CITTADINO DEL MIO COMUNE CITTADINO DEL MONDO

Pubblicato il 1 ottobre 2013, da Relazioni e interventi

Relazione introduttiva al Corso di formazione organizzato dalla Associazione Bachelet CAMPOSAMPIERO 23 SETTEMBRE 2013

La neocostituita Assocazione Bachelet di Camposampiero ha organizzato un importante percorso formativo articolato in 8 giornate rivolto in particolare ai giovani. La risposta è stata davvero confortante, perchè i partecipanti sono ben 45, segno che se si fanno proposte di qualità, si propongono impegni fondati su valori solidi, uscendo anche dai confini troppo ristrtetti delle organizzazioni partitiche le risposte ci sono e la domanda di buona politica è pur presente. Riporto qui il testo della relazione che ho svolto nella serata inaugurale, affiancato dal prof. Marco Almagisti.

 

Come posso integrare la bella relazione introduttiva del prof. Marco Almagisti? Viviamo tempi in cui la politica appare lontana da una sensibilità comune. Più che un mezzo per raggiungere il bene comune viene spesso vista piuttosto come un ostacolo, un inciampo, da cui stare lontano. Per questo sono grato per questa bella iniziativa della neo costituita Associazione Bachelet. E’ incoraggiante che – nel nome di un uomo buono, un martire della democrazia assassinato da delinquenti comuni che avevano la presunzione di compiere un atto politico – vi sia un gruppo di giovani numeroso che accetta un percorso formativo così impegnativo per prepararsi ad un possibile impegno amministrativo o semplicemente per aiutarsi a capire meglio il mondo in cui viviamo.

In questi anni di impegno politico mi è spesso capitato di incontrare giovani in occasioni di formazione (ad esempio durante i corsi della Scuola veneta di Politica che ho promosso con il mio partito, il PD) o a manifestazioni politiche. Pochi, forse, rispetto alle masse giovanili. E ho spesso pensato quanto oggi sia diversa la condizione rispetto a quella della mia generazione. Per la mia generazione (la mitica generazione del’68) tutto era riconducibile alla politica, ad un impegno diretto nella vita politica. Tutto era politico e nulla era fuori dalla dimensione politica. Ciò che si poteva ascoltare e leggere, ciò che si poteva vivere nell’università piuttosto che in fabbrica spingeva all’assunzione di un impegno politico. Perfino l’amore assumeva una dimensione politica: la liberazione sessuale era parte della voglia di costruire una società diversa.

Oggi è un altro mondo. Semmai tutta una certa pubblicistica, le condizioni oggettive di una mancanza di prospettiva, la difficoltà di accedere al lavoro, un lavoro che possa essere base di una stabile costruzione del proprio futuro, la mancanza di speranza porta molti giovani a rinchiudersi nella dimensione privata, o di piccolo gruppo, semmai sostituendo le relazioni dei social forum alle  relazioni di comunità. In ogni caso risulta più naturale l’ impegno nel ricco tessuto associativo piuttosto che nella vita dei partiti. Piuttosto impegno su singoli temi (la battaglia per l’acqua, la solidarietà internazionale, un fatto locale, piuttosto che l’interesse per una visione generale dei problemi della società).

Cosicché potremmo leggere questa descrizione: «Si lamenta da molte parti l’assenza dei giovani dalla vita sociale e politica, la loro indifferenza, la mancanza di ideali, il precoce scetticismo. E’ un lamento giustificato perché questa assenza significa l’esaurirsi di una spirito giovanile e della volontà di avvenire della nostra società…Ma è responsabilità nostra non aver saputo creare un ambiente accogliente dove la speranza apparisse possibile». Potremmo leggere, ma è interessante sapere che questo passo è parte di un discorso fatto da un giovanissimo Aldo Moro nel 1947: a 30 anni era già stato eletto parlamentare ed avrebbe dato un contributo decisivo nella scrittura della nostra bella carta costituzionale. Un uomo che ha dato moltissimo alla vita democratica del paese, da Segretario Nazionale della Democrazia Cristiana e da Capo del Governo, protagonista dell’apertura a sinistra nel 1963 e poi con Enrico Berlinguer della fase di collaborazione tra i partiti di centro e la sinistra. Anche lui come Bachelet assassinato dalle Brigate Rosse.

