Città sostenibili, un nuovo modello di città

Pubblicato il 21 gennaio 2013, da Relazioni

Intervento al convegno nazionale di SEL, Padova, 12 gennaio 2013

Il convegno esprime la meritevole ambizione di riporre tra i temi dell’agenda politica un tema che appare negli ultimi anni rimosso: la questione urbana, il tema della “buona vita”.

Resto convinto che una parte sostanziale della crisi della politica e della sua perdita di reputazione sia legata alla incapacità di legare le questioni della vita quotidiana ad un senso generale di un destino collettivo. La fatica di un enorme cambiamento (culturale, sociale, tecnologico) che modifica in profondità convenzioni, contratti, certezze precedenti plasmando diversamente la vita delle persone non si accompagna alla capacità della politica di indicare una chiave di lettura unificante e gli strumenti perciò per partecipare ad orientare il cambiamento. Dall’eccesso di ideologia (la pretesa di iscrivere in uno schema precostituito la variabilità della vita) alla mancanza di chiavi di lettura  che guidino le decisioni. Possiamo ricorrere alla parole illuminanti di un grande vecchi0 della sinistra, Alfredo Reichlin: “la politica è l’arte che lega l’oggi al domani, che sposta le menti e gli interessi, che rende possibile l’impossibile. La politica così vicina alla vita da confondersi con essa”.

Vale per la questione urbana. Società globalizzata, ma perciò bisognosa di nuove identità. Città travolte da penetranti urbanizzazioni ed insieme dal perenne rischio degrado derivante anche da politiche manutentive ridotte all’osso, in conseguenza dell’impoverimento della finanza locale.

Eppure luogo decisivo per l’esperienza umana. Come ha osservato una giovane studiosa: “La città è il luogo in cui si condensa e si esprime l’esperienza umana. E’ il mondo che abitiamo e che predisponiamo ad accogliere forme di vita e luoghi di incontro. E’ uno spazio vissuto. Esiste in quanto è abitata, attraversata, percepita, esperita: la sua consistenza è l’intreccio di pensieri, paure, speranza, desideri e progetti che riesce a suscitare” (Anna Lazzarini, Polis in fabula, Sellerio Editore, 2012).

Ed in fondo proprio nella condizione urbana trovano più compiuto adempimento, strumenti, forme di soluzione le quattro grandi libertà sociali che caratterizzano la civiltà occidentale: il diritto al lavoro, all’abitazione, all’istruzione, alla salute e alla sicurezza.

E’ in questo quadro che andrebbe valutata anche la questione specifica della tassazione sulla casa, che entra invece nella campagna elettorale più dal versante delle promesse facilmente popolari che dal versante della razionalità di un sistema fiscale aderente ai semplici ma fermi principi dell’art. 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

E’ sempre sbagliato esaminare singole disposizioni tributarie, forme di prelievo, individuazione di materia imponibile al di fuori di una visione generale che tenga conto delle domande base che definiscono il rapporto tra Stato e cittadino: quanto si da, chi da, a chi ed in cambio di che cosa.

Ora che vi sia una qualche forma di imposizione sulle proprietà immobiliari, anche quelle destinate alla propria abitazione è una costante dei sistemi fiscali ed in modo particolare l’imposta sulla casa alimenta la fiscalità delle autonomie locali, che concentrano l’erogazione dei servizi sui residenti, realizzandosi così un rapporto necessario tra percettore dell’imposta ed erogatore dei servizi ai cittadini.

E’ noto anche che nel confronto internazionale il sistema fiscale italiano appare particolarmente squilibrato in direzione di un prelievo sui redditi piuttosto che sui patrimoni, quando il possesso dei patrimoni dimostra uno squilibrio ancora maggiore che nella distribuzione dei redditi. Occorre riconoscere che il governo Monti ha parecchio lavorato in direzione di una correzione che preveda un maggior prelievo sui patrimoni: IMU colpisce le proprietà immobiliari, sono state introdotte sovrattasse sui beni mobili registrati di particolare rilevo (auto, barche, aerei), è stato aggravato il prelievo sulle rendite finanziarie, ecc. Per cui anche il dibattito che ogni tanto riemerge sulla introduzione di una patrimoniale appare spesso astratto. Un conto è parlare di un prelievo straordinario (ad esempio per tre anni) sui grandi patrimoni finalizzato ad un abbattimento del debito pubblico. E’ stato proposto da diversi studiosi, lo aveva proposto nell’immediato dopoguerra un grande liberale come Luigi Einaudi, come strumento straordinario per abbattere le spese di guerra. Se invece parliamo di una imposizione ordinaria occorre dire che i patrimoni sono tutti assoggettati al contributi fiscale, si tratta semmai di rafforzare gli aspetti di progressività e combattere anche in questo campo l’evasione.

