Per un federalismo utile all’Italia

Pubblicato il 8 febbraio 2014, da Relazioni e interventi

Riordinando un po’ di file nel mio computer ho rintracciato questo mio intervento ad una riunione dei gruppi del PD sul tema del federalismo. Lo pubblico qui come curiosità perchè è interessante rilevare come cambiano le agende politiche del paese, non perchè i problemi siano risolti, ma perchè vengono a noia! E’ del 2008, sono passati poco più di 5 anni ed il federalismo è completamente uscito dall’agenda politica. Anzi, travolto dagli scandali generalizzati che hanno coinvolto moltissime regioni italiane, siamo passati dal quotidiano “pane e federalismo” a nuove pulsioni centralistiche. Ma i problemi restano.

CONTRIBUTO DEL SEN. PAOLO GIARETTA AL SEMINARIO DEI GRUPPI PARLAMENTARI DEL PD SUL FEDERALISMO – 4 LUGLIO 2008

Credo che la finalità essenziale di questa prima riflessione collegiale su un tema che sarà comunque centrale in questo avvio di legislatura sia quello di mettere a fuoco il punto politico. Le tecnicalità verranno dopo, e poiché il tema è complesso, per i suoi risvolti istituzionali e finanziari, la letteratura è ormai sterminata, le scuole di pensiero molto articolate, occorre evitare che la tecnicalità prenda il sopravvento sulla politica.

Cerco di mettere a fuoco il punto che appare centrale dall’angolazione di un parlamentare del Nord ed in particolare dal punto di vista di chi come Segretario Regionale del Partito democratico del Veneto si trova a fare i conti tutti i giorni con un preciso e diffuso sentimento della popolazione. Non è questione di elettorato influenzato dal leghismo diffuso o dall’orientamento di centro destra. E’ una opinione radicata in tutti i ceti sociali e gli orientamenti politici, una convinzione fortemente presente  naturalmente anche nel nostro elettorato.

Questa richiesta così forte del territorio che è parte essenziale della cosiddetta questione settentrionale, che si esprime attraverso il termine federalismo, in realtà mette insieme una serie di questioni che è bene distinguere e vedere una per una.

  1. La questione fiscale innanzitutto. La sensazione diffusa, tra i lavoratori dipendenti come tra i moltissimi che dalle diverse forme dell’intrapresa individuale (piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, professionisti, ecc.) ricavano il proprio reddito che vi è uno squilibrio troppo forte tra ciò che si dà e ciò che si riceve. Si dà troppo e si deve dare in modo troppo complicato.
  2. La pressione burocratica: troppe pratiche, troppi costi amministrativi per piccolissime strutture economiche, troppi adempimenti di cui non è avvertibile l’interesse pubblico che dovrebbe sottostare alla richiesta al privato di un costo burocratico.
  3. Una perequazione inefficiente: una solidarietà che viene richiesta e che viene usata senza rispetto per chi la dà. Il gettito che serve alla perequazione per le regioni più povere non produce risultati, ma sembra alimentare fenomeni clientelari e di cattiva amministrazione. Report è una delle trasmissioni più seguite e alimenta giudizi severi e diffusi verso una certa immagine delle amministrazioni del Mezzogiorno.
  4. Un sistema di trasferimento agli enti locali troppo distorto. Regole stringenti eguali per tutti, spesso senza nessuna distinzione tra comportamenti virtuosi e comportamenti lassisti, ma trasferimenti dallo Stato diseguali senza alcun criterio che non sia quello della spesa storica. Comunità locali che si trascinano da decenni un differenziale negativo di trattamento perché i loro padri avevano una idea un po’ asburgica della amministrazione pubblica.
  5. Infine per alcuni territori del Veneto, la provincia di Belluno in particolare, ma vale anche per la Lombardia, per il Piemonte, il confine con regioni a Statuto speciale. Se in decine di comuni più del 90% degli elettori vanno a votare e con percentuali elevatissime si vota sì al trasferimento al Trentino, piuttosto che al Friuli o alla Valle d’Aosta, non lo si fa per egoismo. E’ una scelta un po’ disperata che ha a che fare con il fatto che si vedono nel comune confinante maggiori opportunità per i propri figli: migliori sevizi scolastici, culturali, sportivi, con il fatto che si subisce la concorrenza sleale dei propri concorrenti: un albergo di qua in Veneto deve arrangiarsi, di là in Trentino, magari al di là della strada, contributi a fondo perduto per gli ammodernamenti, per la gestione, per gli impianti di risalita, ecc.

Sono fatti che sono entrati nella testa della gente con la forza dei fatti, semplicemente non c’è più la disponibilità a non vederli, e questa è la questione politica che si pone anche a noi se vogliamo essere centrali nella rappresentanza del territorio.

Vi è ormai troppa distanza tra ciò che si riceve e ciò che si dà. Lo Stato centrale preleva dai contribuenti veneti circa 11.000 euro pro capite (1.000 euro in più rispetto alla media nazionale) e ne restituisce sul territorio circa 7.500 euro pro capite, 1.200 euro in meno rispetto alla media nazionale. Il residuo fiscale complessivo delle Amministrazioni pubbliche (centrali e locali) è stato nel 2003 di 2.513 euro pro capite rispetto ad una media nazionale di – 266 euro. La mia regione è la terza in Italia per elevatezza del residuo fiscale.