Ho riportato questo scritto non per avere lo sguardo rivolto all’indietro ma per comprendere che se l’esperienza è sempre personale ed irripetibile, ci chiama ad una responsabilità qui ed ora, tuttavia nella storia  i fatti si ripetono e conoscere la storia ci può aiutare a non fare gli stessi errori.

LA NECESSITA’ DELLA POLITICA

La necessità della politica per realizzarsi completamente nella vita, per dare il proprio contributo alla buona vita. Certo non è questa la politica che ci viene quotidianamente presentata dai media. Ho pensato allora di ricorrere a qualche testimone della buona politica. Per far capire le passioni che possono muovere gli uomini. Perché la forza dell’esempio vale di più di molti argomenti. Sono esempi un po’ casuali, potrebbero essercene molti altri e diversi. Quindi non guardiamo l’appartenenza politica, ma piuttosto ciò che queste persone ancora ci possono dire.

Incomincio da Pietro Ingrao. Avvicinatosi all’impegno politico durante la Resistenza, nelle file del Partito Comunista clandestino, poi eletto parlamentare per molte legislature, fino a diventare Presidente della Camera dei Deputati. Potremmo dire un professionista della politica, se non  fosse che oggi il termine è diventato dispregiativo. Ci dice Ingrao: «Per me politica è: io e altri insieme per influire, fosse pure per un grammo sulle vicende umane. La politica è l’arte che lega l’oggi al domani, che sposta le menti e gli interessi, che rende possibile l’impossibile: la politica non come mestiere ma come energia così vicina alla vita da confondersi con essa».

Politica come esperienza comunitaria: insieme per migliorare le condizioni di vita, per accrescere la libertà.

E’ quello che ci ricorda anche un sacerdote protagonista negli anni ’60 del secolo scorso di tante battaglie, condotte a partire da Barbiana, un piccolo paesino della Toscana di cui era parroco, confinato lì perché era un prete scomodo, ma capace, da questa estrema periferia del mondo “di spostare le menti e gli interessi”: Don Lorenzo Milani che, con “Lettere ad una Professoressa” ha fatto capire come la scuola possa essere lo strumento di liberazione delle energie di ogni uomo e come possa essere fattore di esclusione se la buona scuola non c’è.

Ci dice Don Milani: «Se c’è un problema risolverlo insieme è politica, risolverlo da soli è avarizia». Con il che sottolinea un aspetto che poi è una costante del suo insegnamento: non è importante solo risolvere i problemi, è importante come si risolvono, se risolvendoli si fa una autentica opera di promozione umana, perché ognuno diventi protagonista della propria crescita.

La politica deve essere anche tensione verso il futuro: sapere fare i conti con la realtà, ma non rendersene prigioniero. Ce lo ricorda Enrico Berlinguer, Segretario generale del Partito Comunista Italiano tra il 1972 ed il 1984, anno in cui morì improvvisamente a Padova, subito dopo un comizio.

E’ il brano di un importante discorso che Berlinguer rivolse agli operi del suo partito, spiegando perché era necessaria una via nuova che lui definiva con una parola scomoda: la politica dell’austerità: «Si tratta non di applicare dottrina e schemi, ma di percorrere vie ancora inesplorate, cioè di inventare qualcosa di nuovo, che stia però sotto la pelle della storia, che sia cioè maturo, necessario e perciò possibile». E’ una frase a mio avviso molto bella, perché contiene ciò che serve davvero alla buona politica: capacità di innovazione, ma sapendo leggere i movimenti profondi della storia, la maturazione della società, che bisogna contribuire a realizzare a partire dalle domande che si formano nel corpo sociale.

E’ ciò che ci dice con parole diverse Pietro Scoppola, storico, esponente del mondo cattolico, Senatore della Repubblica per la Democrazia Cristiana: «Politica come disegno per il futuro, valutazione razionale del possibile, sofferenza per l’impossibile». Alla tensione sempre necessaria tra costruzione del nuovo e conoscenza della realtà e degli interessi che si muovono nella società aggiunge questa notazione sulla sofferenza per l’impossibile. Vedere ciò che sarebbe buono e giusto ma sapere che appunto non sono maturi i tempi della storia. Il realismo della politica, ma la politica che non si accontenta.

