Quel terribile 16 marzo 1978

Pubblicato il 18 marzo 2014, da In primo piano

Un altro anniversario è passato della data tragica del rapimento dell’on. Aldo Moro e dell’assassinio della sua scorta. Cui avrebbe fatto seguito il 9 maggio il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, assassinato dalle Brigate Rosse. 36 anni sono passati. Data che ha cambiato il corso della storia italiana, purtroppo. Interrompendo un percorso di nuova progettualità per la politica italiana che avevano immaginato due grandi leaders come Moro e Berlinguer. Data da non dimenticare, da utilizzare sempre per una riflessione. Utilizzo qui la pagina del diario di quel giorno di Bartolo Ciccardini, recentemente pubblicata. Ciccardini era un dirigente allora della Democrazia Cristiana ed ha vissuto da vicino gli eventi.  Nel suo diario ritroviamo eco di quel dramma e delle  difficili scelte che i dirigenti politici dovettero affrontare.

Pagina di diario scritta durante i giorni del rapimento Moro.

E’ la mattina di giovedì 16 Marzo. Sto preparando un discorso di dissenso alla Camera: avremo in giornata le dichiarazioni dl nuovo Governo ed io voglio spiegare la mia posizione e quella dei miei amici, che si sono battuti perché risultasse chiaro che questo governo non si sarebbe basato su una maggioranza politica, ma su una tregua tra le forze politiche, per un programma rigoroso di chiara e necessaria emergenza, a tempo limitato: fino alle elezioni del Presidente della Repubblica. Fra pochi minuti queste idee, attorno alle quali abbiamo faticato per mesi, per le quali ho rifiutato di accettare qualsiasi eventuale designazione al Governo da parte dei colleghi parlamentari, faranno parte di un lontano passato.

Squilla il telefono. E’ un funzionario della Direzione del Partito: Ligato. On riconosco la sua voce, perché piange: “A nome del Segretario del Partito, sono stato pregato di informare i membri della Giunta che questa mattina è stato rapito il Presidente Moro. Il Segretario la prega di recarsi subito a Piazza del Gesù”.

Resto di sasso. Mi volgo verso un vecchio amico, Feliciani, che è passato chiedere notizie sulla soluzione della crisi. Non so come dirglielo. Mi domanda se mi sento male. Sono assalito dall’incredulità; e se fosse uno scherzo atroce?mi attacco al telefono e chiamo Piazza del Gesù: la notizia è vera.

Un lungo periodo storico della nostra Repubblica si chiude definitivamente, un altro se ne apre, dal volto irriconoscibile. Tutto quello che pensavo, che pensavamo fino a cinque minuti fa è vecchio di dieci anni.morobr

Una guerra è stata dichiarata. Quando finirà, sarà, come dopo tutte le guerre, tutto diverso.

Corro in Piazza del Gesù. La gente staziona preoccupata sulla piazza. Arrivano delegazioni dei Partiti, di Sindacati a portare solidarietà. Le notizie sono ancora confuse: ci si rende però conto che siamo di fronte ad una azione militare possente e precisa.

Mi rendo conto che non abbiamo, nel nostro Partito, un piano di mobilitazione straordinario: il nostro grande pregio è la spontaneità ed il radicamento della coscienza popolare del Paese. Questo pregio potrebbe diventare una debolezza nei prossimi giorni. Per ora, la Direzione si riunirà alle tre. Vado a vedere che succede alla Camera.

Alla Camera è in corso la riunione dei Capigruppo. Bisogna votare presto la fiducia al Governo e chiudere subito la lunga crisi. Fare presto, perché ci sia un Governo pronto a tutte le evenienze. Avevamo in programma una riunione di deputati per discutere della situazione politica. Decidiamo di non farla. Cade da sé ogni opinione critica nei confronti di questo Governo: bisogna fare presto.

Nessuno sa che cosa si proponevano le Brigate Rosse, ma questo l’hanno ottenuto: che il dibattito politico sulla crisi passasse in secondo piano.

Fra i colleghi degli altri partiti c’è preoccupazione e sgomento. Forse hanno riflettuto prima di noi, che siamo ancora sotto shock, sulle conseguenza politiche dell’enorme vuoto che si è creato con l’assenza di Moro. Fra i democratici cristiani c’è rabbia.

Abbiamo appena finito di leggere un libro di pseudostoria della D.C. in cui il primo partito d’Italia viene presentato come un’accozzaglia di fascisti e di mafiosi, in cui Moro viene additato al disprezzo, piuttosto che alla critica storica.

