Fisco o ideologia?

Pubblicato il 27 giugno 2013, da In primo piano

Difficili ottenere buone politiche fiscali se ci si fa guidare dall’ideologia e/o dalla ricerca di effetti simbolici. Specie se attorno al simbolo si muovono miliardi di euro.

E’ quello purtroppo che sta succedendo al Governo, sotto la spinta di un PDL più o meno alla disperazione (scomparso in larga parte dei territori alle elezioni amministrative, con un leader azzoppato di cui non riesce a fare a meno) e perciò condannato alla propaganda.

In materia fiscale promesse e rinvii non sono mai buona materia. Per ottenere effetti c’è bisogna di una convinzione di stabilità nelle aspettative del contribuente. Se manca questo non ci sarà alcun effetto concreto.

Purtroppo qui siamo in presenza di rinvii senza che si intravedano accettabili soluzioni. Si rinvia l’IMU sulla prima casa, ma appare evidente che si rischia un autogol. Infatti il mancato gettito andrà recuperato innalzando ulteriormente l’IMU sulle seconde case (per come è fatta la proprietà edilizia in Italia non sempre intestate a famiglie con grandi possibilità economiche), aumentando altre imposte collegate alla casa e con la revisione degli estimi catastali, provvedimento quanto mai necessario, che porterà comunque chi si aspetta una diminuzione a dover pagare di più.

Discutibile anche l’intervento sull’IVA. Perché alla fine viene compensato con un anticipo sui versamenti IRPF: perciò un aggravio sul reddito prevalentemente da lavoro dipendente. Può darsi che in sede di conversione del decreto si trovino coperture migliori, ma non si cambierà di molto l’impatto.

Si dovrebbe partire da un’altra impostazione: riconoscere che nell’immediato è impossibile ridurre la pressione fiscale in assoluto. Affermazione scomoda ma veritiera. Il che non vuol dire che non si possa fare niente, anzi si può egualmente fare molto: redistribuendo più equamente il peso fiscale in relazione alle possibilità.

Bisognerebbe riandare ai principi cardine della Costituzione. Ad esempio l’art. 42 secondo comma “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti” e l’art. 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Chi può di più deve contribuire di più e va sempre evidenziata la funzione sociale della proprietà: il che giustifica ad esempio trattare diversamente il reddito d’impresa che viene reinvestito nel rafforzare l’impresa, la sua struttura, la sua forza occupazionale da quello che viene distribuito al proprietario.

Perciò intanto garantire l’assolvimento del dovere fiscale. Che non vuol dire solo lotta all’evasione. Perché una volta individuata materia imponibile sottratta al fisco occorre riuscire ad avere il corrispettivo. Ed allora molte polemiche su Equitalia saranno anche in parte giustificate ma resta il fatto che gli evasori incalliti devono essere aggrediti perché paghino il dovuto. E anche senza volerlo molti critici di Equitalia non comprendono che qualche caso estremo diventa alibi per facilitare il mancato pagamento da parte degli evasori professionali.

Equità significa anche una suddivisione ragionevole tra imposte sui redditi (tutti, non solo prevalentemente quelli da lavoro dipendenti) e imposte sui patrimoni e sulle rendite, in modo che si verifichi la effettiva capacità contributiva del soggetto d’imposta. Meno sui redditi da lavoro e impresa e più sulle rendite, perciò.tax

Il Fisco ha due grandi finalità: quella distributiva, garantendo una equa distribuzione del reddito, supplendo alle carenze del mercato. Funzione spesso dimenticata e sottovalutata nel dibattito pubblico, ma perfettamente coerente con gli articoli della Costituzione citati, oltre a quelli relativi ai principi fondamentali.

Quella di produrre beni e servizi per il cittadino. Il dovere costituzionale del cittadino di concorrere alle spese pubbliche ha poi come corrispettivo il dovere dello Stato di erogare beni e servizi proporzionati al prelevato ed erogati in modo efficiente.

E qui veniamo ad un aspetto fin qui mancante. La pressione fiscale si può ridurre se diminuisce la spesa pubblica. Ma perché la riduzione della spesa non diventi una semplice partita di giro (pago meno tasse ma ottengo meno e/o peggiori servizi, che poi devo procurarmi spendendo sul mercato privato) occorre incidere sull’efficienza della macchina pubblica, portandola a produrre gli stessi servizi a costi minori, ad abbandonare la produzione di servizi non più indispensabili, magari producendone di nuovi che corrispondono a nuove emergenze sociali. E’ il tema abbandonato della spending review, una revisione generale della spesa pubblica e delle modalità di produzione dei servizi. Effetti di lungo periodo, ma strutturali. Se non si fa questo non si fa niente. Questo sarebbe un grande compito anche del Parlamento, perché la macchina burocratica da sola o non vuole o non ce la fa. Parlamento rinnovato per fare cose nuove. Ogni Commisssione Parlamentare dovrebbe prendere in esame capitolo per capitolo il bilancio del Minsitero di competenza, verificando priorità, utilità, efficienza ed efficacia della spesa. Lo si era incominciato a fare al Senato nella scorsa legislatura con esiti incoraggianti.

Questo è il cuore del risanamento, ed anche la via per ridurre sul serio la pressione fiscale, il resto si rischia che sia solo un cumulo di buoni propositi

 

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