Torniamo ad Aldo Moro con questa sua notazione che completa il pensiero di Scoppola: «Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino.» Ancora la politica come tensione perenne per accrescere la giustizia ed il bene comune. Non bruciare tutto nell’orizzonte del presente.

Mi piace terminare questa carrellata di buoni esempi con le parole dette recentemente da Papa Francesco in queste sue notazioni pastorali che con parole semplici aprono in verità piste di grande fascino: «Ogni politico deve farsi queste due domande: io amo il mio popolo per servirlo meglio? E sono umile da sentire le opinioni degli altri per scegliere la strada migliore?» Altri due buoni pilastri per la buona politica: il legame con il popolo, ricordando che la parola consenso non va vista nel suo significato per l’aritmetica elettorale ma piuttosto per la sua radice etimologica: cum-sentire, sentire insieme.  E la capacità dell’ascolto come virtù necessaria del buon politico. Come ci ricordava il prof. Almagisti bisognerebbe avere le orecchie grandi e la lingua piccola.

POI C’E’ L’ANTIPOLITICA

Corroborati da questi buoni esempi possiamo ora affrontare il lato oscuro della politica. Questa benedetta parola “antipolitica” che riemerge sempre nel dibattito pubblico, che descrive sentimenti ed atteggiamenti largamente diffusi nella società. Per non fermarsi alla superficie però cerchiamo di comprenderne le radici.

Il significato è certamente ambivalente.

In negativo è espressione di disprezzo e rancore che si è accumulato nella società. Società sottoposta a profondissimi e veloci cambiamenti, che hanno mutato rapporti sociali, rapporti economici, aspettative, hanno bruciato speranze, creato nuove incertezze, rispetto ai quali la politica è apparsa distante e perennemente in riardo: parte del problema piuttosto che strumento che aiuta ed accompagna.

Ma dietro questo rifiuto c’è anche in positivo un sentimento di nostalgia e speranza: nostalgia per la buona politica, speranza che con il rifiuto della cattiva politica possa tornare ad affermarsi quella buona.

In negativo cosa si nasconde dietro queste frasi che si ripetono: “Sono tutti eguali”, “Non ne vale la pena”, “tutti a casa”? Certo, c’è la reazione ai cattivi esempi che si moltiplicano, alla distanza tra le difficoltà della vita ed i comportamenti di una parte del ceto politico, che poi sono quelli che fanno notizia. C’è la conseguenza di una amplificazione da parte dei media di ogni aspetto negativo, e ce ne sono molti, ed il nascondimento di ogni possibile segnale positivo, che pure non mancherebbero. Però è anche l’emergere di vizi  ed atteggiamenti che sono una costante negativa nella storia italiana. Uno scarso senso dello Stato e delle istituzioni, la tendenza al disimpegno al di fuori della cerchia familiare, un certo egoismo sociale, la diffusione di due grandi mali sociali, il  particolarismo e l’individualismo che ci fa incapaci di aprirci a pensieri grandi, la debolezza del senso di legalità che si esprime in tanti modi, dall’evasione fiscale allo scarso rispetto di regole e beni comuni. Gli esempi potrebbero continuare. Semmai la novità in negativo è che questi comportamenti abbiano acquisito una sorta di legittimità collettiva, (e una certa politica li ha coltivati e giustificati): se la politica non funziona, se i politici rubano, perché non posso farlo anch’io? Tutto contribuisce a fornire un enorme alibi per disinteressarsi della cosa pubblica.

Come appare lontano l’appello che nel 1962 Kennedy rivolgeva ai giovani americani: “Non domandatevi cosa l’America può fare per voi, ma cosa voi potete fare per l’America” e come appare lontana quella mirabile frase contenuta nell’art. 48 della Costituzione: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”, Dovere civico, scritto da chi ben sapeva quanto sangue era costato la riconquista della libertà. Il dovere di contribuire al buon funzionamento della democrazia, senza alibi per il disimpegno.

NOSTALGIA DELLA BUONA POLITICA

E’ inutile girarci intorno. C’è un  solo modo per sconfiggere l’antipolitica, vivere la politica buona. Se la politica buona non c’è tutto appare una inutile predica ed un inutile appello.