Abbiamo tutti negli occhi la scena finale di “Todo-modo”, il film in cui Moro, impersonato da Volontà, viene ucciso. La carica di livido odio di un film come “Forza Italia” forse ispirerà oggi consensi alle B.R. e fischi agli oratori democratici cristiani nelle assemblee scolastiche e nei comizi di solidarietà. Come non sentire la rabbia: quelli che si dolgono oggi con noi, non hanno tollerato (e spesso qualcosa di più) tutto questo?

Qualcuno non resiste e lo dice: “Ci avete legato le mani. Avete disposto la ridicolizzazione dei servizi segreti, la destabilizzazione, anche psicologica, delle forze dell’ordine”.

“Ancora ieri negli accordi di Governo, insistevate s questa strada, mentre la D.C. subiva decine di attentati ai sui dirigenti, centinaia di sedi distrutte”. L’aria è tesa, scoppia qualche discussione aspra. Non ci sono notizie.

In aula lo spirito di Parlamento prende il sopravvento. Quando entra il Presidente Ingrao tutti, spontaneamente, si levano in piedi. Noto che ogni volta che in Parlamento c’è qualcosa di storico, sembra di essere in chiesa ad una cerimonia religiosa.

Oggi, purtroppo, c’è quel sommesso silenzio che precede le funzioni funebri. Si va avanti: la lettura del verbale della seduta precedente, suona come una stanca nota di formalità superata.

Andreotti si impone il dovere di leggere almeno una parte del programma preparato. Lo esige il rispetto del Parlamento. Tuttavia si vede che per lui è un dovere faticosissimo: gli saltano le righe, le frasi che legge sono lontanissime. Anche lui sembra oppresso da una formalità fori luogo.

Nell’aria tesa si spargono notizie incontrollate: altri morti, altre bombe. Poi si saprà che non è vero.

Ma fra i banchi ci sono momenti di irritazione e di impazienza. Come in chiesa non si applaude. Neppure quando s parla di Moro. Questa cerimonia senza applausi ci pesa sul cuore. Anche il Governo ci appare come orfano.

Nell’intervallo ci scambiamo alcune impressioni e perfino i primi commenti politici. La prima impressione è questa:che l’accaduto spinge verso quel Governo di emergenza con i comunisti che abbiamo appena rifiutato; obiettivamente dà una spinta politica ai comunisti ed indebolisce la nostra resistenza. E’ quindi importante appoggiare con forza questo Governo, respingere ogni strumentalizzazione dell’accaduto, mobilitare il partito.

Alle tre si riunisce la Direzione. I capi della D.C. arrivano silenziosi, si salutano in silenzio ed aspettano. In questo momento non voglio tradire neppure in minima parte il riserbo delle cose dette in Direzione. Non tanto per quello che è stato detto (tutti se lo possono immaginare) ma per un senso di serietà e di rispetto per questo sfortunato partito. Dirò solamente che tutti sono consci che non è in gioco solo la vita di un uomo, ma lo Stato in Italia, cioè l’Italia stessa. E ragionano di conseguenza!

Dirò due sole note umane: Donat Cattin è venuto malato da Torino: dice cose durissime per il suo sentimento; “con il cuore che sanguina”, di fronte al dovere.

Gui, amico di Moro, da lui difeso, che ha subito un agguato forse altrettanto grave (e non basterà mai che risulti innocente, come limpidamente sta dimostrando il processo dell’Alta Corte), si preoccupa lui della salvezza dello Stato e delle istituzioni.

La riunione è breve, scarna.

Appello al Paese, mobilitazione del partito, senza intralciare il lavoro delle forze dell’ordine; la Direzione siede in permanenza; difesa dello Stato e dei suoi principi.

Giungono le prime notizie, non giornalistiche. La esecuzione del colpo dimostra che c’è un’impostazione di alta scuola di guerra ed un addestramento lungo ed accurato. Non si tratta di un attentato, ma di una minuscola battaglia, dove sono state attentamente rispettate le teorie classiche di guerra. I potrebbe dire che il colpo va addirittura al di là della guerriglia.

L’obiettivo appare chiaro ed accuratamente studiato: destabilizzare l’Italia.

Oggi l’Italia è il punto più debole dell’equilibrio europeo e l’Europa è il punto più debole nell’equilibrio dei blocchi. Aprire un focolaio in Italia, in Europa, tra i blocchi. E’ un’operazione di politica estera. Il giorno, la persona, il modo, sono scelti alla perfezione. Si mette in discussione un risultato raggiunto, che era già di per sé in equilibrio precario e che poggiava proprio su Moro.

