Rivedere la spesa, difendere i servizi

Pubblicato il 15 luglio 2012, da Interventi al Senato

Sono stato nominato relatore sul  decreto legge n. 95 in materia di revisione della spesa con invarianza dei servizi ai cittadini

Il tema della spending review si presenta cruciale per arrivare ad un risanamento strutturale del bilancio senza compromettere i diritti fondamentali e senza arrivare a d una pressione fiscale insostenbile. Riporto qui la relazione che ho svolto il 12 luglio in Commissione Bilancio del Senato con un primo esame del provvedimento

Il modo migliore per prendere in esame il testo del decreto è usare come criterio di orientamento il suo titolo: l’ambizione sarebbe di procedere ad una revisione organica della spesa pubblica riuscendo a produrre gli stessi servizi per i cittadini a costi minori, agendo sulle diverse strutture di costo: costo del personale, consumi intermedi, oneri finanziari e patrimoniali, ecc.
Solo in parte il decreto riesce a soddisfare questa finalità, in relazione al fatto che l’urgenza di ottenere immediati miglioramenti sulla sostenibilità del bilancio obbliga ad agire anche in campi in cui non si sono perfezionate adeguate analisi strutturali.

Molto si è discusso in campo dottrinario e politico su ruolo e dimensione della spesa pubblica, sul perimetro dell’amministrazione pubblica, sulla sua articolazione territoriale tra i diversi livelli di governo.
Non è questa la sede per riprendere quel dibattito, che vede in Parlamento opinioni e sensibilità diverse. Basta osservare tuttavia che rigidità dottrinarie ed ideologiche devono poi misurarsi con le situazioni concrete, e non sempre queste rigidità aiutano ad agire ed a guidare le scelte. Meglio con un po’ di pragmatismo attenersi a due principi:
quello della sussidiarietà in senso verticale ed orizzontale per definire l’area dell’intervento pubblico;
quello del buon senso per l’uso della leva pubblica: quanto si deve in relazione alle esigenze sociali e di sostegno al ciclo congiunturale, quanto si può in relazione alla sostenibilità del bilancio.

Vale comunque per tutti una osservazione. Se nell’opinione pubblica in modo diffuso all’espressione “spesa pubblica” viene automaticamente associata la parola “spreco” è la reputazione stessa della politica e delle istituzioni ad essere colpita e se non si rimuove questa associazione molto difficile è risanare il bilancio. Ognuno è legittimato a pensare che i sacrifici richiesti sono ingiusti, perché basterebbe eliminare gli sprechi: che non si trovano in un apposito capitolo del bilancio dello Stato ma ognuno è portato ad attribuire agli interventi che non lo riguardano da vicino la caratteristica di spreco.
Perciò la scelta di procedere in modo continuo ad una revisione strutturale della spesa pubblica ai diversi livelli di governo va ritenuta una scelta strategica per risanare il paese e va quindi pienamente condivisa e sostenuta la finalità di questo provvedimento, e degli altri, già approvati o preannunciati, che si inseriscono in questa azione. Per i risultati che può ottenere nel razionalizzare la spesa e per recuperare la fiducia del cittadino: cacciare la cattiva spesa per promuovere quella buona e proporzionata alla sostenibilità finanziaria.

La relazione predisposta dal Ministro Giarda, presentata al Parlamento nello scorso maggio avente a titolo Elementi per una revisione della spesa pubblica offre una efficace sintesi della struttura della spesa pubblica italiana e rimando a quel documento per un esame approfondito. La spesa pubblica al netto degli oneri per i debito, che naturalmente incide sul totale in misura notevolmente maggiore degli altri paesi europei paragonabili all’Italia a causa del suo stock ed anche dell’accresciuto costo del collocamento, non è di dimensione molto superiore a quella di paesi con un sistema di welfare e di servizi simile a quello italiano.
Tuttavia:
Nell’ultimo decennio c’è stato un rapidissimo incremento del livello della spesa primaria, salita sia in valore assoluto che in rapporto al PIL (dal 40 al 45%), a parità di servizio al cittadino nella migliore delle ipotesi, ma per molti comparti con un deterioramento del servizio ed una maggiore compartecipazione da parte dell’utente;

l’evoluzione dei costi incorpora il permanere di bassi livelli di efficienza. L’esercizio contenuto nella relazione Giarda evidenzia che i costi di produzione dei servizi pubblici sono cresciuti molto più dei costi di produzione dei beni di consumo privati. Se i costi di produzione dei servizi pubblici fossero cresciuti negli ultimi trent’anni allo stesso ritmo dei costi di produzione dei beni di consumo privati oggi si potrebbe produrre la stessa quantità di beni e servizi in capo alla pubblica amministrazione con un risparmio di 73 miliardi di euro annui. Si tratta naturalmente di un esercizio
che non tiene conto di molti aspetti (compreso il fatto che una parte dei costi privati sono stati esternalizzati al pubblico, come è accaduto nel caso di ristrutturazioni aziendali per la forza lavoro) ma comunque è un dato indicativo degli spazi che possono essere recuperati;