Possiamo riassumere alcune virtù necessarie per la buona politica:

la capacità di leggere la società, non restando sulla superfice delle cose, sui luoghi comuni, sulle banalità che appaiono con più forza, ma cercando di conoscerne i movimenti profondi, che non si manifestano immediatamente, che magari non hanno audience sui media ma che condizionano egualmente la vita e le scelte del popolo;

di rappresentarla, dando voce, comprensione, vicinanza;

di dare un ordine agli interessi che si manifestano, di organizzarli in un progetto per il bene comune.

La politica richiede anche lungimiranza. Non si possono coltivare solo le emozioni del momento. La “veduta corta” raramente aiuta a trovare una strutturale soluzione dei problemi. Lo ricordava anche Dante, al Canto XIX del Paradiso: “Or chi tu se’, che vuo’ seder a scranna,/ per giudicar di lungi mille miglia/ con la veduta corta di una spanna?” Ci si siede sul seggio del potere, ma poi si vuole giudicare da lontano, senza conoscere, e appunto con la veduta corta di una spanna. Solo che la lungimiranza richiede necessariamente un forte rapporto di fiducia tra eletto ed elettore: i risultati arrivano, ma non si vedono subito. Chi è toccato negli interessi e nei previlegi si lamenta subito, ma i risultati positivi si vedono nel tempo e chi ne beneficia non avverte subito il cambiamento positivo.

I testimoni che ho prima richiamato ci dicono che nella buona politica serve insieme passione e ragione. Passione e ragione sono per la politica come la vela ed il timone per la nave. La vela serve a raccogliere il vento che muove la nave, il timone a dirigere la forza nella direzione giusta.

Così come è necessario saper tenere insieme valori ed ideali con la concretezza dell’agire politico: ideali e valori per non procedere alla cieca, concretezza per camminare un passo dopo l’altro nella direzione giusta.

I LIMITI DELLA POLITICA

Bisogna anche riconoscere che rispetto la passato il potere che può esercitare la politica si è affievolito. Gli stati nazionali hanno confini troppo piccoli e poteri limitati rispetto ai grandi processi globali e d’altra parte non si sono sviluppati livelli di governo democratici superiori ai livelli nazionali. L’unico esempio di globalizzazione democratica è proprio la tanto bistrattata Europa, che tuttavia faticosamente sta mettendo in campo una sperimentazione molto importante. Possiamo dire che con la globalizzazione abbiamo assistito ad uno spostamento dei poteri in plurime direzioni:

Dal basso verso l’alto, dagli stati nazionali alle dimensioni sovranazionali.

Dal pubblico al privato, si riducono le capacità di intervento dello Stato rispetto all’epoca d’oro di costruzione del sistema del welfare, con la crisi fiscale degli stati e una riduzione dell’intervento pubblico in economia.

Dal potere che si legittima con un mandato democratico al potere del denaro e dell’informazione, che influiscono potentemente nelle scelte e nell’indirizzo delle opinioni pubbliche.

Bisognerebbe cercare di rompere il circolo vizioso: la politica che non risolve i problemi diventa più debole, ma se è debole non può risolvere i problemi e qualche altro potere riempie il vuoto: tecnocrazia, populismo ed autoritarismo, finanza mondiale.

E’ un processo di cui dobbiamo essere maggiormente consapevoli. Ci sono i limiti della classe politica, ma altri poteri hanno tutto l’interesse di metterli in luce e possiedono i mezzi per orientare l’opinione pubblica. Ed alla fine l’antipolitica premia sempre i peggiori politici.

I PARTITI IL LUOGO DELLA POLITICA?

Per molto tempo l’Italia è stata veramente la Repubblica dei partiti.

Grandi partiti di massa costituivano un riferimento forte e capillarmente diffuso per il formarsi delle idee della gente, per assicurare una partecipazione alla vita politica, per influire nella organizzazione delle comunità locali, per muovere passioni e consenso.

La tabellina che segue mette in luce questo radicamento di massa, con un numero degli iscritti ai tre maggiori partiti della prima repubblica tra i 3 e i 4 milioni di cittadini.