Certo è l’effetto della necessaria ( e utile per la crescita del paese) solidarietà nazionale. In sostanza tre regioni Lombardia, Emilia Romagna e Veneto ripianano i disavanzi maturati in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Le altre regioni più o meno stanno in pari. Il punto è che poi i contribuenti leggono dove vanno a finire i tributi estratti dal territorio con finalità perequative. Il costo di funzionamento della Regione in Veneto è di 99 euro pro capite, in Puglia di 160, in Campania di 181, in Calabria di 265, in Molise di 374. Il personale dipendente ogni 100 mila abitanti è di 43 in Lombardia, di 69 in Veneto, di 98 in Puglia, di 156 in Campania, di 255 in Calabria. Fatta 100 la media italiana di retribuzione dei dirigenti delle regioni a statuto ordinario l’Emilia quota 90, il Veneto 94, la Puglia 128, la Calabria 148. Il punto che va in crisi non è il venir meno di un sentimento di solidarietà verso le aree più deboli (o comunque è un atteggiamento che riguarda parti minoritarie della popolazione) è la disponibilità a vedere risorse proprie destinate alla cattiva amministrazione e non alla prestazione di servizi ai cittadini.

Infine la disuguaglianza dei trasferimenti dello Stato al sistema degli Enti Locali. E’ cresciuto parecchio l’indice di autonomia fiscale (che farà un bel passo indietro con l’abolizione dell’ICI), ma resta il fatto che il trasferimento da parte dello Stato è legato a criteri di spesa storica che non hanno alcun rapporto con i servizi erogati, con la struttura della popolazione, ecc. Il trasferimento medio pro capite ai comuni del Veneto è di 240 euro, rispetto ai 189 della Lombardia, ai 307 dell’Emilia Romagna, ai 490 della Calabria, ai 541 della Campania, ai 570 della Sicilia. Anche in questo caso abbiamo risultati non dissimili circa la destinazione della spesa da quelli visti per i trasferimenti alle regioni. Centinaia di comuni veneti di diverso orientamento politico hanno assunto una iniziativa per  rideterminare radicalmente la distribuzione del gettito IRPEF tra Stato e comuni in sostituzione di trasferimenti. E’ un tema che non può essere rinviato.

E’ un sistema che non è più sostenibile. Non è sostenibile socialmente e politicamente al Nord. Non è produttivo per il Sud: risorse che in sostanza non hanno prodotto in larga parte un innalzamento del livello e della diffusione di servizi alla persona e alle imprese, ma una elefantiasi burocratica e costi di prestazione dei servizi più elevati senza giustificazioni.

Il ddl Lanzillotta è un ottimo punto di partenza dal punto di vista dell’equilibrio generale, anche se sono stati messi in luce alcuni “buchi” che vanno colmati. Sottolineo in modo particolare tre aspetti.

  1. Occorre valorizzare l’impianto del federalismo a geometria variabile di cui al comma 3 dell’art. 116 della Costituzione. E’ un aspetto di competizione virtuosa che tende ad accentuare la capacità innovativa delle classi dirigenti regionali, al Nord come al Sud e consente anche politicamente di aprire spazi per la capacità di iniziativa del PD. Nelle Regioni in cui governiamo dimostrando la forza del buon governo, in quelle in cui siamo all’opposizione (soprattutto nelle regioni del Nord) indicare all’opinione pubblica i ritardi e le insufficienze della maggioranza. Del resto l’idea che la gestione statale garantisca condizione di eguaglianza si scontra con i dati rilettivi all’istruzione, servizio interamente statale  ma che realizza output formativi drammaticamente differenziati tra il nord e il sud.
  2. Secondo: occorre insistere sull’abbandono del criterio della spesa storica in tempi certi. La tenuta di un sistema di federalismo solidale è affidata alla efficienza della spesa. Una definizione equilibrata dei livelli essenziali e un sistema di riparto basati sulla capacità fiscale standard, su costi oggettivi di esercizio delle funzioni, su capacità di premiare le migliori pratiche. Il sistema non regge senza questo stimolo. Con il criterio della spesa storica si producono le forti disuguaglianze nella qualità della spesa sanitaria.
  3. Infine la questione delle Regioni a statuto speciale. Mi rendo conto della difficoltà ad affrontare il tema, dal punto di vista politico e dal punto di vista costituzionale. Però la questione esiste tutta. Se non è possibile trovare il consenso necessario per un processo di revisione costituzionale e di revisione dei patti bisogna mettere in campo un principio perequativo per i territori confinanti con le regioni a statuto speciale che tendano a livellare l’eccesso di disuguaglianza, sia con finanziamenti statali aggiuntivi per i territori interessati, sia con l’istituzione di patti territoriali tra Stato, Regioni a Statuto Speciale e Regioni a Statuto Ordinario per progetti di riequilibrio territoriale. Un primo accenno in questa direzione è contenuto nell’ultima finanziaria del governo Prodi con una iniziativa del sottosegretario Letta.
  4. Collateralmente occorre una iniziativa del PD per una diversa e più equa sistemazione della finanza comunale, introducendo anche in questo caso il superamento del concetto di spesa storica, costi standard, elementi premiali per i comportamenti virtuosi e punitivi per la cattiva amministrazione, programmazione triennale del patto di stabilità interno e sua articolazione regionale.
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