Aldo Moro, un uomo così

Pubblicato il 18 ottobre 2013, da Relazioni e interventi

Agnese Moro, Un uomo così, ricordando mio padre, Rizzoli 2011

L’Associazione “Salboro Incontra” sempre ricca di belle iniziative, ha organizzato il 17 ottobre la presentazione con l’autrice del libro di Agnese Moro “Un uomo così, ricordando mio padre” a cui ho partecipato presentando il libro insieme ad Ivo Rossi. E’ stata una serata intensa e commovente, di cui ho anche il bel ricordo della dedica sul libro che mi ha fatto Agnese “A Paolo, grato dei bellissimi ricordi che mi ha donato” Riporto di seguito la traccia del mio intervento.

 

Dobbiamo essere veramente grati ai familiari di personalità che hanno attraversato la storia del nostro paese per la fatica che hanno deciso di fare scrivendo libri che illuminano la personalità di donne ed uomini che abbiamo tutti imparato ad ammirare e che ci vengono presentati sotta la luce dell’intimità familiare. Massimamente se le personalità sono andati incontro ad eventi drammatici, che hanno spezzato le loro vite. In questo caso la dolcezza del ricordo si unisce al dolore della rievocazione di un affetto troncato in modo drammatico. Possono essere figli provati del padre in età giovanissima, orfani che rielaborano le vicende quasi per potersi riappropriare del padre che la violenza terroristica hanno loro sottratto. Possono essere i libri da Mario Calabresi, di Benedetta Tobagi, di Umberto Ambrosoli, della nostra Silvia Giralucci. Oppure il ricordo è di una persona adulta, che ha fatto in tempo di maturare nell’affetto paterno, come è il caso di Agnese Moro. Penso anche al libro “Mio caro padre” di Maria Romana De Gasperi, in cui la figlia del grande statista, provato dal carcere fascista ma per fortuna morto nel proprio letto, ci svela tanti aspetti intimi della vita di De Gasperi.

In tutti i casi comunque questi libri completano mirabilmente la figura di queste persone, ben conosciute e studiate nella loro dimensione pubblica, ma che acquistano nuova e più luminosa immagine, con la conoscenza della loro dimensione privata, della cornice degli affetti familiari, dei valori vissuti anche nell’intimità della famiglia.

Non è solo una conoscenza intimistica. E’ che si capisce meglio che l’impegno civile e politico, il senso del dovere nascono in una profonda coltivazione di una vita spirituale, in una disciplina interiore che viene coltivata nella famiglia. Uomini molto impegnati ma non padri assenti. Per questo i figli scrivono questi libri che appunto non sono solo confessioni intimiste ma diventano strumenti per una completa lettura storica.

Il libro di Agnese Moro, uscito già qualche anno fa ma completato in questa nuova edizione con tante testimonianze degli incontri che il libro ha suscitato, è una straordinaria testimonianza sulla personalità di Aldo Moro, nel ricordo affettuoso di una figlia che ha subito il trauma dell’orrore del terrorismo ma che riesce a scrivere un libro sereno, pieno di ricordi dolci di un padre che ha amato molto i propri figli e nipoti, come abbiamo appreso anche nelle drammatiche lettere dalla prigionia.

Un ricordo senza retorica, ma teneramente poetico, come può essere il ricordo di una figlia a cui il padre è stato sottratto, in cui cerca di intrecciare il filo di tanti piccoli episodi di vita familiare, ma insieme l’eco delle grandi battaglie politiche.moroagnese

Ci restituisce anche l’immagine di una personalità singolare, che oggi apparirebbe completamente fuori dal tempo con i suoi doppipetti, con una oratoria complessa e ampollosa, con le sue manie. Ma un uomo, anche al vertice del potere, semplice nello stile della vita quotidiana. Ce lo dice il libro in tanti episodi, ad esempio quando tutte le sere c’era la telefonata del direttore del Popolo, il quotidiano della DC, e in lunghi colloqui definivano l’impostazione politica del quotidiano che sarebbe stato nelle edicole il giorno successivo. Ma il telefono era nel soggiorno e le figlie non riuscivano a vedere la televisione…Altro che Arcore e Palazzo Grazioli.