Dc

Pci

Psi

1948

1.095.000

2.252.000

530.000

1974

1.843.000

1.657.000

511.000

1992

1.390.000

989.000

674.000

Situazione ben diversa dall’attuale, dove il maggiore partito il PD ha un numero di iscritti che si aggira attorno al mezzo milione, mentre il secondo partito tradizionale il PDL non pubblica neppure il numero degli iscritti. Ricordo però che con una base insediativa più modesta tuttavia i partiti possono essere capaci ancora di muovere grandi massi popolari. E’ il caso dell’esperienza delle primarie promosse dal Partito Democratico che ha visto la partecipazione di milioni di cittadini.

Resta il fatto che i partiti godono di un indice di gradimento bassissimo: tra il 4 ed il 6%, dopo tutte le maggiori istituzioni ed associazioni.

Eppure resterebbe il riferimento forte dell’art. 49 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

Non ci sono strade brevi per ridare ai partiti la fiducia necessaria per adempiere autorevolmente al compito loro affidato dalla Costituzione. Certo ci sono provvedimenti da tempo all’esame del parlamento, come una ridefinizione del sistema di finanziamento o un quadro normativo che assicuri quell’inciso “con metodo democratico” che non esiste in parti personali e populisti. Ma occorre un lavoro di lungo periodo, che faccia recuperare ai partiti quelle funzioni essenziali per il buon funzionamento della democrazia:

la capacità di costituire una autentica una comunità politica, aperta e partecipata;

la capacità di ideazione di un progetto per il paese, che sappia prendere per mano i cittadini e guidarli su valori, prospettive e politiche comprese e condivise;

la capacità di impostare una formazione e selezione dei gruppi dirigenti, perché sono sbagliati i due estremi: la conservazione o l’eliminazione dell’esistente; ciò che serve è un costante rinnovamento che si basi sulla trasmissione dei saperi alle nuove generazioni, sulla preparazione agli impegni istituzionali e di guida politica, perché nessuno nasce in possesso di questi saperi necessari alla buona politica.

Possiamo in proposito ricordare le parole pronunciate recentemente dal presidente Giorgio Napolitano: “Parlo qui della politica non come consapevolezza dell’interesse generale, senso del dovere civico, percezione responsabile dei problemi della società e dello Stato, perché di questa dimensione, propria del vivere in democrazia, ogni cittadino dovrebbe essere partecipe … Ma parlo della politica come funzione concretamente esercitata, con quegli attributi di dedizione quotidiana, di competenza specifica, di immersione piena in un agone di confronto e di lotta, che ne fanno una professione”.

NON SOLO PARTITI

Di queste due forme di attenzione alla politica che ci ha proposto Napolitano la seconda può trovare il luogo di elezione nei partiti, la prima ha molti altri strumenti per esprimersi: la ricchezza dell’organizzazione sociale che si forma con molte articolazioni, vecchie e nuove: dalla tradizionale rappresentanza di interessi, quelli economici, del lavoro, delle professioni, quelli nuovi con gruppi di interesse su problemi di settore o specifici, nuove forme di protagonismo sociale attorno a domande di servizi autogestiti: comunità di consumo, gruppi di acquisto, scuole, ecc., lo sviluppo di un welfare comunitario, che valorizza i corpi intermedi: gruppi familiari, volontariato, ecc. Sono tutte forme importanti di arricchimento della democrazia, di partecipazione e controllo da parte del cittadino. Non tutti hanno il carisma di quell’impegno che ci ha richiamato Napolitano, quasi una professione, ma è altrettanto importante assolvere la responsabilità sociale anche in queste forme.

Ci sono poi le nuove forme di partecipazione consentite dall’innovazione tecnologica, la rete, i social forum.

Strumenti molto potenti che offrono spazi nuovi. Ad esempio è profondamente cambiato il lavoro parlamentare, che è veramente svolto in una casa di vetro, per chi è interessato a controllare il lavoro dei propri rappresentanti. In tempo reale si conoscono tutti gli atti parlamentari, si controllano gli interventi effettuati, i disegni di legge presentati, le proposte di emendamento. E c’è un rapporto eletto elettore che si è molto rafforzato sotto questo profilo: il cittadino è in grado di valutare, se lo vuole, quanto lavoro svolge il parlamentare, quali interessi rappresenta. E o per il parlamentare si è aperto un canale di dialogo con i cittadini economico e di largo impatto.