Fatto quindi salvo il principio che è necessaria assoggettare la casa ad un contributo fiscale, per motivi di equilibrio secondo i principi costituzionali, occorre tuttavia considerare la particolare distribuzione della proprietà edilizia in Italia.

Abbiamo in Italia 59 milioni di unità immobiliari, quasi una per abitante e di queste il 92% sono costituite da abitazioni e loro pertinenze, l’87,5% delle unità è posseduto da persone fisiche.

L’80 % è proprietario della abitazione in cui risiede, la percentuale più alta in Europa  e sul totale del patrimonio abitativo posseduto dalle persone fisiche il 65% è destinato alla abitazione principale, l’8,6% è locato, il 14,7% è a disposizione, il resto ad altri usi.

La proprietà della casa assolve perciò in Italia una grande funzione sociale, su questo obiettivo si sono concentrate le aspirazioni delle famiglie italiane molto più che in altri paesi e in questa direzione principale si è indirizzata la capacità di risparmio. Siamo perciò  di fronte ad una situazione in cui ad una diffusione della proprietà della prima casa non sempre corrisponde una corrispondente capacità reddituale. Spesso la casa si è realizzata a costi modesti (dopoguerra: disponibilità di terreni a basso costo, autocostruzione) o comunque con il contributo intergenerazionale. Particolarmente impopolare appare poi l’IMU, e prima l’ICI per le sue modalità di pagamento: a differenza di altri prelievi fiscali basati sulla ritenute sui redditi qui c’è una erogazione diretta in forma cospicua da parte del cittadino.

Sulla base di queste considerazioni occorrerebbe a mio avviso agire in queste direzioni:

  1. una grande attenzione all’equità dell’imposta in relazione alla funzione sociale della proprietà prima casa, elevando la quota dell’esenzione (Bersani ha parlato di franchigia di 500 euro) in relazione al reddito ed alla composizione del nucleo familiare e tenendo conto di specifiche situazioni: pensiamo al caso delle famiglie gravate da un mutuo per l’acquisto prima casa che si trovano a pagare in aggiunta l’IMU. Si tratta poi di aggiornare come previsto le rendite catastali;
  2. bisogna non far sparire dall’agenda politica il tema della casa in affitto, di quel 20% di famiglie che la casa in proprietà non ce l’hanno, spesso perché non possono permettersela. Sempre parlando di fiscalità ad esempio con la cedolare secca si è realizzato una agevolazione notevole par la proprietà edilizia ma non introducendo una detrazione per le spese di affitto non si è realizzato quel contrasto di interesse che avrebbe giustificato l’intervento: minore pressione fiscale ma emersione del nero. L’assottigliamento del fondo affitti ha indebolito poi la capacità di sostegno pubblico per le famiglie in difficoltà;
  3. una ripresa forte di un programma di housing sociale, in collaborazione con il settore delle imprese di costruzione per un riutilizzo e recupero del patrimonio esistente; l’assessorato alla casa era un referato di grande rilievo nelle amministrazioni locali degli anni ’80 e ‘90, politicamente decisivo. come ricorda bene Luisa Calimani, che fu mio generoso assessore alla casa nella mia giunta del Comune di Padova. Occorre che il tema dell’edilizia sociale riacquisisca il ruolo che le compete, sia perché riguarda una libertà sociale di grande rilievo, sia per il ruolo che può assumere la politica pubblica per la casa per il miglioramento degli spazi urbani pubblici;
  4. infine va affrontato un tema delicatissimo per la tutela del territorio. L’ampliarsi del peso che assumono nelle finanze comunali le entrate relative agli oneri edilizi finiscono per incentivare l’uso del suolo con effetti fortemente distorsivi. Mentre l’IMU agisce infatti sul patrimonio esistente e semmai invita i proprietari ad un corretto uso (la casa locata paga meno dell’immobile a disposizione) la leva degli oneri incentiva l’amministrazione a promuovere un progressivo consumo del suolo. Bisognerebbe piuttosto lavorare per una equa distribuzione della rendita. In particolare come redistribuire gli incrementi di valore degli immobili che si realizzano in conseguenza di opere pubbliche che valorizzano la città: pensiamo agli incrementi di valore legati ad esempio alla realizzazione di sistemi di trasporto innovativi che avvicinano aree periferiche ai centri storici (il caso della linea tranviaria a Padova), la realizzazione di centri servizi, ecc.
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