Si sostituisce alla tregua un’atmosfera di guerra civile. Si colpisce la D.C. che appare come l’asse portante e la garanzia di questo precario equilibrio. Se la D.C. ripetutamente colpita e questa volta “al cuore”, non regge , il gioco è fatto. A chi conviene gettare l’Italia come una bomba innescata nella polveriera internazionale? Si fanno ipotesi: ci si accorge che può convenire a molti. Conviene forse ad un’Europa orientale, che teme il disgelo, l’antistalinismo, l’eurocomunismo e l’influenza liberale di un’Europa unita.

Per quelli, una guerra civile in Italia potrebbe rappresentare dieci anni di ritardo ai problemi posti dal patto di Helsinki.

Altra ipotesi: ci potrebbe essere interesse, su una prospettiva di frizione dei blocchi, a mettere fuori combattimento la posizione strategica dell’Italia. Forse c’è un interesse del terrorismo internazionale, professionistico, finanziato ed addestrato perché  serva molte cause, a dimostrare che il terrorismo paga, che lo Stato è impotente. Allora la scelta dell’Italia potrebbe essere dettata dalla poca efficienza dello Stato italiano, più che da ragioni politiche. Potrebbe essere, forse, l’interesse di alcune potenze sorgenti  a spostare l’attenzione dagli attuali focolai, ad un nuovo focolaio. Ipotesi di una giornata drammatica. Ma il risultato è sempre logico. Per colpire la pace, colpire l’Italia che si è lasciata sorprendere con la sua debolezza. Per colpire l’Italia, colpire la D.C. nel suo uomo più prestigioso e più determinante in questo momento.

Parla Zaccagnini. Ancora pochi minuti fa era pallido, sconvolto, distrutto. Dove ha trovato la forza, l’energia, con cui improvvisa il discorso? Improvvisa e la sua voce si indurisce lì dove il suo cuore vorrebbe piangere

Parla La Malfa. L’Italia non si salva se non si dichiara guerra alla guerra. Parla di pena di morte! Questo solleverà le ipocrite proteste di quelle vergini scandalizzate, che non hanno mai provato scandalo quando la pena di morte veniva decisa, sentenzionata ed eseguita da tribunali pseudorivoluzionari su decine di agenti, di carabinieri, di giudici e di avvocati.

Prala Berlinguer. E’ preoccupato. Questa vicenda potrebbe far crollare o far trionfare la su linea: ma la sua stima per Moro è sincera.

Mentre si studiano le ipotesi e si ascoltano i discorsi (non giungono notizie) ci accorgiamo che si fa strada in noi una convinzione non confessata.

Mi dice Pratesi (un cattolico passato con i comunisti): ci vorrebbe La Pira, con le sue suorine. Vuol dirmi, forse, che solo la preghiera, un miracolo può salvare Moro? I non credenti parlano soltanto di “un colpo di fortuna” della polizia.

“Lo Stato dunque sarà umiliato fino in fondo? Sceglieranno la strada di una trattativa umiliante ed inutile? A che cosa ci dobbiamo preparare?”.

In questo momento non oso, per iscritto, ripetere quello che ci siamo lucidamente detti a voce, quello che ci siamo preparati ad affrontare. Il nostro cuore spera, la nostra ragione dispera.

Parlo con un ministro (chiedo scusa ancora per una necessaria discrezione): “Mi dispiace, tutto è cambiato. Ora non possiamo più permetterci neanche un errore. Siamo inermi e bisogna ricostituire subito la difesa dello Stato. Troppi errori e ritardi per i servizi segreti., anche in questi giorni. Troppi errori, demagogici ed inutili, nel campo delle forze dell’ordine, della giustizia”.

“Altri innocenti pagheranno questi errori?”

Ci diciamo che anche il Partito, la Democrazia Cristiana, non può più procedere con i sistemi di dieci anni fa. Siamo sotto il mirino: giocare alle correnti (come ancora si fa e si vorrebbe fare) è assurdo. Bisogna togliere ai folli il Partito, che non è un giocattolo, per i loro giochi. E’ troppo prezioso ed importante per la democrazia italiana.

Chi non si rende conto di questo è complice dell’attacco alla D.C., di questo attacco che viene da molto lontano.

Votiamo la fiducia al Governo: in tutta l’Italia si svolgono importanti manifestazioni di solidarietà. La giornata è finita.

Il nostro mestiere di deputati ci ha allontanato per un poco dalle emozioni del Paese. La sera, la televisione ci getta addosso l’immagine di un’Italia che aspetta qualcosa da noi. E’ l’Italia buona e coraggiosa dei momenti difficili: non bisogna tradirla.

 

16 Marzo 1978

Bartolo Ciccardini

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
  • RSS
  • Pinterest
  • Add to favorites
  • Print
  • Email

Tags: , ,

Scrivi un commento