Ma c’è chi pensa ad una innovazione molto più profonda: che la rete possa costituire una piattaforma tecnologica che consente una democrazia diretta, senza intermediazione. Io penso che sia sempre sbagliato contrapporre strumento a strumento, buttare il vecchi pensando che il nuovo basti da solo. In proposito possiamo accogliere l’insegnamento che ci deriva dalla prima campagna elettorale di Obama. Certamente l’uso accorto della rete fu essenziale, di fronte ad una disparità di mezzi economici rispetto ai repubblicani, sia per reclutare una imponente rete di militanti, sia per raccogliere in modo diffuso e capillare piccoli contributi economici. Però poi nelle ultime settimane i militanti chiusero i loro computer e passarono alla tradizionale azione sul territorio, con il rapporto con gli elettori.

Ci sono potenzialità importanti, ma non si può restare prigionieri di una visione un po’ romantica di uno spazio di libertà, controllato da nessuno in cui tutti sono pari. La realtà non è questa, come dimostrano molti studi con contenuto scientifico. Intanto bisogna sapere che la Rete non è né neutra né libera: ci sono strumenti raffinati che consentono di influenzare il main stream dei social forum, facendo emergere senza che appaia temi e opinioni prevalenti, è possibile una manipolazione affatto trasparente. C’è sempre il rischio di una autoreferenzialità, la mancanza di un principio di verità e di verifica razionale e scientifica dei fatti che vengono proposti: circolano le peggiori bufale, senza alcun fondamento fattuale che assumono la stessa veridicità dei fatti reali. Occorre un grande spirito critico nell’uso della rete, e del resto i numeri mobilitati dall’esperienza del Movimento 5 Stelle, che con più convinzione e innovazione a utilizzato e proposto lo strumento della rete come base dell’azione politica dimostrano la distanza con un modello di democrazia diretta e partecipata: i votanti alle primarie per i parlamentari sono stati qualche decina di migliaia e per il Presidente della Repubblica qualche migliaio. Nulla a confronto con i milioni di elettori che hanno votato per le primarie del PD per il Presidente del Consiglio (con Prodi e Bersani) e per i parlamentari.

Concludo con lo spunto di riflessione che ci offre Jaron Lanier, uno studioso che ha molto investito sulle potenzialità della rete, per poi rivedere criticamente la sua posizione: «sul web ha incominciato a viaggiare un mondo anonimo dove il caos sommerge ogni pensiero chiaro e distinto, dove nella velocità avanza solo l’impoverimento culturale. L’accesso e l’offerta indistinte finiscono così per uccidere ogni cultura critica…si mortifica quella democrazia che avrebbe dovuto esaltare, premiando la quantità sulla qualità, i messaggi più estremizzanti e meno ponderati, le informazioni più urlate e suggestive al di là della loro verità».

RIVITALIZZARE LA DEMOCRAZIA

Per questo compito che dovremmo sentire essenziale di rivitalizzazione della democrazia dobbiamo perciò puntare molto su due fattori: la ricchezza della organizzazione sociale, la sua vitalità e la valorizzazione della pluralità degli strumenti per una cittadinanza attiva, che non vanno visti contrapposti ed esclusivi, ma come risorse da integrare ed utilizzare al meglio.

Con la consapevolezza anche di alcune modalità necessarie:

L’ organizzazione di comunità politiche che non siano evanescenti, bruciate nell’istante, affidate alle emozioni del momento che poi rapidamente svaniscono lasciando un terreno arido. Abbiamo detto che la passione è importante per la politica: ma devono essere passioni solide, sapere che anche in questo campo della vita ci sono vittorie e sconfitte, che si impara molto dalle sconfitte che non devono mai essere motivo per disertare. Gli interessi materiali sono molto solidi e quelli più forti contano molto sulla fragilità dell’impegno dei cittadini per prevalere.

