare grandi trasmutazioni economiche e culturali senza eccessi di conflitto e con una forte capacità di integrazione.

Questo è un patto che va ricostruito perchè se guardiamo al futuro sono ancora questi tre pilastri che possono sostenere una ulteriore positiva trasformazione della società veneta.

La qualità del lavoro, che oggi significa investire sulla qualità dell’istruzione e della ricerca, appoggiandosi alla rete degli atenei veneti che va integrata e riorganizzata (progetto politecnico veneto), sulla istruzione tecnica di qualità, sull’istruzione permanente, ecc.

Sul territorio che va ricucito e ricomposto, attorno alle grandi reti tecnologiche e di gestione. L’energia e le potenzialità della piattaforma veneta delle rinnovabili, i rifiuti ed il ciclo di riuso, la logistica, la banda larga, il sistema del trasporto in cui centinaia di migliaia di cittadini veneti soffrono quotidianamente, la qualità ambientale e della convivenza urbana, ecc.

Infine le nuove condizioni della convivenza sociale, con la ridefinizione di un welfare a carattere comunitario, la costruzione di nuovi luoghi di partecipazione e inclusione dei cittadini.

Possiamo rappresentare un Veneto che vuole vincere la sfida della modernità contrapposto ad un veneto conservatore, che vive di mille paure e finisce per subire inevitabilmente le cose più grandi di sé.

C’è molto lavoro da fare. Il nostro compito è questo. E’ evidente l’insufficienza dell’azione anche del PD veneto. Però non serve criticare il Segretario. Occorre offrire con rigore gli strumenti del lavoro. Fare fino in fondo la nostra parte. Le condizioni minime sono naturalmente condividere l’insufficienza ed essere convinti del lavoro da fare. Ciò che non possiamo accettare è uno stanco ed impotente immobilismo.

Abbiamo delle risorse su cui puntare. Ripeto qui quanto detto in occasione della discussione sui risultati elettorali.

Abbiamo una rete territoriale di circoli che nessun altro partito veneto è in grado di mettere in campo, tanto meno la Lega. Certo, sono circoli che rischiano di essere autoreferenti, che faticano a costruire relazioni con la società civile del proprio territorio, che lasciamo senza mezzi e strumenti dell’iniziativa politica. Però ci sono, con gente generosa e di buona volontà. Possiamo formarli, dobbiamo dare strumenti per iniziative e campagne politiche. Non basta fare i gazebo se non sono finalizzati a trasmettere messaggi puntuali, che vengono ripresi sulla stampa, che abbiano attualità, ecc. E’ una colpa grave trascurare e lasciar deperire questa forza territoriale.

Abbiamo la forza di una presenza istituzionale di Sindaci, assessori consiglieri comunali, che son radicati molto di più di quanto offrirebbe il consenso politico al PD. E’ un’altra forza straordinaria, perchè costituiscono sensori sui movimenti profondi della società veneta, sulle opinioni prevalenti, sui bisogni politicamente inespressi. Costituiscono l’immagine positiva dell’innovazione e del buon governo attorno ai valori che vuole esprimere il PD. Occorre trovare il modo perchè diventino il perno importante della nostra azione politica, pur salvaguardandone l’autonomia spesso necessaria per operare e vincere in territori politicamente ostili.

Infine abbiamo le presenze istituzionali in Parlamento ed in Regione. Siamo in parecchi, siamo pagati a tempo pieno per la politica. Penso che si possa fare molto di più per utilizzare la nostra azione, per metterci a disposizione dei territori, per affiancare l’azione dei circoli, per interconnetterci con il sistema delle rappresentanze sociali. Lo facciamo spesso per conto nostro, può essere rafforzata una rete di azione collettiva che può pesare molto di più.

Bisogna combattere, abbiamo voglia di combattere per una buona causa. Quando si toccano le corde giuste siamo capaci di suscitare attenzione. posso citarvi l’esperienza della Scuola Politica regionale, non solo per la partecipazione di un bel gruppo di militanti, giovani in gran parte, ad impegnativi percorsi formativi, ma anche per la disponibilità di un numeroso gruppo di qualificate personalità della cultura, della ricerca, della società guidate dal prof. Gilberto Muraro a far parte di un Comitato Scientifico di altissimo livello.

Segno che il PD ha un retroterra potenziale molto più ampio di quello finora messo in campo. Sta anche a noi agire nella giusta direzione.

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