Senza politica!

Pubblicato il 27 settembre 2012, da Relazioni e interventi

Francesco Jori, Senza politica, Marsilio 2012

Intervento alla presentazione del libro con Francesco Jori, Antonio Ramenghi, Mario Bertolissi, Gianni Riccamboni e Leo Padrin

Penso che qualsiasi persona con la testa sulle spalle e a cui stia a cuore il nostro paese ed il benessere generale non possa fare a meno di provare un sentimento di angoscia esaminando la situazione. Per la presenza contemporanea di due fattori di crisi: quella evidente di una grande crisi che tocca la struttura economia, che non è di natura congiunturale, e che lascia un grande senso di incertezza, insicurezza, preoccupazione profonda per tutti, con drammi sociali che si moltiplicano. Una crisi di natura istituzionale e politica, in cui si indeboliscono gravemente gli istituti di partecipazione democratica (partiti, associazioni, sindacati) e la reputazione delle istituzioni, sia per una scarsa efficienza (la politica o appare in grado di risolvere i problemi collettivo o a cosa serve) sia sotto l’urto di un riemergere di una vergognosa immoralità pubblica, che affonda tuttavia le radici in un diffuso sentimento di sottovalutazione del valore dell’etica pubblica.

E la storia ci insegna che quando l’impotenza e il discredito della politica e delle istituzioni si uniscono alla paure del futuro, al benessere messo in discussione gli esiti possono essere drammatici. Così sono nate le feroci dittature del ‘900. E tuttavia dalla somma di queste crisi nella storia si è anche usciti con una vigorosa iniziativa di pensiero e di azione, come ci insegna sul versante opposto il new deal rooseveltiano.

L’angoscia deve perciò essere di stimolo all’azione e ad una vigorosa iniziativa, non al compiacimento di un pessimismo impotente.

Il titolo del libro già da solo ci fa comprendere come profondamente sia cambiata la situazione italiana. Un 20 anni fa il titolo “Senza politica” avrebbe avuto un significato del tutto diverso. Senza politica, la orgogliosa rivendicazione di una società, del nord est in particolare, vitale ed innovativa che pensava di poter fare senza la politica. Lasciateci lavorare, che non abbiamo bisogno di niente. Proseguendo in fondo una tradizione veneta che il miracolo economico se l’era costruito dentro il recinto di una coesa società locale. Bastava la politica del Sindaco e del parroco, poi se c’era bisogno c’era la politica romana, c’erano i Rumor e i Bisaglia, ma bastava disturbarli il meno possibile (anche se per il Veneto i grandi leader Dc veneti hanno fatto parecchio).

Oggi il titolo “Senza politica” appare per quello che è: una sconfortata constatazione di una latitanza che fa male al paese. Possono riecheggiare la parole allarmate di Mino Martinazzoli, che negli anni difficili della disgregazione della prima repubblica osservava “rischiamo di passare dal troppo della politica al niente della politica”. E diciamo che c’è stata una grande dissipazione della spinta innovativa che aveva generato la crisi della prima repubblica. Non è questa la sede di un giudizio storico, ma credo che le responsabilità di questa dissipazione, della coltivazione di un disprezzo delle pubbliche istituzioni, di una derisione dell’etica pubblica, della coerenza che deve essere esemplare nel politico tra la cose dette e le cose vissute, non si distribuiscano in modo eguale tra le diverse forze politiche.

Il libro è il libro di una persona indignata. Civilmente indignata. La cui indignazione non va fraintesa. Spesso incontro conoscenti che mi dicono: ”ma Jori è diventato leghista?” solo perché ha indagato, in tempi in cui si preferiva fare della Lega un ritratto solo folkloristico le ragioni profonde del consenso leghista nel territorio del nord est, Con Diamanti; Rumiz e Marini è tra quelli che hanno scritto pagine illuminanti sul fenomeno leghista. E come ci si accorge scorrendo le pagine del libro tutt’altro che accomodanti per i leghisti veneti.

Oppure “Ma Jori è diventato qualunquista?” di fronte ad editoriali di aspra critica sulle debolezze della vita politica ed istituzionale.

Conoscendo Jori da molti anni penso che dobbiamo invece guardare oltre la durezza delle parole la voglia di aiutare a rimettere le cose a posto. Perché a differenza degli indignati da salotto Jori non si nega mai a dare una mano, a rimboccarsi le maniche scrivendo, pensando, partecipando ad ogni iniziativa culturale e politica che possa aiutare a capire e a fare.

Traspare poi nel libro questo sconfinato amore per il Nord Est, per ciò che potrebbe essere e non è più. Del resto il Nord Est l’ha intuito, capito, rappresentato e descritto il duo Giorgio Lago/Francesco Jori, stagione profondamente innovativa, in cui c’è stato anche il generoso tentativo, guidato da Mario Carraro, di dare una espressione politica a questo territorio. Su questo aspetto aggiungo solo che ci troviamo in questa situazione. Il miracolo del Nord Est si è affermato in modo travolgente senza una piena coscienza del miracolo che si stava facendo. Quando si è incominciato ad averne coscienza, grazie anche alla rappresentazione data da Lago, Jori ed altri, stavamo già entrando in un’altra fase, una ulteriore trasformazione e sfida, e siamo diventati un po’ piagnoni. Ma il libro di Giovanni Costa presentato nei giorni scorsi a Padova “Il segreto del turione” ci aiuta a comprendere in quale direzione il nord est stia cambiando pelle e quale sia la sfida da affrontare per il mondo imprenditoriale.

