Ricordo di Marcello Olivi

Pubblicato il 19 ottobre 2013, da Relazioni e interventi

Commemorazione svolta alla Accademia Galileiana di Scienze lettere ed Arti – Adunanza straordinaria del 19 ottobre 2013

E’ per me un vero onore essere stato incaricato dal Presidente a tenere questo breve ricordo del socio effettivo avv. Marcello Olivi. Non avendo altro titolo che quello di essere un esponente di quella generazione di uomini politici e delle istituzioni che hanno avuto la fortuna da giovani in particolare di aver potuto godere dell’esempio e della testimonianza di buona politica impersonata da uomini come Marcello Olivi.

Della sua complessa figura ricorderò solo tre aspetti che hanno caratterizzato e segnato la sua vita pubblica di uomo delle istituzioni:

la militanza nella Resistenza, per la liberazione della patria dalla tirannide nazifascista;

la presidenza dell’Amministrazione Provinciale di Padova tra il 1965 ed il 1970 e a livello nazionale dell’Unione delle Province Italiane, facendone postazioni di una convinta battaglia per le autonomie locali;

l’impegno in Parlamento, nella VI legislatura della Camera dei Deputati, tra il 1972 ed il 1976, in cui ha travasato l’esperienza di amministratore concreto e di sincero democratico.

Olivi uomo, e dirigente, della Resistenza padovana e veneta. Comandante partigiano, nel Corpo Volontari della Libertà con ruoli importanti e coraggiosa iniziativa, tanto da essere insignito della Medaglia d’Argento al valor militare. Apparteneva a quel nucleo di cattolici che accanto ad altri uomini di ogni fede politica e religiosa agirono concretamente, anche sul piano militare, per la liberazione d’Italia. Sull’esempio luminoso di Luigi Pierobon, Mario Tedesco, Flavio Busonera, assassinati dai nazifascisti, si era andata formando nel mondo cattolico padovano una fiera organizzazione di Resistenza, che aveva le sue basi organizzative tra il Collegio Barbarigo e l’Antonianum, con coraggiosi sacerdoti che seppero scegliere: don Apolloni, don Nervo, don Zaramella, Padre Messori, che si raccordava con le altre formazioni partigiane della sinistra, degli azionisti, dell’esercito. Così racconta Luigi Gui il primo incontro all’Antonianum verso la fine del 1944 con il comandante partigiano Marcello Olivi che avrebbe dovuto provvedere alla distribuzione di un opuscolo di propaganda antifascista: “vi trovai un giovanotto alto, sospettoso e guardingo, con gli stivali infangati Seppi più tardi che era Marcello Olivi, sfuggito alle retate fasciste ed ai rastrellamenti tedeschi in provincia di Treviso e divenuto esponente militare e delle brigate del popolo padovane.” Da quelle esperienze nacque poi un nucleo di attivisti politici che costuirono la prima dirigenza politica della Democrazia Cristiana padovana: Luigi Gui, Lanfranco Zancan, Gavino Sabbadin, Antonio Prezioso e molti altri.

Della Resistenza Olivi, anche come Presidente della Federazione Volontari della Libertà di Padova ha fatto memoria in modo assolutamente non retorico, ma perché restasse eredità viva per i tempi presenti. Ricordo che è agli atti della nostra Accademia una memoria presentata nel 1995 da Marcello Olivi su “La singolare partecipazione e interpretazione di Ezio Franceschini nella Resistenza”.

Poi viene l’impegno nelle amministrazioni locali, nell’Amministrazione Provinciale di Padova, prima come assessore ai Lavori Pubblici e poi come Presidente dal 1965 al 1970.olivi