E giustamente Agnese Moro dice che vuole parlare della vita e non della morte del papà. Perché l’orrendo crimine delle Brigate Rosse rischia di dare una immagine distorta di Moro, trascinato nella polemica politica e preso a simbolo delle proprie convinzioni. Mettendo tra parentesi l’uomo di governo (sì, anche l’uomo di potere), il paziente tessitore di nuovi equilibri politici, prima con l’apertura all’esperienza di centrosinistra negli anni ’60 e poi la prospettiva del compromesso storico, troncata con il suo assassinio.

Per i giovani della mia generazione Moro è stato un riferimento importante. Ha gestito certamente molto potere, ma la sua caratteristica era la curiosità nel volere capire. Anche la sua formula, che tanto fu dileggiata come incomprensibile, delle “convergenze parallele” era invece la ricerca di chi non si accontentava di una analisi realistica dei rapporti di forza, dei condizionamenti internazionali, della maturità dei processi storici, ma volva forzare i tempi verso la direzione che gli appariva necessaria per il bene del paese. Nei tempi necessari per una maturazione consapevole, ma con una visione chiara. Ed il suo potere era basato sulla sua capacità di convinzione. Il grande discorso ai gruppi parlamentari della DC tenuto il 28 febbraio 1978 (l’ultimo suo discorso prima del rapimento) per convincere al difficile passaggio alla collaborazione con il PCI fu preceduto da innumerevoli colloqui con chi sapeva riluttante a questa ipotesi perché sapeva che non si tratatva di imporsi a maggioranza ma di convincere che era una svolta necessaria per il paese e per lo stesso futuro della Democrazia Cristiana. O ancora il famoso discorso al Congresso di Napoli nel 1962 per convincere il partito della necessità di avviare la collaborazione con il Partito Socialista. Un discorso di quasi sette ore! Colpisce la prova (anche atletica) di un discorso così lungo ed impegnativo. Colpisce anche (e ci dovrebbero riflettere i distratti dirigenti dell’oggi, a Roma come in periferia, che dopo quindici minuti di lavoro della direzione sono già distratti…) certamente la leadership di chi è capace di tenere incatenato un uditorio ma anche la serietà e la dedizione dei delegati del congresso di accettare una interlocuzione così pesante.

A proposito di imprese oratorie ricordo una volta che Moro venne a Padova per un comizio molto impegnativo ed il segretario provinciale ci mandò di corsa a comprare una bottiglia di cognac di cui Aldo Moro si servì largamente. Era un modo per sostenersi ed incoraggiarsi per il comizio, a riprova del profondo rispetto che aveva per l’uditorio. Ci colpì molto, perché avevamo di Moro una immagine di un uomo un po’ distaccato.

Un uomo politico se vogliamo anomalo, a cui piaceva molto ascoltare e capire. Il libro ci illumina anche in questa direzione, ad esempio con il bellissimo discorso, trascritto da un suo allievo, che fece alla fine del suo corso di insegnamento universitario (non mancava ami una lezione, anche nel periodo di più intenso impegno politico),: una idea straordinaria del rapporto, di affetto e stima reciproca, tra docente ed allievo. Ricordo che ci colpì molto quando Mora andò e si sedette in ultima fila ad uno dei primi convegni di Comunione e Liberazione. La concezione religiosa di Moro era molto lontana come impianto culturale da quella di Comunione e Liberazione, eppure Moro intuiva che stava nascendo qualcosa di nuovo, capace di muovere passioni ed interessi di larghe fasce giovanili, e voleva capire. Andò, si sedette in fondo, ascoltò e prese appunti fino alal fine. Quanto diverso dallo stile della comparsata: presenziare in favor di telecamera ed andarsene dopo qualche minuto.

Sono davvero appropriate le parole che Agnese mette a conclusione del suo libro: “Mi rimane la convinzione che le due sostanze più profonde della vita di mio padre siano state l’intelligenza e l’amore. La capacità di guardare in profondità, di vedere e comprendere. La capacità di amare e di corrispondere all’amore, senza riserve”. Così anche noi ricordiamo Aldo Moro.

 

 

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