Grandi ricchezze: il dovere di un contributo di equità

Pubblicato il 2 settembre 2011, da Interventi al Senato

Intervento sul decreto economico nella V commissione del Senato, 2 settembre 2011

Come combattere il degrado della finanza pubblica? Cosa dovrebbe fare il Governo? Bisognerebbe agore con determinazione e costanza su due leve. La prima è la maggiore crescita: favorire in ogni modo la competitività complessiva del sistema Italia. Crescendo a meno dell’1% con un debito del 120% del PIL i conti non quadreranno mai. In tutta la manovra non c’è un solo comma che faccia azioni incisive in questa direzione. E’ gravissimo.

Ma anche se ci fosse una crescita più intensa non basterebbe. Se restasse l’attuale quadro di entrate e uscite ci vorrebbe una crescita nominale del 6% all’anno (3,5% in termini reali) che è un obiettivo chiaramente irraggiungibile.

Bisogna perciò aggredire la spesa pubblica improduttiva. Per farlo non servono i tagli lineari finora adottati dal Governo: trattano la spese produttiva e quella efficiente allo stesso modo di sprechi ed inefficienti. Serve una politica coraggiosa di riforme, di cui nelle manovre fin qui effettuate non c’è traccia. Anzi non si utilizzano gli strumenti di cui ci siamo dotati. Con la nuova legge di contabilità approvata in modo bipartizan si erano introdotti strumenti innovativi per la trasparenza e il controllo dei processi di spesa. Come rileva il nostro Servizio de Bilancio la legge di contabilità viene ripetutamente violata proprio su questi punti, non comprendendo che non si tratta di aspetti formali, ma di strumenti sostanziali per il controllo e la riforma della spesa. Come PD abbiamo presentato emendamenti rigorosi per attuare una spending review generalizzata ed un Piano Industriale della Pubblica Amministrazione che darebbero risultati importantissimi.

Due leve (crescita e riforma della spesa pubblica) azionate avendo ben fissi due principi: quello dell’equità ( il magnifico art 53 della costituzione: tutti sono tenuti a contribuire alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva) e quello della strutturalità: i sacrifici (equi) che faccio oggi mi devono garantire che mi faranno evitare sacrifici più gravi nel futuro.

E’ evidente che alla manovra mancano proprio questi due principi direttivi.

Proprio per reintrodurre un minimo di equità in materia fiscale abbiamo proposto l’introduzione di una imposta patrimoniale sulle grandi ricchezze, con un robusto impianto progressivo.

Sosteniamo da tempo che la riforma della fiscalità va fatta in direzione di alleggerire lavoro ed impresa e chiedere un contributo maggiore a patrimoni e rendite e ancora di più agli evasori. A parole il Ministro tremonti condivide quando sostiene di dover passare dalle persone alle cose, ma poi succede il contrario.

Si presenta una delega fiscale come lo strumento per ridurre la pressione fiscale e poi lo si trasforma in uno strumento che attraverso i tagli a detrazioni essenziali per  i bilanci familiari (come quelle sui carichi familiari, i mutui, le spese sanitarie, ecc.) dovrebbe assicurare gettito aggiuntivo per più di 10 miliardi di euro.

Insistiamo che se si vuole introdurre equità bisogna affrontare la questione della tassazione dei grandi patrimoni, per i motivi che espongo.

E’ chiaro che l’IRPEF è già ai massimi livelli. Avete tolto il contributo di solidarietà. Credo che sia stato un errore, perché una fascia ristretta di cittadini agiati potevano ben dar e un contributo senza avvertirne il peso. Resta sui dipendenti pubblici con una chiara incostituzionalità che sarà presto dichiarata. Andava corretta in direzione di un maggior rispetto dei carichi familiari ed andava integrata appunto con un prelievo sui patrimoni che correggesse la concentrazione del prelievo sui contribuenti onesti.