Qui ho qualche ricordo personale di come noi giovani democristiani guardassimo con ammirazione questo uomo che appariva austero e riservato ed insieme appassionato, che introduceva nella conduzione dell’Amministrazione provinciale una forte carica innovativa, con un ambizioso piano di opere pubbliche in campo scolastico e viabilistico, con una coraggiosa esperienza di innovazione nella gestione dell’Ospedale Psichiatrico, sostenendo quell’impareggiabile protagonista della psichiatria italiana che fu il prof. Luigi Massignan, comprendendo in modo previdente il ruolo di nuove istituzioni, come l’Istituto Zooprofilattico, che sarebbe diventato un presidio fondamentale per la ricerca in campo agricolo, la salute pubblica e la sicurezza alimentare. Soprattutto la sua Presidenza fu caratterizzata per una battaglia politica ostinata e lungimirante perché fosse pienamente riconosciuto il disegno costituzionale dell’Italia Repubblica delle Autonomie. Non chiuso in un angusto localismo, ma anzi innervato in un fervido europeismo. Così diceva all’inizio dal suo mandato di Presidente: “L’autonomia secondo la prospettiva costituzionale, pone o meglio dovrebbe porre la provincia ed il Comune in posizione di concorrere come libere manifestazioni della vita sociale alla vita dello Stato in posizione cioè di parità sostanziale con lo Stato per raggiungere, con esso, i fini dell’ordinamento comunitario complessivo.” In anticipo di almeno trent’anni sul faticoso cammino delle riforme costituzionali e dell’incerto federalismo. E tuttavia nella sua azione, nel suo pensiero la parola autonomia sempre doveva accompagnarsi alla parola “responsabilità”. Perciò una applicazione pignola e rigorosa dei principi di buona amministrazione, dell’innovazione amministrativa, dell’efficienza, della semplificazione burocratica. Essendosi già allora aperta il dibattito sulla “inutilità” delle Province giustamente Olivi pensava che solo dimostrandone la piena vitalità attraverso la modernizzazione dell’amministrazione pubblica, la gestione rigorosa della spesa, l’organizzazione di risposte adeguate ed al passo con i tempi si sarebbe potuto difendere l’istituzione provinciale.

Sono temi che poi riprende pienamente nella sua breve esperienza parlamentare, come segretario della prima Commissione Affari Costituzionali, organizzazione dello Stato, Regioni e pubblico impiego. Tutti temi che gli sono cari a cui si dedica con impegno e assiduità, con disegni di legge ed interventi in aula e commissione. Ricordo qui in particolare lo studio per un disegno di legge costituzionale per la creazione del Senato delle Regioni. Sulla base di una accurata analisi comparata con i regimi parlamentari dei maggiori paesi europei Olivi afferma la necessità di una coraggiosa innovazione costituzionale che faccia evolvere il sistema del bicameralismo perfetto in un sistema in cui l’autonomia regionale abbia piena rappresentanza parlamentare, immaginando un Senato eletto in modo misto, per 180 senatori a suffragio elettorale diretto, per 135 eletti dai consigli regionali.

Come si vede anche in questo caso una naturale capacità di individuare nodi essenziali, la cui mancata soluzione hanno molto appesantito la vita istituzionale e che restano ancora oggi nodi irrisolti, ma di necessaria soluzione.

Finita l’esperienza parlamentare Olivi non assume altri incarichi. Eppure certamente avrebbe avuto ancora molto da dare. Lavora ancora a livello politico negli uffici centrali del suo partito, la Democrazia Cristiana, occupandosi dell’Ufficio Problemi dello Stato e dell’Ufficio Regioni e Autonomie Locali ma non viene più valorizzato come si sarebbe meritato a livello istituzionale. Del resto, come orgogliosamente afferma in un ricordo della sua esperienza amministrativa: “Da parte mia non ho mai avuto né correnti, né padrini, né padroni” e questo lo ha reso indubbiamente un uomo libero, ma ha sacrificato le sue potenzialità di uomo politico di rilievo nazionale.

Colpisce però ancora oggi la modernità del suo pensiero. L’uomo della Resistenza comprende appieno che la democrazia non è mai conquistata una volta per tutte, che la democrazia deve inverarsi nella vita quotidiana dei cittadini. E scrive nel 1969, anno già segnato da profondi rivolgimenti sociali e culturali: “I tempi indicano una nuova meta per la realizzazione di uno Stato integralmente democratico: garantire la libertà attiva del cittadino”. Libertà attiva del cittadino, un’espressione incredibilmente moderna, una intuizione profonda che sarebbe poi stata ripresa da tanti pensatori contemporanei, da Dahrendorf, a Sen, a Bauman.

Nei giorni scorsi la figlia signora Paoletta mi ha mostrato un appunto del papà ritrovato tra le sue carte in cui si rammaricava di aver scritto molto per gli altri ma di non avere mai trovato il tempo di raccontare la propria vita di uomo delle istituzioni. Certo sarebbe stato un documento di straordinaria utilità, ma spetta anche a noi coltivare la memoria di questi costruttori della patria democratica. Come Fondazione Ruggero Menato (altro padovano che ha dato molto alla comunità) abbiamo deciso di avviare un progetto per la raccolta degli archivi privati delle personalità che hanno animato le nostre istituzioni democratiche. Sarà un modo per onorarli degnamente, come oggi stiamo facendo e per impedire che lo loro eredità morale venga dispersa.

 

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