vi è uno squilibrio largamente analizzato in ogni confronto internazionale nella destinazione della spesa, con larga presenza di automatismi nell’evoluzione e di conservazione delle priorità. Negli ultimi 20 anni la quota del bilancio pubblico dedicato alle spese per la previdenza è aumentata di 4,7 punti, quella all’istruzione è diminuita di 5,4 punti. Pur tenendo conto dei fattori demografici che condizionano l’evoluzione sarebbe difficile sostenere che il permanere di questa tendenza evolutiva sia adatto alle necessità di un paese che guarda al proprio futuro; e d’altra parte vorrà dir qualcosa sull’appropriatezza della spesa sociale se pur in presenza di un livello di spesa sociale comunque cospicuo tutti gli indicatori registrano un aumento delle diseguaglianze;

vi è una forte disparità nell’efficienza di prestazione dei servizi tra settori e territori. Le singole “fabbriche territoriali”, felice definizione del Ministro Giarda, hanno output molto differenziati.
Valga per tutti l’esempio del servizio Giustizia. Molta l’attenzione data dal parlamento agli aspetti ordinamentali, molte le divisioni e le differenze di approccio, attenzione certamente giustificata dalla delicatezza della materia, con i gioco fondamentali aspetti che riguardano l’eguaglianza e la libertà dei cittadini. Con rilevanti conseguenze anche di carattere economico sulla competitività del sistema, in tema di certezza del diritto, particolarmente per il processo civile. Tutti gli indicatori comparativi indicano nel malfunzionamento del sistema giustizia una degli ostacoli alla crescita degli investimenti esteri in Italia. Se usiamo un indicatore elementare come quello della lunghezza del processo civile l’Italia esce con le ossa rotte nel confronto internazionale: con una lunghezza media di 1.200 giorni ci collochiamo al 156esimo posto su 181 paesi, il triplo della media OCSE, il quadruplo della Francia. E benchè il servizio sia erogato da strutture statali che dovrebbero garantire una parità di accesso ai diritti in realtà vi è una forza differenziazione territoriale: ad una lunghezza media di 500 giorni nel Nord Ovest fa riscontro una lunghezza di 1000 giorni in Emila e di 1500 giorni in Puglia. Analisi più approfondite dimostrano che sono differenziazioni solo in piccola parte giustificabili con carenza di organici rispetto alla massa dei procedimenti, ma hanno a che fare con carenze organizzative e manageriali nei singoli tribunali.

L’esempio della Giustizia fa capire che è limitativo appiattire la revisione della spesa sulla possibile conseguenza di tagli degli stanziamenti. E’ un progetto più ambizioso che riguarda una ridefinizione delle priorità, della qualità della spesa, del mix tra prelievo fiscale e servizi erogati.
Deve perciò essere progressivamente implementato un set  di strumenti, superando una prevalente impostazione giuridico contabile, implementando appropriati sistemi informativi (l’esperienza statunitense e del Regno Unito offrono modelli da imitare), sviluppando le previsioni della nuova legge di contabilità in materia di struttura del bilancio. Tra l’altro in base proprio alle previsioni della legge di contabilità la Ragioneria dello Stato dovrebbe produrre in questi giorni il primo Rapporto triennale di analisi e valutazione della spesa.

Nel merito del decreto va apprezzata la scelta del Governo di fare un passo in avanti oltre gli interventi emergenziali per la tenuta dei conti pubblici arricchendo le azioni e la strumentazione a servizio di una radicale revisione di quantità e struttura della spesa pubblica. Con gli strumenti già messi a punto (Decreto con la previsione del Commissario Straordinario), gli strumenti in corso di esame (il decreto sul patrimonio pubblico) e quelli che dovranno essere presentati (revisione del sistema degli incentivi ed agevolazioni fiscali).
E’ positivo che il Governo abbia superato una certa timidezza iniziale sul tema, certo giustificata dall’emergenza e concentrazione dell’iniziativa di governo all’assunzione di misure straordinarie capaci di effetti immediati sul bilancio pubblico ed all’impostazione di riforme complesse e delicate per l’impatto sociale come la riforma pensionistica e quella del lavoro. L’utilizzo pieno dello schema di lavoro previsto dall’art. 01 del d.l. 138, costruito in Parlamento in modo bipartizan avrebbe probabilmente consentito di accelerare i processi di revisione della spesa, giovandosi anche del lavoro predisposto dalla Commissione tecnica per la Finanza Pubblica presieduta dal prof. Muraro e purtroppo improvvidamente eliminata dal precedente Governo. Il Rapporto 2008 pose in esame la spesa di 4 ministeri, rilevanti per il volume globale della spesa, proponendo 90 azioni migliorative, alcune attuate, altre che conservano la loro validità e possono ispirare gli ulteriori processi di revisione della spesa.

