Un governo per l’equità, per scelta politica

Pubblicato il 17 novembre 2011, da Interventi al Senato

Intervento in Aula nel dibattito sulla fiducia al Governo Monti, 17 novembre 2011

Io penso che quello che abbiamo di fronte a noi sia naturalmente un governo politico. Nato per una scelta consapevole della politica. Per una scelta alta della politica che ha saputo guardare agli interessi generali del paese. Mettendo da parte le ragioni del passato su cui vi sarà tempo di ritornare, e ritorneranno gli elettori con il loro giudizio, un governo misurato piuttosto sulle urgenze di un presente che richiede tuttavia uno sguardo lungimirante sul futuro. Composto da personalità scelte non per appartenenza partitica e tuttavia pienamente politiche, cioè a servizio della “polis”, come testimoniano curricula che si distinguono per competenze e elevato servizio civico in esperienze diverse nella comunità nazionale.

Dovremo dare il meglio di noi stessi per ritrovare un sentiero di crescita per l’Italia. Il nostro problema principale, che ha come diretta conseguenza le pressioni sulla sostenibilità del debito. Sappiamo perché cresciamo poco. Fattori molteplici ma che possono riassumersi in un solo concetto: la produttività totale dei fattori è calata in 15 anni di due punti mentre quella dei nostri più diretti competitori è cresciuta tra i 15 e i 20 punti. Perciò abbiamo perso più ricchezza dentro la grande crisi e facciamo più fatica a recuperarla. Non ci sono solo le conseguenze di carattere economico e di finanza pubblica. La crescita, la buona crescita, ha un valore etico in sé. Perché facilita il superamento delle disuguaglianze, offre opportunità e mobilità sociale, accoglienza di idee diverse, il diffondersi di uno spirito tollerante e aperto. Rafforza la convivenza democratica.

Conosciamo il dato drammatico di una esclusione sociale che rischia di espandersi nelle società occidentali. Per i senza lavoro, per i giovani in particolare. In Italia oltre due milioni di giovani che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro. Il 30% del totale. Rischiano di restare parole che si ripetono senza che si modifichi l’agenda del paese. Dato ancora più grave se si pensa che nel 1985 i giovani tra i 18 e i 30 anni erano 15 milioni ed ora sono 7, meno della metà. Anche per questa via una società che perde energia vitale.

Perciò signor presidente, lei avrà il nostro pieno e convinto appoggio su tutti i provvedimenti che con coraggio toglieranno zavorra alla capacità di crescita: aprendo mercati ancora troppo chiusi, a cominciare da quelli dell’energia, dei trasporti ferroviari, dei servizi pubblici, delle professioni, per le quali se non è un problema l’accesso è certamente un problema l’esercizio della professione in un regime di concorrenza, con libertà di pubblicità, di forme organizzative di politiche dei prezzi.. Alleggerendo quella tassa burocratica fatta di iper regolazione, eccesso di procedure, sopravvivenza di documentazioni cartacee, pluralità e contraddittorietà di organismi di controllo che affatica la vita delle imprese minandone la competitività. Uno Stato in campo economico regolatore efficiente, guardiano competente del mercato, ma capace di ritirarsi da compiti impropri.

Anche il fisco è uno strumento di crescita. La pressione fiscale ha raggiunto un record nella storia della Repubblica. Difficile ridurla in questa fase ma certamente possibile renderla più equa e produttiva. Toccando di più le concentrazioni della ricchezza e meno lavoro e impresa. Con strumenti che ricavino un po’ di spazio per diminuire la tassazione sul lavoro, in particolare quello femminile, e premiare l’investimento produttivo. Per valorizzare la specializzazione della base produttiva italiana verso una economia verde.

Crescita e rigore finanziario due stelle polari dell’azione del Governo. Perchè serve all’Italia, non solo perchè ce lo chiede l’Europa. La cattiva spesa mangia il futuro.

Ci sono margini imponenti di risparmio se finalmente si agisce ex ante, sulle modalità di formazione della spesa piuttosto che ex post con tagli indifferenziati. Il Prof. Giarda ci ha dimostrato in un recente studio che se la struttura dei prezzi dei beni collettivi fosse evoluta nel tempo con la stessa dinamica dei prezzi dei beni di consumo privati si potrebbero produrre gli stessi beni collettivi con un risparmio per lo Stato di oltre 90 miliardi di euro. Un esercizio numerico sufficiente però a dimostrare quali margini vi siano per ridurre la spesa senza compromettere servizi essenziali.

Su questo piano potrà contare signor Presidente su larghe intese parlamentari già realizzate. Sono nella legislazione vigente norme approvate in modo bipartizan che prevedono impegnative scadenze per l’avvio di una generalizzata spending review, norme che attendono di essere attuate secondo uno stringente calendario. Si era realizzato nell’avvio di legislatura un importante incontro tra le forze parlamentari per una riforma della pubblica amministrazione basata sulla valutazione dei risultati e il premio del merito. Intesa che si è dispersa ma che andrebbe recuperata. Tante ricerche dimostrano che vi sono nella pubblica amministrazione punti di vera eccellenza, manager pubblici in grado di combinare in modo efficiente le risorse disponibili. Anche nel campo disastrato della giustizia. Il problema è che i buoni esempi sembrano disturbare piuttosto che incentivare comportamenti emulativi.

Crescita e rigore finanziario non possono realizzarsi senza un terzo pilastro: l’equità sociale. Sul Corriere della Sera nell’agosto scorso ci ricordò signor Presidente del Consiglio la tradizione dei comuni del XIII secolo di chiamare un podestà straniero. E sottolineava “dispiace che l’Italia possa essere vista come un paese che preferisce lasciarsi imporre decisioni impopolari ma in realtà positive per gli italiani che verranno, anzichè prenderle per convinzione acquisita dopo civile dibattito tra le parti. ” Spesso il tema dell’impopolarità è un alibi per la mancanza di coraggio dei leader politici. Nell’assumere e nello spiegare le ragioni di provvedimenti che avvertono come necessari ma di cui temono le conseguenze in termini di consenso immediato. In realtà nella ormai lunga storia della Repubblica gli italiani hanno dimostrato di accettare anche pesanti sacrifici: purchè proposti in modo proporzionato alle disponibilità delle singole famiglie, esplicitamente orientati a far crescere il benessere futuro e a rafforzare elementi di sicurezza sociale. Equità signor Presidente, una parola che orienti quotidianamente l’azione del Governo. Gli italiani comprenderanno e saranno grati a Lei, al Governo ed alle forze politiche che lo sostengono.

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