Sarete costretti ad un aumento dell’IVA. Non sarà infatti sostenibile il taglio delle detrazioni e dell’assistenza, per la loro crudele iniquità che genererebbe una rivolta sociale che il Governo non è in grado di sostenere. Ma un aumento delle aliquote IVA per fare che cosa? Sappiamo quali sono i difetti di un aumento IVA: ulteriore contrazione dei consumi per i redditi più deboli.

C’è uno studio del Fondo Monetario Internazionale che calcola un indice di efficienza dell’IVA: se tutto il consumo effettuato producesse un gettito pari all’aliquota normale dell’IVA l’indice sarebbe pari a 1. Contribuisce a ridurre l’indice l’evasione e l’eventuale diffusione di aliquote agevolate. In Italia l’indice è 0.36, siamo terzultimi su 16 paesi. La Francia è a 0,45, pur avendo aliquote IVA più basse: al 2,1 e al 5,5 quelle agevolate, al 19,6 quella ordinaria, rispetto ai nostri 4, 10, 20. Se andassimo all’indice della Francia avremmo un gettito aggiuntivo di un punto di PIL senza variare le aliquote. Bisogna fare la lotta all’evasione e rivedere semmai i regimi agevolati.

E in ogni caso un conto sarebbe se un aumento dell’aliquota ordinaria servisse a finanziare misure per lo sviluppo. Si potrebbe ridurre l’IRAP per le piccole imprese, bisognerebbe alleggerire il carico IRPEF per le famiglie e le fasce deboli per correggere l’effetto dell’aumento dell’IVA sui redditi familiari. Si deve introdurre, come abbiamo proposto un più ampio uso del conflitto d’interesse, che ha avuto un grande ruolo nel far emergere IVA sommersa nel settore dell’edilizia, con le norme introdotte dai nostri governi per le ristrutturazioni edilizie e la casa ecologica.

Non farete purtroppo nulla di tutto questo: userete l’aumento dell’IVA come puro aumento della pressione fiscale, per alimentare la fornace della spesa pubblica improduttiva.

Per queste ragioni per liberare risorse per lo sviluppo bisogna agire sui patrimoni.

La situazione dell’Italia è questa.

Vi è una consistente ricchezza privata. Rispetto ai redditi dichiarati particolarmente basi per le categorie che possono evadere il fisco la ricchezza privata è pari a 8.300 miliardi di euro, sei volte il PIL. !70 miliardi di attività di portafoglio sono detenute all’estero senza essere denunciate, nonostante lo scudo fiscale. 2/3 di questa ricchezza ha natura immobiliare.

Vi è un’alta concentrazione e disuguaglianza nella distribuzione. Il 10% più ricco della popolazione detiene il 44% della ricchezza privata

C’è in Italia un a pressione fiscale sui cespiti patrimoniali particolarmente bassa ed in calo. Secondo i dati eurostat nel 1995 l’Italia era più o meno alla pari con gli altri paesi europei, con un gettito dato dalle varie forme di imposte patrimoniali pari a circa il 10%. Oggi i dati sono il 5,8% per l’Italia, il 10,5 per la Francia, il 14,9 per il Regno Unito, l’8,7 per la Spagna.

Il Fondo Monetario calcola che se l’Italia portasse il peso della tassazione sugli aspetti patrimoniali a quello medio di Canada, Usa e Regno Unito (noti paesi comunisti…) si avrebbe un gettito aggiuntiva pari ad un punto di PIL. Tra l’altro gli studi economici dimostrano che la tassazione sul patrimonio è quella che ha meno effetti depressivi sull’attività economica.

Proponiamo un intervento del tutto ragionevole. Una imposta sui grandi valori immobiliari pari allo 0,50% per i patrimoni superiori a 1.200.000 euro e dello 0,80 per quelli superiori a 1.700.000 euro. Un intervento equitativo, perfettamente sostenibile ed in linea con quanto praticato negli altri paesi occidentali

Quindi l’opposizione della maggioranza ha una natura puramente ideologica: i ricchi non devono pagare nulla, deve pagare il ceto medio e devono pagare i poveri sotto forma di privazione di servizi essenziali.

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