Stranieri: niente luoghi comuni

Pubblicato il 14 febbraio 2014, da Relazioni e interventi

Intervento alla presentazione della ricerca Last, Laboratorio sulla società e il territorio “L’inte(g)razione dei migranti oltre gli stereotipi, gli orientamenti della popolazione verso i nuovi italiani”, con Daniele Marini, Khalid Rhazzali, Silvio Scannagatta, Università di Padova, 13 febbraio 2014.

 

Potremmo definire i dati che emergono dalla ricerca condotta dal prof. Daniele Marini con il termine “sorprendenti”. E’ il ritratto di una Italia diversa dai luoghi comuni su un tema sensibile come il rapporto con la popolazione straniera.

Il 72,7% degli italiani sono molto o moltissimo d’accordo con l’affermazione che gli immigrati favoriscono l’apertura culturale, il 72,5 che sono una risorsa per l’economia, l’82,4 che non vi sia differenza tra italiani ed immigrati come minaccia per l’ordine pubblico. Solo il 21,2% sono molto o moltissimo d’accordo con l’affermazione che costituiscano una minaccia per l’occupazione (in un periodo di profonda crisi economica). L’84,2% pensa che è giusto consentire il voto alle elezioni comunali, il 65,8% a quelle politiche. Il 96,9% ritiene che abbiano diritto all’assistenza sanitaria.

Certo è un dato medio nazionale, che può essere diverso in specifiche aree territoriali a più alta tensione, ma comunque un ritratto molto diverso da quello che emerge dalle chiacchiere da bar o da molte telfonate rancorose alle televisioni locali. Sarà che si compiace in pubblico un certo senso comune, che parlano di più gli arrabbiati, che nella compilazione di un questionario si da una risposta più meditata e riflessiva, sta il fatto che il ritratto che emerge da questa indagine è appunto sorprendente.

Il che pone dei problemi piuttosto seri. Per la politica abituata a speculare sul tema in modo ideologico. A destra eccitando e coltivando ogni paura che sempre si accompagna nell’incrocio con il diverso, a sinistra sottovalutando il fenomeno, pensando che la parola solidarietà possa scacciare automaticamente la parola paura- E’ naturalmente una semplificazione, perché in realtà non mancano amministratori leghisti che poi nel concreto hanno fatto positive politiche di integrazione (perché eccitare le paure potrà portare qualche consenso immediato ma poi la gente non sta meglio) né amministratori di sinistra che hanno ben compreso come è la popolazione più debole che soffre per il degrado, lo spaccio, la malavita ed occorre agire con mano forte.stranieri

Un problema anche per i media, che tendono sul tema a fare una comunicazione sempre eccitata, equiparando malavita = straniero, parlando poco dei tanti casi di positiva integrazione e molto dei casi di insofferenza o di criminalità.

La gente sembra avere più buonsenso dei politici e come vedremo conoscendo e convivendo con il fenomeno ha cambiato rapidamente opinione, assumendo una atteggiamento più accogliente.

Come vedremo poi i dati del Nord est segnalano (ancora in modo sorprendente rispetto alla narrazione di maniera) una maggiore apertura. Del resto ricordo che a Padova il cognome più diffuso è Schiavon. Proprio quello, che evoca la veneziana riva degli Schiavoni, dove si concentravano le popolazioni slave…E che naturalmente non è smarrita dalla profonda memoria collettiva di un popolo il fatto che i Veneti siano stati insieme il popolo di un grande impero multinazionale (la Serenissima Repubblica) e popolo che ha conosciuta la dura vita del migrante.

Ricordo anche la rapidità del fenomeno che ha cambiato le nostre comunità e che certamente giustificherebbero paure, chiusure, preoccupazioni. Lo faccio con un dato autobiografico. Quando ero sindaco di Padova alla fine degli anni ’80 ho dovuto affrontare la primissima emergenza immigrati. Era un piccolo (con le cifre di oggi) nucleo di popolazione nigeriana. Per curiosità sono andato a vedere l’Annuario Statistico comunale di quegli anni. La voce stranieri non era neppure prevista. Nell’Annuario ultimo molte pagine sono dedicate al fenomeno per la sua rilevanza statistica. La popolazione straniera regolarmente iscritta all’anagrafe ormai assomma a oltre 33.000 persone, organizzate in  15.000 nuclei familiari, di cui 7.000 sono composti da due o più familiari, segno di un progressivo radicamento familiare.

In un quarto di secolo dall’inesistenza del fenomeno ad una importante componente della demografia cittadina. Ancora di più se svolgiamo lo sguardo al futuro: popolazione più giovane e demograficamente più feconda.

Metto in evidenza tre aspetti specifici della ricerca.

Il primo. Il rapidissimo cambiamento nell’atteggiamento nel confronto del fenomeno. L’estendersi della presenza, la pratica sperimentazione di un rapporto sul luogo di lavoro, nelle famiglie (le badanti) nelle associazioni e nel mondo della scuola muta il giudizio. Tra il 2007 ed il 2013 si dimezza la percentuale di chi ritiene che lo straniero sia una minaccia per la sicurezza delle persone (dal 43,2 al 19,6) passa dal 46,4 al 72,7 il giudizio di chi ritiene che favoriscano l’apertura culturale scende dal 34,6 al 20,1 l’opinione di chi ritiene che siano una minaccia per l’occupazione. La vita pratica sostituisce la rappresentazione ideologica e la narrazione di comodo. Il calore del rapporto umano si sostituisce al pre-giudizio tra lontani e diversi.

Il secondo. Un altro dato sorprendente. La popolazione anziana ha mediamente un atteggiamento più accogliente. Sperimentiamo spesso il contrario. Specie nelle zone di conflitto urbano. La difficile convivenza nelle case “popolari” tra popolazione anziana a basso reddito con una presenza di popolazione straniera in cui non mancano spaccio o prostituzione, o semplicemente abitudini e culture profondamente diverse. I dati dell’indagine per età dimostrano che la popolazione ultrasessantacinquenne è quella che ha la percentuale più alta di atteggiamenti accoglienti o favorevoli, oltre il 75%, rispetto ad esempio alla fascia 35-44 in cui sono solo il 51,2. Sembra che superata la distanza della diversità la sperimentazione pratica della convivenza con le badanti, propria o di amici, familiari e conoscenti, faccia prevalere lo svilupparsi di un rapporto che non è solo di lavoro ma ricostruisce un rapporto quasi di relazione familiare.

Infine i dati del Nord Est- La disaggregazione per grandi aree geografiche rileva ha sempre dati di maggiore apertura rispetto alla media italiana. L’indagine registra nel nord est una presenza di atteggiamenti favorevoli o accoglienti pari al 69,5% rispetto ad una media italiana del 66,1.

C’è solo una fortissima divaricazione su una domanda. IL 34,2% degli intervistati del Nord Est ritiene la presenza di stranieri una minaccia per la sicurezza rispetto alla media italiana del 19,6. Non tantissimi, in fondo, ma molto di più di quanto percepito in altre aree del paese. Quindi una peculiare sensibilità. Che si spiega anche con il fatto che la diffusione di fenomeni malavitosi (soprattutto spaccio, rapine, scippi, furti in casa, ecc.) è un fenomeno recente e prima poco conosciuto. Le statistiche dei reati dimostrano che le percentuali sono più basse di altri territori, ma sono in rapida crescita e suscitano allarme sociale. Del resto è facile comprendere che per territori sotto schiaffo della criminalità organizzata poco aggiunge la presenza di stranieri. La minaccia viene dai conterranei.

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