Magazzino degli sprechi

Pubblicato il 29 ottobre 2013, da Dai giornali

QDR magazine 125, 29 ottobre 2013

Nessuna politica di sviluppo stabile in Italia è possibile senza una seria spending review. Il cui significato non è necessariamente riduzione dei servizi, ma piuttosto la capacità di produrre gli stessi servizi a costi inferiori e magari di produrne di nuovi, per coprire nuovi bisogni, al posto di servizi non più prioritari.

Compito eminentemente politico, come ha ricordato Gianfranco Borghini su questo magazine nel numero del 22 ottobre.

Ma buona parte della politica non ci sente da questo orecchio. Vale ad esempio l’ultima dichiarazione di Danilo Leva, responsabile Giustizia del PD: “La legge di stabilità così com’è non va: il settore giustizia subisce altri tagli. Per ridare forza dignità ed efficienza al sistema giudiziario servono sì riforme ma soprattutto risorse da reperire eliminando sacche di spesa pubblica improduttiva”. Naturalmente dichiarazioni simili potrebbero essere replicate dai responsabili di tutti i partiti per la sanità, per l’istruzione, la sicurezza, ecc. Anzi: la nobiltà del servizio reso, secondo una vulgata largamente condivisa, dovrebbe a priori impedirne una verifica di efficienza. Quando è proprio il contrario: più essenziale il servizio, più odioso lo spreco.giaretta_FotoElenco

Ci deve essere una convinzione diffusa tra dirigenti politici ed anche parlamentari. Che da qualche parte lo Stato costudisca il Magazzino degli Sprechi, in cui vengono appunto stivate le Sacche di Spesa Improduttiva. Basta farsi dare la chiave, prelevare due o tre sacche, senza disturbare nessun interesse consolidato, nessuna pratica inefficiente, nessuna corporazione conservatrice del potere, ed il gioco è fatto.

Purtroppo non funziona così. Le sacche di spesa improduttiva, inefficiente, mal allocata ci sono eccome, solo che si annidano in ogni angolo del bilancio dello Stato. E quando si difende a priori lo stanziamento esistente vuol dire non far nulla per eliminare queste sacche improduttive.

Ad esempio per il settore giustizia sarebbe molto utile rileggere l’ormai datato ma sempre valido Libro Verde sulla spesa pubblica della Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica, presieduta dal prof. Gilberto Muraro. Si vedrebbe come la spesa per la Giustizia in Italia non è affatto inferiore a quella di altri paesi europei, che nel decennio antecedente al 2008 è aumentata del 140%, e i magistrati in servizio del 15%, non riuscendo comunque ad impedire il devastante peggioramento del servizio giustizia, che ci sono enormi divari negli indicatori di efficienza dei singoli tribunali, a parità di magistrati e di reati. Tribunali che funzionano bene, retti da magistrati/manager (pochi) tribunali che funzionano malissimo. Tutti figli eguali per il Ministero della Giustizia.

Qui ci sono le famose “sacche di spesa improduttiva”. Guai però a toccarle. Abbiamo visto quello che è successo per una decisione da tempo attesa di accorpamento dei piccoli tribunali.

Invece questo dovrebbe essere un compito precipuo del Parlamento. Perché è vero che c’è un accentramento della produzione normativa sul Governo, ma il Parlamento potrebbe recuperare un ampio potere di controllo sulle politiche di  bilancio. Invece di limitarsi a difendere la spesa così com’è, bisognerebbe che Commissione per Commissione si verificasse davvero congruità ed appropriatezza della spesa. Partendo dalla domanda dei cittadini piuttosto che dei soggetti produttori dei servizi. Incomincia tra l’altro ad essere disponibile un set di indicatori di efficienza della spesa e di costi standard, in conseguenza dei lavori fatti per il federalismo fiscale e per il Commissario della spesa pubblica ed il nuovo Commissario, persona di alta competenza, sarà uno strumento prezioso se il Parlamento lo saprà usare.

E’ un lavoro oscuro, che dà frutti tangibili nel lungo periodo, ma che procura nemici subito. Ma è quello che serve all’Italia. Sì, per cambiare verso.

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