La Finocchiaro gliele ha cantate chiare

Pubblicato il 15 luglio 2011, da Interventi al Senato

 Intervento in Commissione Bilancio sulla manovra economica, 12 luglio 2011

Il voto di fiducia sulla manovra ha impedito la possibilità di una discusssione in aula. Riporto perciò l’intervento che ho fatto in commissione, insieme alla dichiarazione di voto di Anna Finocchiaro, a nome di tutte le senatrici ed i senatori del PD

“Vi sono momenti eccezionali nella storia delle nazioni in cui tutti i nodi sembrano venire al pettine contemporaneamente. L’Italia vive uno di questi momenti: aggancio all’Europa e riforma della finanza pubblica, mafia e criminalità organizzata, questione morale e crisi del sistema dei partiti, nuove regole elettorali e riforme istituzionali, tutto incombe con urgenza e drammaticità senza precedenti, tutto si lega come nello “stretto” di una fuga a più voci. L’esito è incerto, e la sorte del nostro paese è appesa ad un filo”.

Parole di grande attualità scritte sul Corriere della Sera del 12 agosto 1992 da Tomaso Padoa Schioppa. Sono passati quasi 20 anni e forse ci può essere utile capire perché in altri due punti nodali delle scelte di politica economica di questo ormai lungo periodo o Governi seppero stare dalla giusta parte.

Nel 1992 ci fu un attacco formidabile alla lira. Arrivammo al punto che la banca d’Italia, guidata da Ciampi, aveva ormai la riserva di due soli giorni per evitare il collasso della lira. Il Governo era politicamente debole, straordinariamente debole in un parlamento ed in una politica che era assediata dalle inchieste di Mani Pulite. Eppure il Presidente del Consiglio Giuliano Amato trovò la forza necessaria per effettuare scelte assolutamente impopolari nell’immediato, ma necessarie per salvare il paese. Ricordiamo l’intervento di congelamento sui conti correnti, su cui poi ci campò qualche decennio la Lega per indicare la sinistra di rapina. Senza quegli interventi il paese sarebbe economicamente morto. La maggioranza seppe fare un appello esplicito al paese, non avendo paura di drammatizzare come era giusto la situazione. Certo vi erano margini maggiori di oggi. Venivamo da una stagione di spesa pubblica allegra. Soprattutto aiutò poi lo strumento della svalutazione competitiva, che ridette fiato alla nostra economia, sia pur con un grave prezzo per il reddito fisso con una elevata svalutazione. Poi il Governo Ciampi con la politica di concertazione mise in sicurezza il paese.

Nel 1996 l’emergenza non era data da una crisi finanziaria, ma dalla necessità di assumere una scelta strategica, subito. Dentro o fuori l’euro. Ci fu all’inizio la tentazione di allontanare la scelta, cercando di concordare un rinvio con il capo del governo spagnolo Aznar. Ma compreso che non vi erano margini la scelta fu netta. Nell’euro subito, da protagonisti. Quanto fu saggia questa scelta lo possiamo apprezzare oggi. Senza lo scudo, ancorché debole ed imperfetto dell’euro, l’Italia sarebbe alla bancarotta, travolta dalla speculazione internazionale. Anche in questo caso il Governo ebbe il coraggio di fare un esplicito appello al paese. Non nascose i sacrifici necessari. Ebbe il coraggio di imporre una nuova tasse per l’Europa, poi restituita. Sei fidò del fatto che il paese comprendesse, ed il paese comprese. Anche allora vi erano margini superiori dell’attuale. Vi erano ampi spazi per privatizzazioni e per contenimento della spesa. Vi era soprattutto la grande intuizione di Ciampi, e anche la sua reputazione europea che aiutò l’impresa. L’entrata nell’euro avrebbe dato un contributo enorme alla credibilità della solidità della finanza italiana. I tassi interesse sul debito che si aggiravano attorno al 15% nel giro di pochi mesi scesero al 5%, liberando una rilevante disponibilità di risorse finanziarie sotto forma di minori interessi pagati. In questo modo si raggiunse un obiettivo storico, con lo scetticismo di molti, tra cui l’attuale Ministro del Tesoro, senza il quale si avrebbe avuto l’uscita dell’Italia dal circolo delle maggiori economie.

E di fronte a questa crisi? Ci sono certo delle difficoltà oggettive, a partire dal fatto che in questi 20 anni le cose più facili dal punto di vista del risanamento sono state fatte. Sono state utilizzate particolarmente dalla destra al governo strumenti una tantum (dalle cartolizzazioni ai condoni) che in realtà hanno poi reso più difficile la conduzione della politica fiscale. Ma soprattutto le cose sono rese più difficili dalla inadeguatezza politica: tanto tempo perso spiegando agli italiani che tutto andava bene, che era l’opposizione fatta di detrattori ad inventarsi difficoltà inesistenti. Invece di un serio appello al paese, indicando con chiarezza mete ed obiettivi. Eppure la maggioranza aveva un consenso enorme in parlamento e altissimo nel paese. Avrebbe avuto la possibilità di imporre riforme coraggiose per aiutare la crescita del paese, invece nulla è stato fatto, e il deterioramento della finanza pubblica è proseguito. Nel 2009 il picco della spesa pubblica al netto degli interessi al 47,8% del pil con un incremento di 3,6 punti rispetto all’anno precedente ed i, quasi azzeramento della spesa di investimenti. Nel 2010 un miglioramento con la discesa al 46,7, ma comunque 2,5 punti superiore al 2008.

