L’acqua dopo il 12 giugno

Pubblicato il 18 giugno 2011, da Dai giornali

Europa, 18 giugno 2011

Bella la lettera di Luca Faenzi su Europa di giovedì per scusarsi degli eccessi del suo intervento (o meglio irruzione) sugli schermi di Raitre a commento dei risultati referendari.

Perché le scuse sono sempre un atto di civiltà. Perché il suo eccesso aveva interrotto il legittimo godimento di molti. Molti hanno pensato: vincono e già litigano. Io ho pensato che la festa dell’acqua si fosse trasformata in festa della birra o che la giustificata euforia da voto fosse sostenuta da euforia da canna.

Non ce n’era motivo. Non è che una mancata comparsata televisiva potesse togliere ai Comitati il merito ed il valore della battaglia compiuta. Del resto Bersani con molto corretto senso delle proporzioni tutto stava dicendo tranne annettersi il merito esclusivo di una battaglia di popolo.

Perché di questo si tratta: sbaglierebbero i partiti ad annettersi un merito esclusivo, ma sbaglierebbero anche i Comitati a pensare che il risultato sia dovuto interamente e solo al loro lavoro. Non solo perché nella raccolta delle firme e nella propaganda abbiamo visto all’opera generosamente centinaia di migliaia di attivisti del Pd, di Sel, di Idv, volontari esattamente come quelli dei Comitati. Ma perché il fenomeno è molto più complesso.

Certo i Comitati hanno avuto il merito di pensare al referendum, di crederci con determinazione, di offrire questo canale di partecipazione, di approfondire i temi e di diffondere conoscenze e criteri di giudizio. Di metterci l’entusiasmo necessario e di fare da motore di tutta l’operazione.

Ma poi il risultato è venuto per tante cose. Per un po’ di fortuna anche. Del resto audaces fortuna iuvat. Forse senza Fukushima non ci sarebbe stata questa enorme partecipazione popolare. Ma poi dentro il voto c’è un altro basta alla rissosa ed inconcludente stagione berlusconiana, fatta di chiacchiere, di appello all’odio e al disprezzo degli avversari, di divisione delle istituzioni, di abbandono della gente di fronte ai problemi di una crisi vera. Di fastidio per l’invadenza berlusconiana, la pretesa di farsi una agenda ed una etica a sua immagine.

C’è la riscoperta del valore della partecipazione come cura del destino collettivo, della tutela dei beni comuni, del valore del pubblico che non è solo il luogo degli sprechi e dei fannulloni, ma lo strumento per garantire eguaglianza dei diritti. E soprattutto c’è il dopo, per l’acqua in particolare. Di centrali nucleari non se ne parlerà più, se non altro perché non ci sono territori in cui collocarle, in materia di giustizia la Lega non potrà più distrarsi e calare le braghe come ha fatto finora, se non vorrà prendere il terzo sberlone “della madunina”.

Sull’acqua c’è da lavorare. C’è il disegno di legge di iniziativa popolare dei Comitati, c’è un disegno di legge del Pd. Bisogna lavorarci sopra senza pregiudizi e velocemente. Perché alla fine il fatto che in Italia ci sia il consumo pro capite di acqua più elevato d’Europa è un fatto che nasconde una enorme sperpero della rete distributiva ed anche una scarsa considerazione del bene acqua. Perché le tante strutture pubbliche accanto ad esempi di alta efficienza portano casi vergognosi di sprechi clientelari, di ambiti non ottimali, di mancata managerialità. Perché manca una autorità regolatrice indipendente che assicuri i cittadini su qualità e costi.

Perché il diritto di accesso all’acqua come bene fondamentale deve anche comportare la giusta valutazione economica di questo bene. Perché gestire bene l’acqua (captarla, distribuirla, depurarla) costa e ricorrere solo alla fiscalità generale significa che sarebbero sempre i soliti (i redditi medio bassi) a pagare. C’è del lavoro da fare, perciò. Conviene farlo dandosi la mano.

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