Nel giudizio va inglobato un aspetto che non ha avuto sufficiente rilievo nel dibattito pubblico. Il decreto ha a regime  un saldo pari a 0. I risparmi di spesa sono dedicati ad eliminare la previsione di un aumento della pressione fiscale con l’elevazione delle aliquote IVA che sarebbero dovute scattare a legislazione vigente di due punti a decorrere dal primo ottobre 2012 (con i conseguenti effetti depressivi ed ulteriore erosione del potere d’acquisto già stressato da un sensibile aumento dell’inflazione, specie per i beni alimentari ed i servizi fondamentali) e il finanziamento di alcune emergenze,
Infatti la destinazione principale dei risparmi di spesa è la seguente:
25 miliardi per evitare l’aumento IVA
2 miliardi per il terremoto
1,5 miliardi missioni di pace ed emergenza umanitaria
900 milioni esodati ed altri interventi indifferibili.

L’esame del decreto mette in luce anche elementi di criticità che possono in questo primo esame essere così riassunti.

Un primo elemento riguarda la disparità di trattamento tra il peso di riduzione della spesa applicato al livello centrale e quello applicato al livello periferico.
In proposito rinvio alla tabella predisposta nella Nota di Lettura del Servizio del Bilancio che reca i seguenti dati.
L’incidenza della riduzione di spesa sul totale della spesa delle Amministrazioni Centrali e di quelle locali ha questo andamento:
Amministrazioni Centrali: 0,6% nel 2012, 1,8% nel 2013, 2,0% nel 2014
Amministrazioni locali: 1,4% nel 2012, 3,0% nel 2013, 3,2% nel 2014.
Vi è una disparità di rilevo. Se si applicasse la stessa percentuale ai due livelli si dovrebbe applicare una riduzione media di due punti percentuali, con uno spostamento di circa tre miliardi a vantaggio dei livelli locali di governo.

Questa disparità ci conduce al secondo elemento di criticità. Riduzioni così consistenti sulla spesa sanitaria e su quella degli enti locali che finanzia in parte rilevante servizi pubblici fondamentali che si aggiungono a quelle effettuate con le manovre precedenti rischia di mettere in discussione il principio della revisione della spesa ad invarianza dei servizi. Va valutato inoltre come potrà realizzarsi l’applicazione del contenimento tra  i diversi enti locali e Regioni. Il decreto imposta delle previsioni normative per evitare l’applicazione di tagli orizzontali a prescindere dai livelli di produttività delle singole amministrazioni, e questo è un fatto positivo. I dati ormai disponibili della Copaff e della struttura del Commissario Straordinario possono consentire probabilmente l’adozione di indici più significativi di quelli individuati.

Un terzo elemento riguarda alcuni aspetti delle previste riduzioni degli organici pubblici, anche con l’utilizzo di facilitazioni pensionistiche che devono tuttavia legarsi con principi coerenti a quanto previsto per il settore privato, a partire sulla norma che positivamente introduce un ulteriore scaglione di lavoratori privati che potranno accedere a norme di salvaguardia, per le quali va verificata la coerenza con i processi avviati.

Un  quarto elemento riguarda il complesso delle norme ordinamentali introdotto in materia di riorganizzazione del sistema delle autonomie locali, di cui va verificata la coerenza con le previsioni del testo sulla “Carta delle Autonomie” che è stato oggetto di un lungo lavoro in gran parte condiviso da parte della Commissione Affari Costituzionali.

Infine è previsto un taglio orizzontale a carico di Enti di Ricerca, per complessivi 200 milioni nel triennio. Oltre all’entità del taglio, in controtendenza rispetto alla volontà di sostenere attività capaci di valorizzare il sistema Italia è da considerare che l’Agenzia Nazionale per la Valutazione della Ricerca ha positivamente condotto una analisi approfondita sugli enti di ricerca, che una volta completata potrebbe offrire la base necessaria per evitare un sistema di tagli indifferenziati che non può essere accettato in un sistema così delicato e differenziato quanto ad effettiva produzione scientifica.
Per gli aspetti poi di particolare competenza della Commissione va rilevato che un ulteriore taglio a carico dell’ISTAT mette in discussione l’ordinario funzionamento dell’Istituto nel momento in cui le nuove regole concordate a livello europeo vincolano i singoli Stati a produrre dati sempre più raffinati e complessi in materia economico finanziaria. Non è quindi accettabile l’applicazione di tagli ulteriori all’Istituto, su cui già in passato la nostra Commissione si è espressa negativamente.

Il lavoro in Commissione appare particolarmente compresso dal punto di vista temporale, ma ci auguriamo che esso possa consentire di arrivare alla approvazione del decreto conservando i suoi elementi di forza ed introducendo opportuni miglioramenti.

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