Abbiamo pagato l’immobilismo e la scelta di occultare al paese le maggiori difficoltà, per proteggere ogni corporazione, ogni comportamento asociale. E’ una crisi di credibilità, di etica pubblica, oltre che finanziaria.

Perché i mercati hanno così duramente punito l’Italia? Non è difficile trovare la risposta. Qualche settimana fa il Governo aveva presentato il Documento di Economia e Finanza che assumeva gli impegni di pareggi o del bilancio nel 2014. Oggi presenta una manovra profondamente modificata nella sua composizione (più nuove tasse che risparmi di spesa, nessuna riforma per la crescita) accompagnata da messaggi controversi. Mancano almeno 15 miliardi per rendere sostenibile l’obiettivo indicato e tutto viene rinviato al 2013/2014, dopo il ciclo elettorale. Si rinvia all’esercizio di una delega fiscale presentata all’opinione pubblica come lo strumento per ridurre la pressione fiscale con l’eliminazione dell’IRAP e vantaggi rilevanti per i ceti più abbienti e improvvisamente la delega diventa lo strumento per ricavare altri 15 miliardi di tassa. C’è un evidente indebolimento politico del Ministro del tesoro, attaccato quotidianamente dalla sua maggioranza e sconfessato dal presidente del Consiglio (se potessi me ne libererei). Le uniche uscite pubbliche di esponenti della maggioranza sono per indebolire la manovra con richieste di cambiamento senza indicare politiche alternative. Dalla formale approvazione in Consiglio dei Ministri alla consegna per la firma al presidente della repubblica passa una settimana, delicatissima per il giudizio dei mercati.

Non c’è da meravigliarsi di ciò che è successo, purtroppo.

Cosa si può fare ora? Cosa si può fare di fronte ad una proposta del Governo comunque inadeguata nella sua composizione ed iniqua nel suo impatto sociale?

L’opposizione ha un senso di responsabilità che finora la maggioranza, con i suoi ritardi, le sue incertezze, le sue divisioni non ha dimostrato. Per questo abbiamo accolto l’appello del Capo dello Stato: approvare subito la manovra, a prescindere dai suoi contenuti che per noi rimangono pessimi, per far capire che l’Italia sa reagire.

Rafforzare la manovra, rendendo credibile con nuovi provvedimenti l’obiettivo del pareggio del bilancio che oggi non è sostenuto dai numeri che sono scritti. Ci sono rinvii e non decisioni;

renderla più giusta, perché il tasso di iniquità è veramente intollerabile;

inserire nel testo una modifica della legge di contabilità che recepisca l’obbligo del pareggio di bilancio. Lo abbiamo chiesto da qualche mese, ora l’hanno fatto la Germania e la Francia, la Commissione Europea ricorda che bisogna adempiere a questo obbligo. Ci saremmo presentati meglio anche sui mercati se lo avessimo fatto. Segno di un obiettivo nazionale condiviso, al di là della maggioranza che temporaneamente governa. Anche qui siete in enorme ritardo. Il Ministro (finalmente) propone una modifica della Costituzione. D’accordo, ma ci vuole tempo, mentre potremmo intanto subito introdurre la norma per via ordinaria.

Resta però un problema che non siete in grado di recuperare. La scarsa credibilità ed affidabilità politica. Chi può credere ad un Governo che solo qualche settimana fa promette una cospicua riduzione delle tasse per le quali come si è dimostrato i denari non ci sono, che è incapace di proporre all’opinione pubblica un messaggio chiaro e sincero, che rinvia tutto a dopo il giudizio elettorale, che si terrorizza alla parola liberalizzazione (un governo di destra!) e non tenta neppure di fare le riforme per far crescere il paese: vera chiave di volta per una politica di risanamento finanziario. E’ su questo che giudicano i mercati: per pagare il debito occorre una crescita più elevata, occorre che ci sia una coesione sociale, occorre un gruppo dirigente che dimostri di voler affrontare le strozzature della crescita.

E soprattutto c’è il personale fallimento della reputazione del capo del Governo. Nel week end più drammatico della crisi costretto a tacere, perché le sue parole vengono ritenute pericolose. Contenti se sta zitto. Perché anche i suoi si sono stufati di questa lamentela sui suoi denari. “Ti si una pitima” si dice in veneto per descrivere una persona querula ed insistente. Non guida e riferimento morale, come il Capo dello Stato, ma problema. Non a Roma, nella sede del Governo, in contatto con il suo Ministro del Tesoro (che disprezza),con il Governatore della Banca d’Italia, con i leader europei, con la mente concentrata sul bene collettivo. Niente di tutto questo. Rinchiuso nella sua villa in Sardegna, seguito solo dall’avvocato deputato Ghedini, concentrato nel trovare qualche macchiavello per non pagare i 500 milioni di euro. Tanti, ma non una tassa della sinistra, ma il dazio di una corruzione. Per questo se avesse senso dalla patria dovrebbe passare la mano. Solo questo avvenimento sarebbe sufficiente, come ha osservato un importante analista finanziario, a ridare un po’ di smalto alla situazione italiana. Ci sarebbe euforia nei mercati, ha detto. Penso che ci sarebbe euforia non solo nei mercati.

Dichiarazione di voto sen. Finocchiaro aula 14 luglio 2011

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