La necessità di agire insieme. Certamente viviamo un periodo in cui la leadership costituisce un riferimento necessario, ma l’uomo solo al comando poco può fare se non ha dietro un popolo organizzato. Vale il vecchio proverbio africano che recita: “se vuoi andare veloce cammina da solo, se vuoi andare lontano cammina insieme”. Ci innamoriamo magari dell’efficacia del messaggio penetrante del leader, ma poi ci accorgiamo che ci vuol altro che una emozione per risolvere i problemi.

Infine serve ripartire dal basso. C’è un tessuto di fiducia lacerato. C’è la globalizzazione che fa passare sulla testa della gente decisioni che incidono profondamente sulle condizioni di vita. Cambia la vita, spesso in peggio, e non si sa a chi dare la colpa. La politica buona può rinascere con un lavoro diffuso a partire dalla dimensione locale. Una visione “glocale”, cioè saper pensare globalmente ma agire localmente.

COMUNE CULLA DI DEMOCRAZIA

Per questo è così importante questa iniziativa dell’Associazione Bachelet: promuovere sensibilità e vocazioni al lavoro nelle istituzioni locali.

E’ qui che si radica al democrazia e la fiducia nelle istituzioni. Se il cittadino può vedere politici e amministratori votati al bene comune, preparati e competenti, sensibili al bene delle persone riacquista fiducia. E vi posso assicurare che di tutti gli impegni che si possono assumere a livello istituzionale quello del Sindaco è quello più gratificante: faticoso certamente, ma ricco di soddisfazioni per il rapporto vivo che si istituisce con il proprio popolo. A questo livello più che ad altri vale il principio “vedo, pago, voto”: sono meglio in grado di valutare le proposte dell’amministrazione locale rispetto alla politica nazionale più lontana, contribuisco con le tasse locali al finanziamento dell’attività ricevendo in cambio servizi e strutture comunitarie, con il voto posso contare molto di più che con il voto nazionale.

Mi piace definire l’amministratore locale come imprenditore del bene comune:

come ogni altro imprenditore deve combinare in modo efficiente le risorse che ha a disposizione: competenze delle persone, mezzi finanziari, patrimonio;

Anche l’organizzazione del Comune come l’organizzazione di una impresa privata ha come finalità la messa sul mercato di un prodotto, nel nostro caso il benessere delle persone.

E egualmente realizza un profitto. Che non è il guadagno individuale dell’imprenditore ma il riconoscimento di un consenso da parte dei cittadini. Richiamo ancora: il consenso più ricco non è costituito solo dal voto ma da quel cum sentire, quel sentire insieme che rende autorevole il politico.

Vorrei concludere sottolineando che nel rapporto positivo tra eletto ed elettore c’è una reciproca educazione alla democrazia: per il cittadino nel comprendere le fatiche, i vincoli, le complessità dell’amministrare, per l’eletto per comprendere le difficoltà della vita, le domande inespresse, i desideri degli amministrati.

Concludo come ho iniziato proponendovi un altro testimone. Benigno Zaccagnini, che è stato Segretario Nazionale della Democrazia Cristiana, prendendo questa responsabilità in un altro periodo di crisi della rappresentanza, cui toccò in sorte il dramma di dover gestire con fermezza il sequestro di Aldo Moro, l’uomo a cui politicamente si sentiva più vicino. Ci dice Zaccagnini:

«Non avere mai la speranza di non sbagliare mai, ma se vuoi sbagliare il meno possibile cerca di stare il più possibile con la gente. Gli uomini si possono dividere in tre categorie: quelli che capiscono, quelli che non capiscono, quelli che non vogliono capire. I più difficili sono quest’ultimi, ma l’importante è amarli tutti». Ed è bello incontrare un politico che non ha pudore di usare l’espressione amare il prossimo.

Consigli di lettura

AA. VV. Elogio della politica, Bur 2009

AA. VV. Parole nuove per la politica, il Saggiatore 2010

Jorge Maria Bergoglio (Papa Francesco) Noi come cittadini, noi come popolo, Jaca Book 2013

Edmondo Berselli, L’economia Giusta, Laterza 2010

Mauro Magatti, La grande contrazione, Feltrinelli 2012

Mario Rodriguez, Con-senso. La comunicazione politica tra strumenti e significati, Guerrini 2013

Aldo Schiavone, Non ti delego. Rizzoli 2013

Maurizio Viroli, Scegliere il principe, Laterza 2013

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