L’indignazione non può però tradursi in un risentimento rancoroso ed infecondo. Ce lo ricorda un grande politico ed intellettuale al crepuscolo di una intensa vita politica vissuta tutta sulla frontiera della sinistra, Pietro Ingrao: “Indignarsi non basta. L’indignazione è un sentimento. Proporsi di conseguire con efficacia un risultato significa suscitare ed orientare forze, conoscere le forme attraverso le quali l’incontro e lo scontro procedono: questa è la politica”.

L’indignazione vale per tanti, anche per chi come me vede dal di dentro i ritardi, le insufficienze, la distruzione di ogni possibile reputazione della politica con comportamenti che offendono il cittadino, che lo disprezzano e lo irridono. Perché di questo si tratta con le cronache della regione Lazio. Un’onda di fango che rischia di rendere afono l’impegno personale, la volontà di essere coerenti tra la parola e l’azione. Ma vede anche il buono che c’è, la dedizione di tanti amministratori pubblici, di tanti colleghi nello studiare, approfondire, proporre. E’ un buono che si vede poco, sepolto dal marciume e dall’incompetenza.

Bisogna però venirne fuori. E bisogna che ognuno, come ci aiuta a fare il libro di Jori, riscopra il senso pieno e civile della parola “responsabilità”. La politica innanzitutto e certamente. Anche l’informazione, nel narrare scrupolosamente il malaffare, ma anche nel far conoscere il buono che c’è. Nell’aiutare davvero a comprendere oltre i luoghi comuni. Faccio due esempi. Sentiamo spesso dire che il parlamento è il più numeroso del mondo, eppure basterebbe pubblicare le statistiche ufficiali per accorgersi che il parlamento italiano è al 22esimo (non al primo) posto per numerosità pro capite nell’Europa a 27. Ciò non toglie che l’arricchimento dei livelli istituzionali (Regioni e Europa) possa condurre a diminuire il numero dei parlamentari, anche qui però sapendo che la riforma costituzionale che lo prevedeva è stata bloccata dal centrodestra. Oppure è diventato il tema del giorno, almeno nel PD, il problema dell’inamovibilità dei parlamentari. Se guardassimo i dati che ho pubblicato nel mio blog ci accorgeremmo che solo il 6% dei deputati del PD hanno più di tre legislature. E perciò il vero problema è l’inamovibilità del gruppo dirigente che ha attraversato l’intero arco del nascere e del decomporsi della seconda repubblica. E che il vero tema per quel che riguarda la qualità del parlamento non riguarda il numero delle legislature ma cosa si fa durante le legislature. Per un incapace o fannullone che sia anche una legislatura è sufficiente… E se la neo eletta capogruppo del PdL del Lazio, avendo alle spalle come unica esperienza lavorativa quella di cubista al Gilda (almeno così dicono le cronache) dice: “certo che mi ricandido, è il mio lavoro” comprendo benissimo che l’indignazione si allarghi poi a tutti i politici.

Ma anche questo atteggiamento, così comprensibile perché purtroppo gli esempi degradanti sono diffusi in tutti i partiti, veramente senza eccezione, contribuisce alla deresponsabilizzazione: alla fine è perfino consolante la conclusione “sono tutti eguali”. Perché evita la fatica di scegliere, perché evita anche di fare i conti con i propri errori. Perché i Fiorito nelle istituzioni entrano con il voto popolare, perché le illusioni nei confronti dell’uomo con il sole in tasca, l’entusiasmo per il proclamato disprezzo delle regole della democrazia, dell’equilibrio delle istituzioni, del decoro  che deve accompagnare la vita pubblica ha marciato sulle gambe di un robusto consenso. Ma non siamo tutti eguali. Il cittadino ha il diritto di giudicare ma ha anche il dovere di informarsi (ed il diritto ad essere informato). I parlamentari non hanno l’auto blu, i sottosegretari si. Io il sottosegretario l’ho fatto ma i miei concittadini non mi hanno quasi mai visto sull’auto blu e certamente mai per uso personale. Altri padovani hanno fatto i sottosegretari e fino a qualche giorno fa c’era l’auto blu ferma sotto casa, anche a scadenza dell’incarico, per ogni evenienza privata. Non siamo tutti eguali.

Lo spazio per una buona politica c’è. Il Governo Monti è nato per scelte non facili, per noi del PD e per quelli dell’altro schieramento. Non è mancato dalla mia parte che diceva: “andiamo al voto che vinciamo” piuttosto inconsapevoli che avremmo vinto sulle macerie e dalla parte opposta chi invitava a resistere o a distruggere tutto. E’ stata una pagina di buona politica, come lo sono le riforme faticosamente conquistate, riforme anche impopolari nell’immediato. Bisogna continuare così. La buona politica è l’unico vero antidoto alla cattiva politica.

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